Cinque SI per i diritti!
L’appello di Attac Italia in vista dei referendum dell’8-9 giugno.
L’8-9 giugno 2025 si svolgeranno cinque referendum: quattro per abrogare alcune norme della riforma del lavoro approvata tra il 2014 e il 2016 dal governo Renzi, meglio nota come Jobs Act; il quinto per dimezzare, da dieci a cinque, gli anni di soggiorno legale continuativo necessari alle persone straniere per ottenere la cittadinanza italiana. Si tratta di temi di stretta attualità.
Per quanto riguarda i referendum relativi ai diritti del lavoro, bastano pochi dati tratti dal recentissimo rapporto prodotto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro dell’Onu, per certificare il fallimento del Jobs Act.
Propagandato come strumento innovativo per aumentare l’occupazione, rendere più dinamico il mercato del lavoro riducendo le tutele dello stesso e aumentare le opportunità di reddito, si è invece dimostrato uno strumento per redistribuire verso l’alto la ricchezza prodotta: i salari reali in Italia sono oggi inferiori di 8,7 punti rispetto a quelli del 2008, certificando per il nostro Paese il peggior risultato all’interno dei G20. A ciò si aggiunge il divario salariale di genere, pari al 9,3%, che segnala l’impatto sul lavoro femminile, ancora più ampio se si considera il reddito reale, dato che le donne lavorano un numero minore di ore rispetto agli uomini. Sempre l’ILO certifica che i lavoratori migranti dipendenti guadagnano il 26,3% in meno dei lavoratori nazionali.
La precarietà del lavoro non è nata con il Jobs Act, che è solo l’ultimo indecente frutto di due decenni di politiche liberiste volte alla deregolamentazione dei diritti del lavoro, alla frammentazione della soggettività sociale e politica delle lavoratrici e dei lavoratori, allo sfruttamento senza limiti delle stesse e degli stessi, dentro un orizzonte di solitudine competitiva come nuova cifra dell’intera esistenza delle persone.
E se la precarietà è dilagata a macchia d’olio enormi responsabilità portano con sé tanto i governi di centro-sinistra che -a partire dal pacchetto Treu del governo Prodi 1996-’98 – ne sono stati i fautori principali, quanto i maggiori sindacati che, adottando un profilo concertativo invece che conflittuale, hanno nei fatti consentito il progressivo smantellamento dei diritti.
Non saranno dei referendum a cambiare improvvisamente i rapporti di forza, ma l’abrogazione delle norme previste dal Jobs Act (stop ai licenziamenti illegittimi, più tutele per lavoratrici e lavoratori delle piccole imprese, riduzione del lavoro precario, aumento della sicurezza sul lavoro) costituiscono un importante granello di sabbia per inceppare gli ingranaggi della precarietà e interrompere la china dell’erosione dei diritti.
Lo stesso ragionamento vale per il quinto referendum, relativo alla cittadinanza. Parificare la condizione dei migranti a quella dei rifugiati, con 5 anni di permanenza per avere la cittadinanza italiana, è una misura di civiltà che, a fronte di una costruzione dell’immagine delle persone straniere come nemiche della sicurezza, come invasori da cui difendersi, come illegali da far affondare sui barconi, prova a invertire la rotta rendendo più agevole e dignitoso l’ottenimento della cittadinanza italiana a chi vive da tempo e continuativamente nel nostro Paese. E’ una goccia nel mare, ma nella direzione dell’ampliamento dei diritti.
A fronte di un’Europa e di un’Italia che propongono un futuro di riarmo e di guerra, cinque SI ai referendum di giugno costituiscono un primo importante argine per dire che è radicalmente altra la società che vogliamo, fatta di diritti, di pace, di cura, di uguaglianza e di solidarietà.
Cinque sì ai Referendum che personalmente chiedevo dal 2015, basta guardare i miei post di allora: in questa mail i motivi del «Sì».
di Carlo Soricelli, curatore dell’«Osservatorio di Bologna morti sul lavoro»
Quando Renzi introdusse il Jobs act nel 2015 erano già otto anni che monitoravo i morti sul lavoro e vedevo nelle tabelle excel dove c’erano più morti:per giorno, mese e anno, l’identità della vittima, l’età, la professione (anche in nero) e nazionalità. Oltre al nero morivano e muoiono numerosissimi nelle piccole e piccolissime aziende senza sindacati e senza Articolo 18 che Renzi aboliva per i nuovi assunti nel settore privato: la raccolta dati parlava chiaro, era lì che c’era la stragrande maggioranza dei morti per infortuni. abolire l’articolo 18 dello Statuto dei lavori, quello che recitava “no ai licenziamenti senza giusta causa e giustificato motivo, è stata un’autentica vigliaccata a favore delle aziende”. Chi poteva più rifiutarsi di svolgere lavori pericolosi se potevano licenziarti senza motivo e darti (se il licenziamento era ingiusto) una manciata di euro? Ma l’abolizione dell’articolo 18 aveva anche un altro scopo, demolire la rappresentanza sindacale dei sindacati più combattivi e favorire quelli più accomodanti. Da allora come potete vedere dal GRAFICO (sul sito dell’Osservatorio cercate «andamento-morti-sul-lavoro-dal-2014-e-dopo-l’introduzione-del-jobs-act-nel-2015-e-dopo-la-liberarizzazione-dei-sub-appalti») c’è stata un’impennata dei morti sul lavoro. Occorre ricordare che l’abolizione dell’articolo 18 riguarda solo il settore privato; per il Settore Pubblico tutto rimane come prima, ma se non passano i Referendum, anche loro possono subire la stessa sorte. E allora cosa fanno anche le grandi aziende del Settore Pubblico visto che non potevano licenziare gli Statali? Cominciarono a utilizzare i lavoratori in appalto, invece di assumerli come dipendenti diretti, così scaricavano su quello che io chiamo«Caporalato (anche) di Stato» tutti i lavori più pericolosi e a più basso reddito: nuovi schiavi senza diritti. Ricordo che le ultime recenti stragi di Brandizzo (ferrovia dello Stato), Suviana (Enel) e Calenzano (Eni) sono grandi aziende a partecipazione statale. Poi c’è la strage all’Esselunga di Firenze dove lavoravano ben 49 aziende appaltate. Ma queste aziende che sono capo commesse non hanno nessuna responsabilità se per esempio ci sono morti sul lavoro, o le appaltate non rispettano anche le più elementari misure di Sicurezza. Il precariato è un’autentica piaga che colpisce i più deboli e ricattabili. Si alla loro abolizione. Quindi è giusto votare Si anche al Referendum dove il Capo Commessa diventa responsabile di tutta la catena del sub appalto. Il precariato è un’autentica piaga che colpisce i più deboli e ricattabili anche questo aspetto fa aumentare i morti sul lavoro. Si anche a questo quesito. È anche giusto votare Si e dare la cittadinanza italiana a chi già da 5 anni lavora in regola in Italia, dieci anni sono troppi. Ricordo a tutti che l’anno scorso il 35% dei morti sui luoghi di lavoro, sotto i 60 anni sono stranieri: fanno i lavori più umili e pericolosi, non possiamo considerarli e farli considerare diversi, e fare diventare questi lavoratori corpi estranei, per poi ritrovarci come nelle periferie francesi. Altra cosa se mi chiedete se occorre l’espulsione immediata per chi commette reati gravi: di delinquenti ne abbiamo già troppi tra gli italiani e quindi ci vuole l’espulsione immediata per gli stranieri che commettono reati. Volevo dire a chi essendo assunto prima del 2015 si sente protetto dall’articolo 18, che oltre alla solidarietà per gli altri lavoratori, difende così anche la sua posizione: tra pochi anni, se i Referendum non passeranno, la maggioranza dei lavoratori non avrà più l’articolo 18, e anche loro saranno meno tutelati. Poi se si hanno figli e nipoti occorre cercare di non farli entrare in una giungla lavorativa.
CARLO SORICELLI, curatore dell’«Osservatorio di Bologna morti sul lavoro», attivo dal 1° gennaio 2008, e artista sociale da oltre 50 anni . CFR http://cadutisullavoro.blogspot.it