Ciao Claire

di Daniele Barbieri (*)

Con Claire Bretécher ho un debito personale. Era dedicato ai suoi lavori il primo articolo che ho pubblicato nella mia vita sul tema fumetto. Era il 1983. Daniel Arasse, grande storico dell’arte e al momento direttore dell’Institut Français de Florence, voleva organizzare una mostra a Firenze su Claire Bretécher. Domandò a Umberto Eco se voleva scrivere sul catalogo, e se aveva qualche allievo competente che potesse a sua volta aggiungere un proprio pezzo. Eco coinvolse Renato Giovannoli e me, e così il catalogo della mostra “Claire Bretécher. Il disegno del fumetto” portò queste quattro firme. Conobbi Claire molto di sfuggita in maggio, alla prima della mostra e non dubitai, al vederla, che l’organizzatore – avente buona fama di apprezzare particolarmente la bellezza femminile – non avesse organizzato la mostra fiorentina solo per promuovere le qualità grafiche e fumettistiche di lei.

Però confesso che all’epoca non mi ero reso affatto conto della forza del gesto di Arasse. Nella città simbolo delle arti visive, in un tempio delle arti visive, diretto da un eminente storico delle arti visive, si teneva una mostra su una disegnatrice, fumettista. Nel 1983 c’erano già diversi altri autori che avrebbero meritato lo stesso trattamento ma questo, in Italia, lo sapevamo in pochi: di fatto Arasse poteva apparire come quello che promuoveva la cultura francese in Italia mettendo in mostra una che faceva, sostanzialmente, scarabocchi. E di qui a dire che lo faceva perché in Francia non avevano di meglio il passo era breve. Era ancora di questo genere la considerazione media che il fumetto teneva nel nostro Paese – e figuriamoci poi nell’ambiente della storia dell’arte!

Lei, Claire Bretécher, era già un mito per i lettori di Linus, da almeno una decina di anni. Aveva lavorato per il Pilote di Goscinny dal ’62; poi, nei primi anni Settanta, incominciò a patire una serie di restrizioni che il suo direttore le poneva. Così, con i colleghi Gotlib e Mandrika, si mise in proprio fondando L’echo des savanes. Lì poteva scatenare il suo sarcasmo senza restrizioni, e parlare del cordone ombelicale che lega madre e figlio in maniera morbosa, come della vita appassionata di Giovanna d’Arco. Ma poteva soprattutto mettere in campo i suoi Frustrati.

Con la Pagina dei Frustrati Bretécher incominciò a mettere in scena quello che avrebbe continuato a fare, con minime, ma significative, variazioni, tutto il resto della vita: la piccola stupidità. Non quella grande, che caratterizza gli idioti, o tutti tranne me. La piccola stupidità è quella dei luoghi comuni, delle opinioni irriflesse, della stanchezza quotidiana; quella, insomma, in cui ci possiamo riconoscere tutti, in qualche momento. Ed è per questo che nella pagina dei frustrati ci si poteva ritrovare così facilmente; ci si poteva vedere da fuori, come messi a nudo. Il talento sociologico e psicologico di Claire Bretécher è stato molte volte sottolineato (persino da Roland Barthes) così come la finezza della sua ironia, o sarcasmo, se preferiamo.

Le dobbiamo, oltre che un grande piacere e un’infinità di riflessioni su noi stessi e il nostro ambiente quotidiano, l’introduzione netta nel fumetto europeo del tema personale. Negli Stati Uniti lo stava facendo anche Robert Crumb ma, all’epoca, in maniera assai più metaforica. Jules Feiffer, forse il fumettista americano che più di qualsiasi altro potrebbe averla influenzata, era molto più mirato al politico. Claire invece raccontava il presente quotidiano, la propria vita, la mia stessa vita di lettore.

All’epoca il fumetto era da un lato avventura (poliziesco, western, fantascienza…) e dall’altro umorismo quasi altrettanto fantastico, oppure – come Feiffer – mirato al politico. Lei invece aveva individuato proprio il personale come suo campo. Quando negli anni Settanta fu urlato che il personale è politico, Claire Bretécher era colei che, già da prima, centrava il tema meglio di chiunque altro. Credo che anche Andrea Pazienza le debba molto, e insieme a lui tutti quegli autori che hanno poi iniziato a mettere il personale al centro del proprio lavoro, con una tendenza che si è allargata sino a riempire progressivamente e sostanzialmente il campo della graphic novel, diventando dominante al presente. Per questo la ritengo una degli autori di fumetti più importanti e influenti del Novecento.

Je vous salue, Claire!

(*) È bene ribadire che in questa bottega ci sono due “daniele barbieri”: quello romano-sardo-imolese che siede sulla diligenza (con relative metafore western ma senza fucile) e un po’ meno di frequente l’omonimo docente bolognese – più serio eppure noioso mai – che firma questo ricordo. Se la faccenda vi sembra strana (fiiiiiiguratevi a noi due) fatevi due sorrisi leggendo qui: Omonimie: Daniele Barbieri (x e y)

 

Redazione
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2 commenti

  • Molto bello questo articolo che combina madeleine e rigore informativo su ciò che è stata CB e cosa ha rappresentato per il mondo culturale europeo e del fumetto in particolare.
    Grazie sempre Daniele!

  • Giorgio Chelidonio

    Dovrei trovare il tempo per sfogliare la mia vecchia raccolta di “Linus”: solo così potrei dire quando mi ricordo di averla incontrata sulla mitica rivista. Se invece dovessi interrogare la mia memoria emotiva linusiana direi di conoscere e apprezzare la Bretecher “da sempre”
    Certamente mi mancherà ma posso sempre abbeverarmi alla mia vecchia collezione: so che ad ogni rilettura l’incontro sarà sempre magicamente graffiante ❤

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