Cile: Pierre Dubois, sacerdote resistente

di David Lifodi

Pierre, amigo, el pueblo está contigo!, gridava la gente di La Victoria in corteo e lungo il tragitto che il 1 ottobre ha condotto la bara di Pierre Dubois dalla parrocchia di uno dei quartieri più combattivi di Santiago del Cile fino alla cattedrale della capitale. Le immagini, riprese dalla tv comunitaria di La Victoria, non possono lasciare insensibile una qualsiasi persona che crede nei diritti umani, nelle pratiche solidali e nella resistenza urbana.

Pierre Dubois, soprannominato el cura rojo, è scomparso il 30 settembre scorso, un mese prima dell’anniversario della toma de terrenos, l’occupazione delle terre che, nel 1957, dette origine a La Victoria. Nato in Francia, era arrivato in Cile nel 1963 ed aveva dedicato la sua vita al quartiere, uno dei più difficili di Santiago, ma anche tra i più conosciuti in tutto il continente per le sue forme avanzate di auto-organizzazione: il suo percorso si era intrecciato con la resistenza dell’intero barrio alla dittatura pinochettista e ben presto era divenuto un punto di riferimento per tutta la comunità, sebbene la maggioranza degli abitanti fosse atea e comunista. L’esistenza stessa del barrio La Victoria rappresentava una vera e propria sfida, per non dire uno sberleffo, ad una dittatura feroce e spietata che aveva ridotto al silenzio il Cile senza però riuscire mai a sottomettere quel quartiere fiero e ribelle. Dubois non incarnò soltanto l’opzione preferenziale per i poveri tipica della Teologia della Liberazione, ma camminò insieme agli abitanti di La Victoria svolgendo un lavoro di sensibilizzazione in un quartiere che già di per se stesso aveva una forte coscienza popolare. La gente di La Victoria proveniva dallo Zanjón de la Aguada, una zona nel centro di Santiago del Cile denominata anche “Cordón de la Miseria”: il loro sgombero era pressoché certo, per questo, il 30 ottobre del 1957 circa 1200 famiglie decisero di occupare una zona, allora disabitata, a sud della capitale. Da questo episodio nacque la storia di La Victoria: non solo i pobladores riuscirono a resistere agli innumerevoli tentativi di sgombero, ma dal niente costruirono strade, abitazioni, scuole e presìdi sanitari. Scrive Raúl Zibechi nel suo Territori in Resistenza – Cartografia politica delle periferie urbane latinoamericane (La Vaca, Buenos Aires, 2007): “La Victoria fu un’enorme esperienza di auto-organizzazione degli abitanti, che dovettero unire gli sforzi e inventare le risorse mettendo in gioco tutti i saperi e tutte le capacità”. L’esempio di La Victoria fu seguito da altri quartieri di Santiago: al momento del golpe dell’11 settembre 1973 un terzo degli abitanti della capitale viveva in poblaciones autoconstruidas. Fu uno smacco per la dittatura, che poco dopo tentò di organizzare una controrivoluzione urbana cercando di condurre con la forza le fasce sociali più povere in agglomerati definiti città modello, seguendo un criterio non troppo diverso da quello tracciato dall’ attuale presidente honduregno Porfirio Lobo per stroncare la resistenza dei movimenti sociali. È in questo contesto che ha operato Pierre Dubois, giunto a La Victoria nel 1982: organizzò in breve comedores populares, si preoccupò di dar vita a strutture che garantissero un’istruzione ai bambini,  riuscì a dar vita ai grupos de salud poblacional, ma soprattutto incarnò la resistenza del quartiere contro la repressione di stato mettendo più volte a rischio la sua stessa vita pur di difendere l’intera comunità. In più di una circostanza i carri armati dell’esercito cercarono di radere al suolo La Victoria: ci provarono una prima volta nel maggio 1983, quando Dubois stava celebrando una messa nel cimitero per commemorare Andrés Fuentes, un giovane ucciso dagli sgherri della Dina, la polizia politica pinochettista. Non contenti, tentarono di nuovo l’11 agosto dello stesso anno: il regime voleva farla finita non solo con La Victoria, ma anche con altri quartieri autogestiti della capitale, tra cui La Herminda (che prende il nome da una bimba uccisa dalla polizia durante un’occupazione delle terre del 1967), La Legua e La Pincoya:  le operazioni militari furono dirette da Pinochet in persona. Quel giorno l’esercito costrinse le persone del quartiere ad uscire dalle proprie case, le sequestrò, le obbligò a correre nude per le strade e simulò le fucilazioni. Lo stesso cortile della parrocchia di Pierre Dubois fu preso d’assalto, ed un gruppo di militari bruciò dei pneumatici al suo interno causando un piccolo incendio: un gesto di sfida al sacerdote che più volte aveva denunciato i loro crimini. Il 1983, che segnava i dieci anni dal golpe, vide anche innumerevoli azioni di rivolta, a La Victoria come altrove: molti quartieri si dichiararono territori in resistenza ed impedirono l’accesso alla polizia. Dietro alle barricate la gente del quartiere cantava: El pueblo donde está? Está en la calle gritando libertad!. L’11 settembre 1986  il regime cacciò Pierre Dubois dal paese: l’ordine di espulsione fu firmato da Pinochet in persona.  Il sacerdote sarebbe potuto tornare in Cile solo nel 1990, con l’avvento della democrazia ed il susseguirsi dei governi della Concertación, la coalizione di centrosinistra che per venti anni ha governato in Cile prima della vittoria di Sebastian Piñera nel 2010, in seguito alla quale  la destra ha riconquistato la Moneda. Per il sacerdote, però, non fu possibile tornare subito alla sua amata La Victoria: la Chiesa lo obbligò a stabilirsi presso un altro quartiere. Quando poté far ritorno a La Victoria, Dubois non aveva più al suo fianco André Jarlan: anch’esso sacerdote francese, fu ucciso dai militari il 4 settembre 1984, ufficialmente a causa di una bala perdida, un proiettile vagante sparato dalla polizia che aveva fatto di nuovo irruzione nel barrio per sedare una delle tante rivolte in un quartiere trasformatosi ormai nel più forte bastione di resistenza alla dittatura. Non fu l’unico dolore che gli provocò il Cile pinochettista: in una delle tante occasioni in cui la polizia entrava a La Victoria e sparava i lacrimogeni, Dubois, sempre in prima fila per scongiurare le violenze dei militari, fu arrestato e picchiato. In un’altra circostanza si sdraiò per terra di fronte ai carri armati per impedire l’ennesima occupazione militare del barrio. Al suo ritorno a La Victoria, dopo che il Senato nel 2000 (quindi già sotto la Concertación) gli aveva negato la cittadinanza onoraria, che fu concessa l’anno dopo, sfruttamento e povertà non avevano abbandonato il quartiere, tradito proprio da quelle forze politiche che in teoria avrebbero dovuto dare un taglio netto alle prevaricazioni della dittatura. Nel 2001 il governo “socialista” di Ricardo Lagos inviò l’esercito a La Victoria per fare pulizia: la scusa era quella di voler arginare il narcotraffico. Fu un affronto gratuito ad un barrio ormai divenuto una piccola città di trentamila abitanti nel cuore di Santiago: il centrosinistra aveva tradito un popolo che da fine anni ’50 era riuscito a costruire un’alternativa al dio mercato, basata sulla comunitarietà come risposta alla disoccupazione e alla crescente crisi economica. In quella zona conflictiva, dove ancora oggi le strade sono dedicate ai protagonisti delle lotte sociali cilene ed i victorianos si sentono tuttora partecipi di una vera  e propria epopea popolare, sono in molti ad ammettere, amaramente, che “il nostro problema è iniziato con la democrazia”. La Concertación ha cercato di sedare in ogni modo qualsiasi forma di ebollizione sociale e popolare di La Victoria e di altri quartieri che, per primi, avevano messo al centro il diritto alla casa e all’abitare.  Non è un caso che sotto i governi concertacionistas ogni 11 settembre, l’anniversario del golpe, l’azienda nazionale di energia elettrica avesse l’ordine di tagliare la luce come misura precauzionale nei quartieri popolari di Santiago, tra cui La Victoria. Il quartiere, sottolinea Raúl Zibechi, “venne costruendosi come una comunità di sentimenti e affetti… in cui la terra conquistata, la casa e il barrio autocostruiti vengono vissuti e sentiti come valori d’uso in mezzo ad una  società che dà la priorità ai valori di scambio”.

Dal 1957 La Victoria ha rappresentato un punto di riferimento per le periferie urbane dell’America Latina: continuerà a farlo nonostante la perdita di Pierre Dubois, un degnissimo compagno di viaggio nella lotta per la democrazia.

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