Cile: resta in carcere la mapuche Francisca Linconao

di David Lifodi (*)

“È una caccia alle streghe dovuta alla cecità dello Stato cileno”: si esprime in questi termini il missionario José Fernando Díaz a proposito della persecuzione perpetrata da Santiago del Cile ai danni della machi Francisca Linconao. Autorità religiosa mapuche che ha tra i suoi compiti principali quello di guarire le persone tramite la medicina naturale, Francisca Linconao è accusata di aver provocato l’attacco incendiario che, nel gennaio 2013, provocò la morte di Werner Luchsinger e Vivianne Mackay, per il quale sono indagati anche altri mapuche. Ad esempio, al machi Celestino Córdova è già stata inflitta una pena di 18 anni di carcere.

La persecuzione nei confronti di Francisca Linconao rappresenta l’ennesimo esempio della criminalizzazione dei mapuche da parte del Cile. Di recente, in una lettera inviata alla presidenta Michelle Bachelet dal carcere femminile di Temuco, dove si trova rinchiusa, Francisco Linconao scrive di essere messa sotto accusa dallo Stato per un crimine che non ha commesso e denuncia gli abusi della Policía de Investigaciones del Chile. Non solo la polizia ha fabbricato prove false contro la donna, ma ha violato lo spazio sacro della machi, dove  svolge il suo lavoro di guida spirituale, ritenuto intoccabile per il mondo mapuche. “Nessuna istituzione dello Stato cileno”, scrive Francisca Linconao, “si è preoccupata di prendere in considerazione le mie richieste né ha accolto le denunce relative al divieto di tornare nel mio territorio per svolgere la funzione di machi”. L’opinione pubblica cilena ha sempre definito Francisca Linconao come “terrorista” e “assassina”. Il contenzioso tra la machi e il Cile va avanti almeno dal 2008, quando la donna era riuscita a condurre in tribunale la Sociedad Palermo Limitada per il taglio illegale di alberi nel fundo Palermo Chico, confinante con la sua comunità nella comuna Padre Las Casas. Il taglio degli alberi era illecito, argomentava la machi, poiché avveniva all’interno del perimetro dove si trovavano tre sorgenti d’acqua,  rendendo così  carta straccia l’articolo 5 della Ley de Bosques. Inoltre, questo comportava la violazione dello spazio “Menokos”, ritenuto sacro nella cosmovisione mapuche e nel quale si trovavano piante medicinali utili al lavoro della machi nelle sue funzioni curative. Il verdetto della Corte d’Appello di Temuco fu a suo favore e, del resto, non avrebbe potuto essere diversamente poiché, proprio nel 2008, il primo governo Bachelet aveva ratificato il Convenio 169 dell’Organización Internacional del Trabajo sobre los Pueblos Indígenas. Si trattò del primo caso in cui il Cile applicò il Convenio, il cui articolo 13 sancisce l’obbligo dello stato a rispettare i valori spirituali dei popoli indigeni ed il loro legame con la terra e il territorio. Tuttavia, proprio a causa del suo impegno militante in difesa del territorio, la machi ha finito per essere inserita tra gli indiziati dell’omicidio contro i latifondisti svizzero cileni Luchsinger-Mackay.  Francisca Linconao ha dovuto sopportare per mesi diverse misure cautelari, a partire dall’obbligo di rimanere in casa nelle ore notturne. Tutto ciò ha fortemente pregiudicato la salute della machi, a cui lo Stato rifiuta di riconoscere il ruolo di autorità religiosa e spirituale. Nella sua missiva inviata a Michelle Bachelet, Francisca Linconao denuncia le prove false fabbricate nei suoi confronti da parte della Policia de Investigaciones e le fa capire che dalla presidenta si sarebbe aspettata molto di più per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti dei mapuche, oltre ad un maggior interesse in merito al suo caso. “Con la presidenta sarà meglio”, si augurava la machi, dicendo di aver votato Bachelet alle ultime elezioni e sottolineando la scarsa fiducia nel precedente esecutivo. Il caso Luchsinger-Mackay è uno dei più complessi in cui sono coinvolti i mapuche, anche per la detenzione di altri dieci comunerosin carcere e per la pressione esercitata sul governo dai latifondisti. Sono state molteplici le petizioni rivolte allo Stato cileno e alle autorità carcerarie affinché sia permesso  alla machi e agli altricomuneros reclusi di poter accedere alle medicine naturali e a svolgere i rituali tipici della cosmovisione mapuche. Fuori dal carcere la mobilitazione per Francisca Linconao e compagni cresce, dall’appoggio degli studenti universitari all’interesse mostrato dalla presidenta dei giornalisti cileni Javiera Olivares, che ha espresso preoccupazione per la salute fisica e spirituale della donna, invitando lo Stato a rispettare il ruolo di autorità tradizionale mapuche della donna.

È superfluo segnalare che, nell’ansia di criminalizzare i mapuche e trovare un facile capro espiatorio, la giustizia non ha mai indagato sulle dispute tra le famiglie Luchsinger e Mackay, caratterizzate da scorrettezze ed episodi di violenza di ogni tipo.

(*) tratto da www.peacelink.it – 20 maggio 2016

Note:
David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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