Cile: quando il Colo Colo ritardò il golpe di Pinochet

di David Lifodi

Nel suo libro dedicato alle storie segrete del football cileno, lo scrittore Luis Urrutia O’ Nell sostiene che il dittatore Augusto Pinochet in più di una circostanza fu costretto a rimandare i suoi progetti di golpe a causa delle vittorie del Colo Colo, la squadra di calcio di Santiago del Cile, una delle più prestigiose del paese.

Tra i calciatori di quella squadra che,  nel 1973, avanzò e ottenne successi in Copa Libertadores (corrispondente sudamericana dell’europea Champions League) c’erano Carlos Caszely, attaccante noto per le sue doti calcistiche, ma soprattutto perché più volte rifiutò di stringere la mano a Pinochet in qualità di calciatore della Roja (la Nazionale cilena), e Francisco Valdés, anch’esso di idee socialiste. Più il Colo Colo vinceva, più i fedelissimi del dittatore erano costretti a posticipare il colpo di stato: come avrebbero potuto, infatti, occupare lo stadio di Santiago (che poi si trasformerà in luogo di prigionia e tortura) e impedire alla squadra più titolata del Cile di allenarsi e giocare le partite quando si era trasformata in un fattore di unità per tutto il paese. E così, mentre gli scioperi dei camioneros e dei sindacati filopadronali cercavano di paralizzare il paese per far cadere Salvador Allende e il suo governo di Unidad Popular, el equipo que retrasó el golpe accendeva l’entusiasmo del paese e tra i simpatizzanti del presidente circolava questo curioso slogan: “Mientras Colo Colo gane, Allende está seguro”. Ancora le tribune dell’Estadio Nacional di Santiago non si erano riempite di oltre diecimila prigionieri politici, mentre i calciatori del Colo Colo si facevano fotografare alla Moneda con Salvador Allende. Prima squadra cilena a sbancare il Maracaná superando per 2-1 il Botafogo, nel maggio 1973 il Colo Colo arrivò a giocarsi la finale di Copa Libertadores con gli argentini dell’Independiente. In occasione della partita d’andata, a Buenos Aires, le due squadre impattarono per 1-1, mentre il presidente Allende si recava nella capitale argentina per partecipare alla cerimonia d’insediamento di Héctor Cámpora alla Casa Rosada e già Pinochet tramava per abbattere el compañero presidente. Tifoso dei Santiago Wanderers di Valparaíso, squadra della sua città natale, Pinochet si era riunito più volte con Nixon, allora presidente Usa, per fare in modo che i finanziamenti del Banco Interamericano de Desarrollo al Cile cessassero allo scopo di danneggiare non solo l’economia cilena, ma soprattutto l’immagine di Salvador Allende. Il pareggio si ripeté anche al ritorno, a Santiago, stavolta con il risultato di 0-0 e fu necessaria una terza partita, in campo neutro, per designare la squadra vincitrice della Copa Libertadores. Quel 6 giugno 1973, a Montevideo, si impose l’Independiente per 2-1: le strade di Santiago del Cile si svuotarono e regnò un silenzio irreale, come se fosse un triste presagio di quanto sarebbe accaduto pochi mesi dopo, con il bombardamento della Moneda ad opera dei golpisti l’11 settembre 1973. Francisco Valdés ricorda che, prima della semifinale con il Botafogo, Allende aveva regalato un enorme bandiera cilena ai calciatori del Colo Colo augurando loro buona fortuna: quella squadra era capace di generare un sentimento di unità nazionale che andava oltre le differenze di classe e di ceto sociale in un paese con una forte polarizzazione politica come quello cileno. I fascisti di Patria y Libertad stramaledivano ogni giorno di più il Colo Colo poiché il governo di Unidad Popular utilizzava le vittorie della squadra anche per creare un clima conciliante con le imprese sapendo che l’unità nazionale passava anche dai successi sportivi della squadra della capitale. Alla favola del Colo Colo non si può fare a meno di legare la storia coraggiosa del suo attaccante Caszely, la cui madre era stata sequestrata e torturata dagli sgherri pinochettisti. Figlio di un ferroviere di origini ungheresi, Caszely ha raccontato, in innumerevoli interviste, i giorni del colpo di stato e lo spareggio farsa con l’Urss per accedere ai Mondiali del 1974. A Santiago i russi decisero di non presentarsi per protestare contro il regime di Augusto Pinochet e, grazie alla connivenza con la Fifa, la Roja ebbe partita vinta a tavolino. In pratica, la nazionale cilena si schierò sul campo senza alcun avversario: Caszely, che aveva pensato di rifiutarsi di calciare il pallone dentro una porta vuota, all’ultimo momento non se la sentì e segnò quello che è stato definito il “gol più assurdo del mondo”. Insieme a Valdés, figlio di operai, Caszely da allora prese più volte posizione contro il regime , fu allontanato dalla Roja su ordine dei gerarchi e al suo posto furono convocati calciatori che simpatizzavano con la dittatura. Costretto ad abbandonare il suo paese, Caszely andò a giocare in Spagna, ma non poteva mandar giù che il Cile si fosse trasformato nella squadra di Pinochet, le cui squadracce si resero protagoniste anche di torture nei confronti di tutti gli atleti schieratisi contro il regime.

La caduta dell’Unidad Popular di Allende non segnò solo la fine del gobierno del los trabajadores, ma aprì una lunga stagione di repressione a cui anche atleti coraggiosi, come Caszely, Valdés e non solo, cercarono coraggiosamente di opporsi.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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