Cimiteri

di Daniela Pia

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Se penso a un cimitero, fra quelli che gli europei venerano, ho in mente le 9387 lapidi poste a ricordo dei caduti dello sbarco in Normandia. Esseri umani che avevano messo in conto la possibilità del non ritorno, che le prime linee sarebbero state falcidiate dal nemico. Eppure furono un’ondata inarrestabile che segnò la parola fine per il nazifascismo. Una ideologia zombie che oggi risorge e che tenta inutilmente – con le armi dell’ignoranza, della paura e dell’egoismo – di respingere gli sbarchi di gente che fugge dalla guerra, dalle persecuzioni, dal fanatismo e dalla miseria. Uomini e donne, con i loro bambini, che hanno messo in conto il naufragio, forse anche quello dell’umanità che avrebbero incontrato nella loro odissea. Eppure nulla potrà arrestare l’onda dei migranti. Non lo vuole capire l’Europa dell’economia, non lo sopportano le destre che rispolverano metodi già visti e che hanno segnato con l’infamia questo vecchio, vecchissimo continente: tornano i numeri sulle persone, per marchiarle; filo spinato, ordini impartiti e campi recintati, di «accoglienza» li chiamano alcuni.

Oggi l’Italia, ancora una volta, ha incassato la reprimenda tedesca a rafforzare i controlli al Brennero affinché “non passi lo straniero”: straniero che ha pagato un pedaggio terrificante per passare dal proprio continente, in fiamme, al nostro. Secondo i dati Amnesty dal 1988 al 2015 i morti annegati conosciuti – in quello che ormai è il mare Monstrum – sono 23344, ventitremilatrecentoquarantaquattro. Bisognerebbe scriverli i nomi e i cognomi di questi ventitremilatrecentoquarantaquattro in lapidi di tutti i colori, disposte ordinatamente nelle coste del sud, quelle rive che hanno visto e gestito gli sbarchi dei superstiti, e nelle praterie del nord leghista. È necessario un memoriale per restituire la misure dell’ecatombe. Un luogo – che io immagino – da far realizzare con il sudore della fronte dei tanti, troppi, razzisti armati di ruspe, poveri di spirito che si dilettano nello sport più diffuso al momento: la cacciata del “clandestino”. Un luogo nel quale far sfilare, obbligatoriamente a testa china tutti i seminatori d’odio che auspicano altre morti per dare «mangime ai pesci».

Mi si impone innanzi agli occhi la prima pagina del quotidiano «il manifesto» di ieri: titolava «Niente asilo» sotto l’immagine terribile di un figlio che non avrebbe più dondolato su nessuna altalena e non avrebbe mai impugnato un pastello per colorare arcobaleni; un bimbo, piccino, che ha terminato il suo migrare tra i flutti di una spiaggia turca, nella postura di un sonno che resterà eternamente scolpito nell’infamia di chi vuole «aiutarli a casa loro», di chi usa il bisogno e la disperazione per solleticare “la pancia” della gente, di chi si trincea dietro un nazionalismo bieco di cui non conosce i contorni.

Immagino le speranze dei genitori, ad accompagnare il viaggio, costoso, in tutti i sensi. Le illusioni, le istantanee di un futuro possibile per questo e altri figli. Nostri anche, sì. Figli cioè dei mostri che stiamo diventando, abituati a tutto: ai numeri degli annegati e ai numeri “incisi” con il pennarello sul corpo dei sopravvissuti. Per questo sarebbe necessario – io lo avverto come urgente e necessario – un cimitero diffuso con i nomi dei migranti che il Mare Monstrum ha divorato. Nomi capaci di evocare volti. Storie che dovremo imparare a far rivivere e raccontare. Ventitremilatrecentoquarantaquattro vite interrotte che Lampedusa, con le sue sole forze ha provato a ricordare nel suo piccolo cimitero. Certo non la “perfezione” del cimitero di guerra di Colleville sur mer, ma l’imperfezione emblematica del cimitero di Cala Pisana, dove una sola croce – fatta, come tutte le altre con il legno delle barche dei migranti – si fregia di un nome, fra i tanti numeri e ciononostante sa raccontare la Pietas che può ancora unire gli esseri umani. Di questa Pietas avverto il bisogno per onorare il bimbo di ieri e quelli che lo hanno preceduto con gli uomini e le donne che lo hanno accompagnato nel cimitero della nostra civiltà.  
QUI https://m.youtube.com/watch?v=gPEmvU3R_i0 ERRI DE LUCA RACCONTA, DAL CIMITERO DI LAMPEDUSA, L’IMMIGRAZIONE

 

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

2 commenti

  • Daniele Barbieri

    Ecco quanto messo in rete oggi da ANTONIO VERMIGLI della Rete Radiè Resch.

    Il piccolo ospite mai arrivato…
    La foto che oggi mi ritrae annegato sui quotidiani di tutto il mondo e sul web, adagiato sulla riva di Budrum in Turchia, dove le uniche carezze mi giungono dal mare, sia monito, serva a scacciare da ognuno di voi l’indifferenza, ormai diventata il vero “cancro dell’umanità”.
    Così piccolo, due-tre anni, ero nato dentro una guerra, stavo bene nella pancia-acqua di mia madre. Uscito, ho visto intorno a me solo macerie, ascoltato grida, pianti, disperazione. Perchè questa guerra? Decisa da chi? Per cosa? Per perpetuare divisioni, odio, rivalità religiose?
    Ero in fuga con i miei genitori insieme a migliaia di bambini, donne, uomini, da condizioni estreme, incredibili di povertà, miseria, guerra, violazione dei diritti umani; i viaggi della speranza, disperati per le condizioni disumane imposte dagli iniqui trafficanti di essere umani.
    Questa mia foto serva a te Europa come testimonianza, come prova della “vergogna” dell’umanità che non accoglie, che si ritrae, che si nasconde, che mette la testa sotto la sabbia, che sta realizzando la globalizzazione dell’indifferenza.
    Per favore, un altro corpo inerme alla deriva, non lasciate che si ripeta. Questo mio corpo senza volto, deve servirvi per non dimenticare.
    Fatevi responsabili dei vostri fratelli e delle vostre sorelle, non abituatevi a restare inermi di fronte alla sofferenza dell’altro. Sono qui a parlarvi per scuotere le vostre coscienze, tornate ad essere capaci di piangere, ad avere pietà!
    Come non pensare a Caino quando il Signore gli domanda, dov’è tuo fratello Abele?
    Quando sarete pronti per iniziare un nuovo ciclo, un nuovo progetto?
    Quando sarete pronti per affrontare nuove sfide per dare al mondo uno stare diverso, e sentire gli altri sorelle e fratelli?
    Ricordiamo sempre che il cambiamento, qualsiasi cambiamento ha bisogno di te!
    Arrivato in questa mia nuova casa, sulla porta ho trovato questa poesia ad accogliermi:
    «Nei canali di Otranto e Sicilia
    migratori senz’ali, contadini di Africa e di Oriente
    affogano nel cavo delle onde.
    Un viaggio su dieci s’impiglia sul fondo.
    Il pacco dei semi si sparge sul solco
    scavato dall’ancora e non dall’aratro.
    La terraferma Italia è terrachiusa.
    Li lasciamo annegare per negare».
    Ho chiesto chi l’avesse scritta. Mi hanno risposto: Erri De Luca.
    Non ti conosco ma so che pensi a noi, ti stiamo a cuore, mi sono sentito sollevato, perchè ho compreso che in mezzo a questo Mediterraneo d’indifferenza, ci sono tanti uomini e donne che pensano a noi con affetto, responsabilità, amore: accoglienti, questo mi dà speranza.
    Spero che questa foto-scatto di pietà possa servirvi a inquietarvi e a creare nuove relazioni.
    Tuo fratellino, figlio, nipote siriano…

  • Tragicamente bellissimo, letto d’un sol fiato (con un nodo in gola): grazie, Daniela

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