Cile: la visita del Papa lascia molti punti in sospeso

Alle radici della contestazione dei mapuche e dei movimenti sociali. Il percorso di Bergoglio non è stato dei più facili.

di David Lifodi (*)

Alla vecchia base militare di Maquehue, in territorio mapuche, erano attese circa 450 mila persone in occasione della messa solenne del papa, ma non sono arrivate più di 150 mila. A Iquique, dove più o meno era previsto lo stesso numero di fedeli presenti, sono giunti appena in 70mila. A pochi giorni dalla visita di Bergoglio in Cile, non si può fare a meno di chiedersi per quale motivo in questo Paese dell’America latina non solo non c’è stato il bagno di folla che ha accolto il pontefice nei suoi precedenti cinque viaggi nel continente (Colombia, Ecuador, Bolivia, Paraguay e Brasile) ma numerose proteste, nonostante la grande stampa abbia cercato di minimizzarle il più possibile.

Papa Francesco aveva cercato di abbassare l’alta tensione, soprattutto nei confronti dei mapuche, salutando nella loro lingua prima dell’inizio della celebrazione liturgica. “Mari, Mari Küme, tünngün ta niemün” – buongiorno la pace sia con voi – aveva esordito Bergoglio, che poi ha officiato la funzione religiosa su quel terreno, la base militare di Maquehue, rivendicata dai mapuche come terra ancestrale e utilizzata, all’epoca di Pinochet, dalla dittatura militare. Il papa ha sempre rifiutato l’idea che esistano culture superiori e inferiori, ma, come sottolineato dal quotidiano messicano La Jornada, ha comesso due errori. In primo luogo, il messaggio del pontefice, come ha evidenziato anche il portavoce del Consejo de Todas la Tierras di Temuco, Aucán Huilcamán, ha sì fatto riferimento ai diritti dei mapuche, ma in maniera molto generica e indiretta, dando in un certo senso l’idea che spettasse allo Stato cileno adoperarsi per il rispetto di un popolo da molti assimilato a quello kurdo o palestinese proprio perché senza terra. In secondo luogo, a proposito degli abusi in cui sono coinvolti diversi esponenti della gerarchia ecclesiastica cilena, papa Francesco ha incontrato alcune vittime all’interno della nunziatura apostolica di Santiago del Cile, ma in forma privata, in maniera discreta e senza la presenza dei media. Se questo, da un lato, è servito per tutelare le vittime, dall’altro in molti si auguravano un dialogo diretto con il pontefice da cui potessero scaturire proposte concrete, condivise e divulgate verso la società civile e l’opinione pubblica, andando oltre le attività di ascolto e di preghiera alle quali il papa si è comunque prestato.

Il percorso cileno di Bergoglio non è stato dei più semplici fin da prima che atterrasse a Santiago. La durissima dichiarazione dei popoli indigeni che vivono in Cile, un vero e proprio manifesto politico in cui erano rivendicate le loro istanze, spiega con chiarezza i motivi per cui la visita papale sia stata oggetto di critiche. A 525 anni dall’arrivo del colonialismo europeo nel continente latinoamericano, al papa si chiedeva l’assunzione di una responsabilità storica nei confronti del furto delle terre ancestrali e di un genocidio di cui, ad eccezione di figure quali Bartolomeo de las Casas o dei missionari gesuiti in Paraguay e Bolivia, anche la Chiesa si è resa responsabile, come spiegato nell’appello indigeno dall’inequivocabile titolo No queremos más cruces ni biblias. La contestazione a Bergoglio era diretta a lui in quanto massimo esponente della Chiesa, pur riconoscendo i tanti cristiani progressisti (laici e religiosi) che si sono da sempre adoperati per i diritti dei popoli indigeni. Inoltre, gli stessi indigeni hanno sottolineato come mancanza di rispetto anche la presenza di Hugo Alcamán Riffo, riconosciuto dalle gerarchie ecclesiastiche cilene e dallo stesso Stato come esponente dei mapuche ma in realtà espulso dalla comunità e più volte condannato per episodi di violenza familiare e appropriazione indebita della terra. Ovviamente, il papa non poteva essere a conoscenza che si trattava di un impostore ma chi gli stava intorno ha fatto sì che l’opinione pubblica lo presentasse come leader dei mapuche. Il pontefice, da parte sua, più volte ha condannato il ricorso alla violenza, al sicariato politico e le profonde disuguaglianze del continente latinoamericano, ma in una maniera troppo generica che non ha convinto i contestatori.

Altro aspetto controverso della visita di Bergoglio è stata la dura repressione contro la Marcha de los Pobres convocata dai movimenti sociali. In Cile sono molti a ricordare la visita di Giovanni Paolo II all’epoca della dittatura di Pinochet e le organizzazioni popolari intendevano ribadire che, da allora, in Cile non è cambiato niente. Dal colpo di stato contro Salvador Allende, quando centinaia di persone sparirono e furono torturate, ai giorni nostri, in un contesto contrassegnato ancora dalla mancanza dei diritti più elementari, dallo sfruttamento e dalla violenza imposta dal neoliberismo anche attraverso le costruzione delle centrali idroelettriche e dell’estrazione mineraria, ad esclusivo vantaggio dell’oligarchia terrateniente e delle multinazionali, i passi da compiere affinché trionfi la giustizia sociale sono ancora molti. La violenza dei carabineros, che hanno arrestato circa trenta persone in occasione della marcia dello scorso 16 gennaio, testimonia che in Cile protestare significa commettere un reato.

Infine, non ha mancato di destare perplessità la questione relativa ai religiosi cileni implicati in casi di abusi sessuali. Da un lato, il Papa ha manifestato “dolore e vergogna” per questi episodi, ma dall’altro, in occasione della messa al Parque O’ Higgins di Santiago, ha celebrato con il vescovo Juan Barros, testimone diretto degli abusi commessi dal sacerdote Fernando Karadima, lasciando quantomeno interdette anche le comunità dei cattolici di base che chiedono da tempo la rimozione dall’incarico dello stesso Barros e contestano la nomina, da parte di Bergoglio, di Francisco Errázuriz Ossa all’interno del Consiglio dei cardinali in Vaticano, poiché l’arcivescovo della capitale cilena sarebbe il portavoce della parte più reazionaria e conservatrice del Paese andino.

In definitiva, se da un lato Bergoglio nel corso della sua visita non ha mai citato tematiche quali l’omosessualità o l’aborto, sulle quali da tempo insiste la Chiesa cilena più conservatrice e ha sottolineato apertamente il diritto a migrare da parte di coloro che cercano migliori opportunità di vita, dall’altro non ha mai criticato, se non indirettamente, quel genere di Chiesa che tanto piaceva a Giovanni Paolo II, sotto il quale erano prosperate organizzazioni come l’Opus Dei o i Legionari di Cristo. Probabilmente è anche per questo che i fedeli presenti in occasione della sua visita in Cile non sono stati molti, come ha riportato sul quotidiano La Tercera il giornalista Andrea Tornielli.

(*) articolo tratto da Peacelink – 22 gennaio 2018

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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