Cile: i mapuche da papa Francesco

In occasione della visita del pontefice in Cile, prevista per gennaio 2018, il Coordinamento mapuche in Europa ha chiesto a Bergoglio di promuovere il dialogo di pace con uno Stato cileno che per ora agisce in maniera razzista ed escludente

di David Lifodi

La visita della delegazione del Coordinamento mapuche in Europa a papa Francesco, avvenuta il 25 ottobre in occasione dell’udienza generale dal pontefice, non è stata casuale. Bergoglio si recherà in Cile il prossimo gennaio e, nello scorso luglio, le comunità mapuche hanno scritto una lettera aperta, consegnata dalla delegazione, a proposito delle loro aspettative in vista dell’ormai imminente viaggio papale. I mapuche, circa 1 milione e mezzo in territorio cileno, sono costretti a dover far fronte ad una duplice oppressione, quella dello Stato, che li perseguita torturando e incarcerando, e quella delle multinazionali, interessate a sfruttare le risorse naturali presenti sul loro territorio.

I conflitti maggiori tra lo Stato e/o le multinazionali minerarie o dedite alla costruzione delle centrali idroelettriche avvengono a livello politico e ambientale. Inoltre, un altro motivo di conflitto tra i mapuche e il Cile riguarda la questione agraria: il grande latifondo, spesso con l’aiuto di guardie armate private, caccia le comunità dai loro territori ancestrali. Unico popolo indigeno che ha resistito al colonialismo spagnolo, i mapuche hanno come confine territoriale il fiume Bío Bío dal lato cileno e la zona dell’odierna Buenos Aires dal lato argentino. Per i mapuche le cose cambiarono quando Cile e Argentina invasero il loro territorio, dando vita, da parte cilena, alla cosiddetta Pacificación de la Araucanía, tra il 1861 e il 1883, e da parte argentina alla Campaña del Desierto. In pratica, si trattò di due escamotages che permisero ad entrambi i paesi di impadronirsi di gran parte del territorio mapuche. Del resto, prima del 1810, il Cile non esisteva come nazione e i mapuche abitavano in quello che sarebbe divenuto territorio cileno ben prima della nascita dello Stato e dell’arrivo degli spagnoli. Tuttavia, in maniera profondamente ipocrita, il Cile ha sempre rifiutato di riconoscere il diritto alla terra al popolo mapuche, come se fosse di sua esclusiva proprietà. È in questo contesto che il Cile, il 17 maggio 1984, ha approvato la Ley Antiterrorista, applicata solo contro i mapuche e di ispirazione pinochettista, ma adottata anche da tutti i governi della Concertación, che non l’hanno mai eliminata, compreso quello, ormai in scadenza, della presidenta Bachelet.

 

Il Coordinamento mapuche in Europa ha partecipato all’udienza generale per chiedere a papa Francesco di prendere posizione nei confronti dello Stato cileno allo scopo di mettere fine alle violazioni dei diritti umani di minori, donne e uomini mapuche e invitare il pontefice a promuovere un dialogo di pace con una parte della chiesa cilena, che spesso, in occasione dei conflitti territoriali, rappresenta una parte del problema. E ancora, i mapuche sperano che il Papa interceda presso il governo cileno e quello argentino affinché entrambi risarciscano le comunità per i crimini contro l’umanità compiuti dai due stati all’epoca della Pacificación de la Araucanía e della Campaña del Desierto. Quest’ultimo desiderio è molto difficile che si avveri soprattutto perché la stessa Bachelet, che pure conosce bene il significato della parola tortura per averla sperimentata all’epoca del regime militare e che ha visto morire il padre, ucciso dalla dittatura poiché era rimasto uno dei militari fedeli a Salvador Allende, in pratica non si è adoperata granché per la tutela dei diritti dei mapuche. Attualmente, sono molti i leader mapuche incarcerati, senza contare i processi-montature senza alcuna prova e la morte del giovane attivista argentino Santiago Maldonado, che sosteneva le rivendicazioni territoriali della comunità di Cushamen, in Argentina, occupata dalla nostra Benetton.

Manca la volontà politica di risolvere il conflitto tra lo Stato cileno e i mapuche. A sostenerlo, tra gli altri, Francisco Huenchumilla, già sindaco di Temuco, ministro sotto la presidenza del “socialista” Ricardo Lagos ed esponente della Democrazia cristiana cilena, quindi non un “sovversivo”. In una lunga intervista rilasciata a Punto Final, Huenchumilla evidenzia che nell’Araucanía, dove maggiore è l’insediamento mapuche, si registra il più alto tasso di povertà di tutto il paese. Inoltre, lo stesso Huenchumilla si vergogna di far parte di una coalizione di centrosinistra che individua nei mapuche solo un problema di ordine pubblico da trattare in maniera esclusivamente repressiva, senza prendere in considerazione il processo storico da cui è scaturita la persecuzione nei confronti di questo popolo. Il problema principale è che il Cile rifiuta di essere uno stato plurinazionale, come lo sono, ad esempio, la Bolivia e l’Ecuador. La recente detenzione di molti leader mapuche nell’ambito dell’Operación Huracán rappresenta bene l’agire politico dello Stato cileno: repressione e gestione della sicurezza in maniera non troppo diversa dall’era pinochettista. Del resto, la Ley Antiterrorista rappresenta solo la punta di un iceberg: i mapuche hanno sperimentato più volte sulla loro pelle la Ley de Seguridad Interior e una batteria di strumenti legali utilizzati esclusivamente contro di loro. A farne le spese, di recente, il leader della Coordinadora Arauco-Malleco (Cam) Héctor Llaitul, di nuovo in carcere, senza dimenticare, tra gli altri, il caso della machi (autorità religiosa e spirituale) Francisca Linconao, del machi Celestino Córdova e di altri dieci mapuche condannati senza prove per l’incendio nel quale perì la coppia Luchsinger-Mackay nel gennaio 2013. Per quest’ultimo caso, l’Observatorio para la protección de los defensores de derechos humanos ha rilevato gravi irregolarità nel corso di un processo basato su un solo testimone e che criminalizza a prescindere i mapuche, definendoli come terroristi, in un contesto in cui prevale l’impunità dei grandi proprietari terrieri.

I mapuche continuano, per ora, a resistere rivendicando il loro diritto legittimo e ancestrale di vivere da popolo-nazione, ma fino a quando riusciranno a resistere di fronte all’attacco congiunto di stato, oligarchia terriera e multinazionali?

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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