Cicarè, Giménez-Bartlett, Malvaldi, Orwell, Patricelli, Simoni e…

e papa Francesco

7 recensioni di Valerio Calzolaio

UNO

Marco Malvaldi

«La direzione del pensiero. Matematica e filosofia per distinguere cause e conseguenze»

Raffaello Cortina editore

206 pagine, 19 euro

Linguaggi letterari e numerici. In avanti. Il perché è alla base dell’imparare. Le nostre capacità si sviluppano nel tempo, in maniera lenta ma esponenziale, costruendosi su robustissime basi: fondamenta che sono astratte e concettuali, più che fisiche e intellettuali. La principale capacità di Homo sapiens è proprio il linguaggio astratto che ci permette di collaborare in maniera flessibile e in grandi numeri. Così, soprattutto da bambini ma non solo, rivolgiamo spesso a noi stessi e agli altri domande sul perché di ogni cosa, oggetto, evento, dinamica e tendiamo a suddividere i problemi prevalentemente in base ai dati che abbiamo per risolverli. C’è ormai una vera e propria disciplina scientifica che esamina la capacità astratta di noi sapiens di poter distinguere tra cause ed effetti, si chiama appunto la causalità, uno dei tanti punti di incontro tra la matematica e la filosofia e tra due dei loro principali ingredienti: le serie temporali, ovvero l’esame dei valori di variabili che cambiano nel tempo, e il senso delle relazioni, ovvero le possibili ipotesi di una direzione nelle relazioni fra le variabili esaminate. La nuova materia può essere introdotta valutando la causalità sotto tre successivi aspetti, ovvero come capacità di: predizione, prevedere il futuro; intervento, intervenire in concreto sugli eventi presenti o, in astratto, su eventi già successi; coscienza, porre e porsi ulteriori differenti connesse domande sulla comprensione e sul fraintendimento, soprattutto sulla possibile origine di uno dei processi più misteriosi della mente umana, proprio la stessa coscienza. Serve l’aiuto di altre discipline, ovviamente, come la fisica, la medicina, la linguistica e tante altre, anche narrative. Siamo curiosi, pur se il “noi” assimila troppo, scrittori e lettori, singoli individui e intera specie.

Il chimico, grande allegro scrittore e notevole multidisciplinare scienziato, Marco Malvaldi (Pisa, 1974) si è imbattuto alcuni anni fa in una nuova antica disciplina scientifica e ne esplora ora i confini con acuto senso del limite. Ne era affascinato e non riusciva subito ad addomesticarne gli strumenti. Lentamente ne è venuto a capo e, per poter essere certo di averla capita bene e di poter realizzare i calcoli connessi in piena autonomia, forse anche per comprenderla ancor meglio, ha scritto e pubblicato un efficace saggio su come distinguere le cause dagli effetti, almeno un poco. Con l’ausilio di molti diagrammi, figure, grafici, formule e di innumerevoli divertenti metafore o digressioni (letterarie e talora personali, ironiche e biografiche), pur scontando il carattere ostico di alcuni paragrafi e lasciando in appendice l’argomento più specifico, illustra in modo chiaro gli elementi principali della materia. Si tratta di un’introduzione generale, di otto capitoli distribuiti in tre parti (ognuna con un prologo) e di un epilogo, complessivamente di 14 paragrafi che sempre prendono spunto da uno studioso in carne ed ossa degli ultimi secoli, primo Karl von Robitansky, anatomista esperto di autopsie a Vienna nel 1876. Seguono il matematico Norbert Wiener e l’economista statistico Clive Granger. Poi David Hume, il fisico Randall Munroe, Gottfried Wilhelm Leibniz, il filosofo David Lewis, lo statistico Donald Rubin; tutti filtrati dalle ricerche del vero esplicito studioso di riferimento per tutto il volume, lo scienziato informatico Judea Pearl (4 settembre 1936). Poi ancora il terapista Thomas Myers, il biologo Gerald Edelman e lo psichiatra neuroscienziato Giulio Tononi. Frequenti e utili gli spunti sulla pandemia in corso, in particolare sulla mortalità comparata fra Italia e Cina. L’indice analitico elenca i nomi di persone citate, variegato e variopinto. La conclusione torna saggiamente a Dante (il linguaggio ha accesso alle parti più recondite del nostro cervello, cambia nel tempo e serve a comunicare fra noi umani) e va oltre: il linguaggio serve anche a capire e organizzare meglio ciò che pensiamo e proviamo noi stessi, contiene segni astratti concettuali espressivi sia attraverso segni, parole, frasi sia attraverso numeri, proporzioni, misure; almeno due linguaggi, dunque, da conoscere e compenetrare per definire tanto una causa o un effetto quanto le relative relazioni.

 

Marcello Simoni

«Angeli e diavoli. L’obbedienza e la ribellione» (con disegni dell’autore)

Einaudi

124 pagine, 12 euro

Una costante del pensiero simbolico dell’ultima specie umana: “Angeli e demoni”. Conoscere, talvolta, significa intuire, con il pensiero e con il segno, con la scrittura e con il disegno. In uno zibaldone di colti pensieri, l’archeologo, bibliotecario e affermato bravissimo scrittore (soprattutto di gialli storici) Marcello Simoni (Comacchio, 1975) ha raccolto le riflessioni (pure illustrate con grazia) su alcuni figli delle stelle. Tratta delle figure originate da culti astrali della Mesopotamia, rinvenibili in tante civiltà, religioni, culture, leggende, spesso riassunte in una contrapposizione binaria relativa: sia angeli che demoni sono nati nelle mani di Dio e sono adorati, seppur in reciproca lotta (di virtù e peccati, obbedienze e ribellioni), tanto più che in gioventù sono furono della medesima forma e sostanza, portatori di luce. Acuti i riferimenti alla storia antica e moderna, fino all’effluvio contemporaneo di letteratura e cinema all’interno di ogni genere narrativo.

 

George Orwell

«Millenovecentottantaquattro» (originale del 1950 “Nineteen Eighty-Four”)

cura e traduzione di Tommaso Pincio

Sellerio

442 pagine, 15 euro

Londra, Pista Uno, Oceania. 36 anni dopo. Il giornalista, saggista e attivista socialista George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair (Motihari, 1903 -Londra, 1950), malato di tubercolosi, scrisse “Millenovecentottantaquattro” nel 1948 (il titolo è quel numero con le due ultime cifre invertite, scritto in lettere), continuò a sistemarlo fino alla pubblicazione (fine 1949), morì poche settimane dopo, non potendo così segnalare i refusi, né esprimersi sulle polemiche interpretative. Il suo libro distopico ha fatto letteratura e storia. Racconta in terza fissa l’esistenza del 39enne Winston Smith sotto il regime totalitario a partito unico prevalso nel mondo e guidato dal Fratello Maggiore, l’amore per la lasciva Julia del Reparto Narrativa, il terrore per l’onnipresenza invasiva dei teleschermi, l’imprigionamento e l’annullamento. L’ottimo curatore lo ha ritradotto, introducendo neologismi coerenti con il linguaggio appositamente creato che l’autore spiegò nell’essenziale Appendice.

 

Marco Patricelli

«Il partigiano americano. Una storia antieroica della Resistenza»

Ianieri editore

304 pagine, 17 euro

Abruzzo. 1944. Renato Berardinucci nasce a Philadelphia nel 1921, terzo figlio di Vincenzo e Antonietta, emigrati venti anni prima coi due fratelli maggiori, e muore fucilato dai tedeschi ad Arischia nel 1944, come capo della banda partigiana che ha fondato e diretto, immigrato dopo l’8 settembre. Davanti al plotone d’esecuzione si buttò in avanti per salvare i compagni. A lui e all’altro ucciso, Vermondo Di Federico, fu assegnata la medaglia d’oro al valor militare della Resistenza in Abruzzo. La sua storia è ancora poco nota. Il giornalista e saggista Marco Patricelli (Pescara, 1963) l’ha meritoriamente ricostruita in “Il partigiano americano”, con un pluriennale lavoro di ricerca, soprattutto da fonti orali. La narrazione è a più voci intorno all’unico protagonista, connesse a familiari, a testimoni locali, a contatti politico-culturali. Emerge qualche tono polemico eccessivo, come se fosse possibile isolare un unico bell’episodio dall’intera antieroica resistenza al nazifascismo.

 

Francesco

«Fratelli tutti. Sulla fratellanza e l’amicizia sociale»

introduzione di Antonio Spadaro (gesuita, direttore di “La Civiltà Cattolica”)

Marsilio

256 pagine per 8,90 euro

Pianeta Terra. Per sempre. Il 3 ottobre 2020 ad Assisi, presso la tomba di San Francesco, proprio il giorno della vigilia della festa del Poverello, nell’ottavo anno del suo Pontificato, Francesco ha firmato la Lettera Enciclica “Fratelli tutti”, poi presto pubblicata in varie forme digitali e cartacee, ancora una volta un testo utile da tenere in ogni biblioteca, qualunque sia il credo di chi le organizza o frequenta. Jorge Mario Bergoglio (Buenos Aires, 17 dicembre 1936), sacerdote dal 1969, vescovo dal 1992, arcivescovo dal 1998, cardinale dal 2001, fin dalla sua elezione a papa il 13 marzo 2013 ha scelto il nome di Francesco, avviando subito un esplicito “cammino di fratellanza”, qui ricostruito e invocato già dal titolo attraverso la citazione diretta delle Ammonizioni di San Francesco (circa nel 1221, codice 338), un dato di fatto e non solo un nobile sentimento, riferito a tutti gli esseri viventi (compresi sole, mare, vento) e non solo agli umani (in particolare agli abbandonati, ai malati, agli scarti, agli ultimi). L’enciclica si apre con l’evocazione di una fraternità aperta e richiama lo specifico contesto della pandemia in corso del Covid-19. Esamina poi i drammi strutturali del nostro tempo in un denso sintetico capitolo: forme e strumenti di certa prevalente politica, la diffusa iniqua cultura dello scarto e le crescenti distanze sociali, la frequente assenza del rispetto dei diritti, la mancata accoglienza rispetto alle migrazioni, i rischi nei sistemi comunicativi di notizie e valori. Prima di indicare alcune linee d’azione, Francesco dedica un capitolo alla parabola del buon samaritano, un modello sociale e civile di inclusione. Seguono i corposi capitoli dedicati proprio al pensare e al generare un pianeta aperto: avere un cuore aperto al mondo intero, praticare la migliore politica, curare il dialogo e l’amicizia sociale, individuare i percorsi di un nuovo incontro, con le religioni al servizio (plurale) della fraternità nel mondo.

Papa Francesco è giunto alla sua terza enciclica, sempre attingendo alla dottrina sociale della Chiesa e alla “radicalità” del Vangelo. Nel 2013 diffuse l’immediata Lumen Fidei (in gran parte elaborata e quasi completata dal suo predecessore Joseph Ratzinger), nel maggio 2015 l’emerita Laudato si’ (sull’ecologia integrale, praticamente ineccepibile sul piano scientifico), nell’ottobre 2020 la Omnes fratres, tutti fratelli (con un bel sorriso in copertina). Lo strumento allude a una missiva “circolare”, in origine indirizzata a vescovi e comunità cristiane, nei secoli servito a definire specifiche posizioni papali in materie teologiche e politiche; ha un valore ordinario proprio per i fedeli, di magistero dottrina guida ispirazione; è significativa per tutti, per una analisi rispettosa e un confronto laico. Questa volta il tema, trattato in modo molto aggiornato e dettagliato, è la fraternità fra tutti i fattori biotici e fra i viventi umani sapiens come un’unica unitaria speciale famiglia dei viventi. Già il 4 febbraio 2019 papa Francesco aveva firmato la dichiarazione sulla fratellanza umana insieme all’iman della moschea di al-Azhar ad Abu Dhabi, entrambi sottolineando di prendere la parola non in nome di un generico astratto “dio unico” bensì in nome della concreta eguaglianza e dell’auspicabile libertà di tutti gli individui. I primi obiettivi sono riempire il cuore di lucida gentilezza, sollevare uno spirito di riconciliazione multilaterale, contrastare chiusura e intolleranza fra e negli Stati (con duri giudizi sui populismi). Ne abbiamo gran bisogno. Il testo ricapitola, anche se non in maniera sistematica, il pensiero di papa Francesco lungo tutti questi otto anni, appare davvero come un compendio che cementa e solidifica i pronunciamenti su una crisi globale che è insieme ambientale, economica, sociale, spirituale e psicologica.

 

Mauro Cicarè

«Ottobre rosso (anzi novembre!)»

Edizioni Di (Grifo)

64 pagine, 15 euro

Russia. 1917. La lunga rivoluzione russa, iniziata tra l’8 e il 12 marzo (secondo il calendario gregoriano), portò al potere i bolscevichi, guidati da Lenin e Lev Trockij. La Rivoluzione d’Ottobre è chiamata così perché ebbe definitivo successo il 25 ottobre 1917 secondo il calendario giuliano adottato nell’epoca pre-rivoluzionaria (secondo il nostro calendario, gregoriano, il 7 novembre). Così si spiega il titolo del delizioso album illustrato “Ottobre rosso (anzi novembre!)”, sit-comedy a fumetti dell’illustratore sceneggiatore Mauro Cicarè (Macerata, 1957), ottimo illusionista fumettista, spinto dal centenario di quattro anni fa a narrarci graficamente con garbato disilluso colto umorismo le idee e l’estetica di quel periodo, soprattutto attraverso i divertenti dialoghi fra il proletario Volo’dja (ispirato al mitico Capannelle di Monicelli ne “I soliti ignoti”) e il compagno intellettuale Kropòtkin, dal naso grande e squadrato (ispirato allo Zanardi di Pazienza). Tovarish!

 

Alicia Giménez-Bartlett

«Autobiografia di Petra Delicado»

traduzione di Maria Nicola

Sellerio Palermo

460 pagine, 15 euro

Una settimana di un marzo qualsiasi, pochi anni fa. Un convento di suore della Galizia, uno di quelli che offrono ospitalità ai viaggiatori, abbastanza lontano dalla cara Barcellona. Petra si è presa una pausa dal lavoro in polizia e si è chiusa solitaria in una cella monacale, sobria ma non squallida: un letto, una scrivania, un armadio e una poltroncina. Si regala una settimana libera tutta per sé: senza marito (il terzo), senza i figli del marito (lei non ne ha), senza colleghi e senza amici. Una breve pausa con un possibile scopo: l’assenza di altri esseri umani forse aiuta a ricordare chi siamo veramente. Eccetto che durante i pasti, perlopiù nel refettorio, qualche volta al bar del paese, a cinque chilometri. Il primo giorno piove e non può passeggiare in campagna, così comincia a riflettere sulla propria vita, mettendo per iscritto lunghi stralci su quaderni scolastici a righe. La travolge una febbre memorialistica anche nei giorni successivi, sincera seppur disordinata e parziale. Scrive di sé, fa il punto sulle costanze e sulle svolte dell’esistenza, ripercorre infanzia, adolescenza, istruzione fino alla laurea, case, lavori, matrimoni. Non ci sono morti, non è un’indagine, ci sono dinamiche vitali. Petra lascia libero sfogo ai flussi di coscienza (contemporanei ai vari passaggi), come pure a tranquille valutazioni retrospettive. Il matrimonio dei genitori c’era stato nel 1935, avevano vissuto insieme la guerra e insieme l’avevano perduta, presto con accanto due figlie, le sue sorelle Celia e Amanda. Una decina d’anni dopo, sempre in pieno franchismo, era nata lei, quando il padre era un innamorato 44enne professore di liceo anticlericale di sinistra e la madre una 39enne casalinga tendenzialmente di destra (con piccole rendite da alcuni beni che aveva ereditato). Scopriremo poi perché e come Petra sia ora scettica e senza figli.

La bravissima Alicia Giménez-Bartlett (Almansa, 1951) è famosa per la serie gialla che ha protagonista l’ormai ultracinquantenne ispettrice Petra Delicado (una meticolosa attaccabrighe, ossimoro vivente), anche se ha scritto più di una decina di altri ottimi romanzi (1984-2015), saggi, racconti, articoli. Siamo giunti a una ventina di avventure letterarie di Petra, fra romanzi (dovrebbero essere già 10, fra il 1996 e il 2017) e racconti brevi o lunghi, narrate in prima persona descrivendo assassini e contesti criminali di ogni sorta, ambientate in tanti quartieri della capitale catalana (salvo sporadiche parziali eccezioni), con frequenti parodie sul genere: il vice coprotagonista, le tecniche investigative, i tic dei personaggi. Questo romanzo è inevitabilmente “sin muertos” (titolo spagnolo), si tratta davvero, proprio e soltanto, di una godibile autobiografia (titolo italiano), per rispondere alle mille domande sulla protagonista maturate in milioni di lettori di varia parte del mondo (soprattutto Spagna, Italia, Francia, Germania, Stati Uniti) e confermare le notevoli qualità introspettive della scrittrice. La prima parte descrive le dinamiche familiari, le sorelle e, soprattutto, i genitori fino alla morte della madre, avvenuta quando Petra era ormai fuori di casa, e del padre, due anni dopo. La seconda parte ripercorre l’istruzione di Petra a Barcellona, prima dalle suore, poi nella scuola pubblica, prima a Lettere, poi a Giurisprudenza, e il progetto comune di uno studio legale col primo marito avvocato Hugo, spiegandone il fallimento (filiale). La terza parte illustra la svolta della decisione di diventare poliziotta, il concorso vinto e i tre anni di corso nella periferica Ávila (7 donne e 170 uomini), poi il lavoro d’ufficio e l’incontro col secondo marito oste Pepe. La quarta parte inizia con l’ormai avvenuta nuova separazione (materna), proseguendo attraverso la casetta con giardino a Poblenou, il primo caso di omicidio, il fatidico incontro con Fermín Garzón, un poliziotto vecchietto e grassottello che diventerà la spalla inseparabile della vita professionale, mentre lei convolerà a terze nozze con il buon architetto Marcos (quattro figli dalle due precedenti mogli). La stabile soddisfacente situazione attuale: “dalla vita bisogna scegliere da un menu di un ristorante dove i cuochi siamo noi”. Petra non fa in tempo a tornare che già le si prospetta il nuovo caso, con muertos, ovvero con i cadaveri propri del genere, almeno due amici ragazzi, pare. Mai una noia!

 

Redazione
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