Cile: 2011, l’anno della grande rivolta

di David Lifodi

In Cile la primavera è arrivata in mezzo ad un freddo inverno australe: ha portato la creatività degli studenti in lotta per un’istruzione gratuita e di qualità ed il risveglio civile di un paese apparentemente anestetizzato e tra i più conservatori di tutta l’America Latina, sebbene Santiago del Cile sia la prima metropoli sudamericana in cui è sorta l’autogestione comunitaria di interi quartieri, come avvenne alla fine degli anni ’50 nello storico barrio La Victoria, il primo più tardi ad insorgere contro la dittatura pinochettista.

El Chile es en paro” è la scritta più gettonata sui muri della capitale Santiago e dell’intero paese: all’onda studentesca, che inizialmente cercava di imporre una radicale riforma dell’istruzione, si è unita l’intera società cilena. Non si rivendicano più miglioramenti relativi solo al campo dell’educazione, ma, al contrario, la gente è scesa in strada e si è ripresa le piazze per dar vita ad una protesta sociale ampia e di carattere nazionale. Due giorni di sciopero, il 24 e 25 agosto, proclamati dalla Central Unitaria de Trabajadores (Cut), a cui hanno aderito ottanta organizzazioni popolari, con l’obiettivo dichiarato di realizzare la manifestazione sindacale più partecipata degli ultimi 20 anni e soprattutto condurre il paese sulla strada di una reale democrazia sociale. A pochi giorni dalla commemorazione del golpe di quell’11 Settembre 1973 che infranse i sogni di un’intera generazione speranzosa nell’Unidad Popular di Allende, in Cile è tornata d’attualità la toma, la presa delle fabbriche, delle università e di tutti i luoghi di lavoro. Purtroppo, ciò che da allora non è cambiata, è stata la repressione del governo e dei carabineros. In questi due giorni di sciopero un ragazzo di 14 anni è stato ucciso da una pallottola sparata dalle forze di polizia, ci sono stati oltre duecento feriti e quasi 1400 fermati, che si uniscono al migliaio di studenti caricati sulle camionette dei carabineros solo alcune settimane fa, durante il culmine delle proteste organizzate dagli universitari. Proprio gli studenti hanno avuto il merito di dare la sveglia al paese. “Y va a caer la educación de Pinochet” è stato uno degli slogan più gridati durante i cortei. La riforma dell’istruzione è un tema su cui gli studenti lottano fin dal 2006, quando la timida Concertación (la coalizione di centrosinistra per venti anni al potere dal ritorno in democrazia) della presidenta Michelle Bachelet scelse di non apportare modifiche sostanziali alla Loce, la Ley Organica Costitucional y Enseñanza,  emanata da Pinochet il 10 Marzo 1990, l’ultimo giorno prima che lasciasse la Moneda. Il movimento dei penguinos (gli studenti medi così denominati per via del colore nero delle loro divise ed il bianco delle camice) chiedeva sia la gratuità dei trasporti pubblici per la popolazione studentesca sia la gratuità delle prove d’accesso all’università. Dai penguinos ai giorni nostri il passo è stato breve, e la parola d’ordine è quella che a inizio del Duemila ha scosso l’Argentina: que se vayan todos! E’ come se nello sciopero di fine Agosto i cileni avessero dato sfogo a tutta la rabbia accumulata in 35 anni, durante i quali, ai governi inconcludenti di centrosinistra (tutti votati, senza batter ciglio, all’economia di mercato), si è sommata l’attuale presidenza del pinochettista Piñera, appoggiato dai circoli più reazionari di Santiago ma in calo verticale di consensi, poco sopra il 26%. La popolazione ha intravisto nel paro nacional la possibilità di dar vita ad un reale movimento anticapitalista e che al tempo stesso parlasse un linguaggio nuovo. Agli strumenti più o meno abituali dello sciopero (blocco dei trasporti e chiusura dei luoghi di lavoro) se ne sono aggiunti dei nuovi: dallo stop dei consumi con la chiusura dei supermercati (una sorta di no buying day in versione latinoamericana) alle manifestazioni originali degli studenti. Se, come ha detto il presidente Piñera, l’istruzione è un bene di consumo e non può essere gratuita, gli universitari hanno risposto che Gesù non avrebbe potuto iscriversi all’università in quanto figlio di un povero falegname ed hanno dato vita a questa rappresentazione in uno dei tanti cortei per le strade di Santiago. La violenta risposta dello stato non ha fermato il movimento: di fronte alla Moneda gli studenti hanno raccolto pallottole e lacrimogeni per denunciare che la stessa repressione ha un costo. Sia la Concertación sia la destra attualmente al governo non hanno saputo cogliere l’umiliazione dei cileni per vedere il proprio paese rappresentato sempre come allievo modello dei “Chicago Boys de gringolandia” (secondo una fortunata espressione in voga per le strade di Santiago). Alla diminuzione dei salari ed al progressivo impoverimento della classe media, da cui è derivata una rivolta che finora è stata condotta principalmente dalla borghesia urbana, si è unita la rabbia di quei giovani nati sotto la dittatura pinochettista ed ai quali è stata propinata, fin dai primi anni di vita, l’idea che l’istruzione fosse un bene di consumo: non a caso sotto il centrosinistra, e ancor di più con la destra alla Moneda, sono state ampiamente  foraggiate le università private. E, sempre per questo motivo, le proposte del ministro all’istruzione Felipe Bulnes rivolte agli studenti per sedare la protesta, sono state rispedite al mittente: irricevibile la creazione di una formula incentrata sulla relazione tra crediti e borse di studio per gli studenti economicamente in difficoltà, bocciata senza appello l’annunciata riforma costituzionale prevista per settembre in teoria garante di un’istruzione di qualità. Attualmente in Cile il 5% più ricco della popolazione guadagna 830 volte di più rispetto al 5% più povero, è scritto su Rebelión, uno dei siti internet più seri e degni di considerazione in quanto ad analisi politica sull’intera America Latina. Il Cile sotterraneo però, da tempo aveva già rialzato la testa. Dai movimenti di protesta contro l’aumento del prezzo del gas alle lotte contro le dighe nella Patagonia cilena fino alle manifestazioni degli sfollati del terremoto 2010, ancora senza un’abitazione e ai quali il presidente Piñera aveva promesso una casa nel giro di breve tempo. In quel caso, come in occasione dei 33 minatori sepolti per mesi nelle viscere della terra, il mandatario cileno aveva scommesso sulla spettacolarizzazione dell’evento, del resto da bravo comunicatore è padrone della popolare emittente tv Chilevisión, peraltro recentemente occupata dagli studenti insieme alla sede dell’ Unión Demócrata Independiente (Udi, il partito del presidente, tuttora filopinochettista), ma anche a quella del Partito Socialista.  E ancora: le proteste sindacali che hanno paralizzato il lavoro nelle miniere di rame, i cortei per il diritto alla diversidad sexual e le lotte per la terra dei mapuche, da sempre costretti a subire una durissima repressione, sia da parte della destra sia ad opera della Concertación.

Negli ultimi anni tra i giovani è ripreso con forza l’interesse per la figura di Salvador Allende, i suoi discorsi sono tra i più cliccati su internet e sono molti gli striscioni su cui si può leggere distintamente “Los sueños de Allende son posibles”: allora il 2011 potrebbe essere l’anno della rivoluzione in arrivo.

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