Covid, biopotere, individualismo ultrà

Una discussione (molto accesa) nella sinistra francese: alcune considerazioni riprese da https://tempofertile.blogspot.com

 

Circa Valérie Gérard, “Tracer des lignes: sur la mobilisation contre le pass sanitaire

Un interessante dibattito rimbalza sulle colonne di “Sinistra in rete”, attraverso una confutazione sulla quale torneremo[1], muovendo da un libricino[2] disponibile in rete della filosofa francese Valérie Gérard. La Gérard si interroga sulla natura di quel movimento che ogni sabato batte le strade francesi contro il pass sanitario e che apparentemente ha preso la staffetta lasciata dai Gilet Gialli. La tesi della filosofa è che per giudicare un movimento non bisogna tanto prestare attenzione alle idee, quanto ai discorsi ed alle pratiche concrete. Ovvero agli atti ed agli affetti che mette in campo.

La tesi è quindi che il movimento in oggetto ha un segno diverso da quello dei Gilet Gialli, e per alcuni versi opposto (con tutto che alcuni leader dei GG sono presenti). Si tratterebbe infatti di un movimento individualista e iper-liberista. In sostanza la mobilitazione contro il pass sanitario, e contro la “società del controllo”, si muoverebbe in continuità con ambienti che la nostra non esita a chiamare di estrema destra o segue promotori disonesti di trattamenti inefficaci, no-vax, complottisti[3]. Un elemento che seduce la sinistra radicale è la critica del controllo sociale sicuritario, oltre, ed è un altro tema, il tentativo di non lasciare la piazza. O, come scrive, la pretesa di essere l’avanguardia illuminata che guida quelli che non sanno quel che fanno.

Quel che la preoccupa “sono le linee di forza che acquisiscono importanza nel campo politico e quello che questo movimento costituisce e prefigura”. E la diagnosi è impietosa:

“Quello che viene affermato è la libertà dell’individuo contro gli altri, la libertà di essere contaminato e incidentalmente di contaminare gli altri, ma anche quello di lasciare che il virus circoli, col rischio delle mutazioni e dunque di divenire più pericoloso e di far durare più a lungo l’epidemia e le restrizioni – e anche la disgregazione sociale – che le sono ovviamente legate. È una libertà puramente egocentrica per la quale il mondo può anche finire, ma le libertà puramente individuali non devono essere toccate. Sono degli individui-monadi autarchici, imperi in un impero, e quello che accade agli altri non gli interessa minimamente. È un discorso radicato in una visione spenceriana della società in cui la gente sana, con delle buone difese immunitarie, sopravviverà e tanto peggio per gli altri”.

Oppure si può anche riconoscere che alcune provenienze sono connesse ad una naturopatia che non è radicata solo nelle posizioni della sinistra (come ingenuamente si pensa), quanto anche della destra radicale. Anche qui si fa strada una posizione che suona più o meno così: “se io da sempre mi prendo cura di me non posso permettere che per colpa di altri (o per altri) una sostanza estranea entri dentro di me”. Una posizione che, al di là dell’eventuale realtà o adeguatezza, suona eticamente e politicamente irresponsabile. In sostanza si dice che se io sono in forma ed ho una (presunta) buona immunità (perché sono aderente alla ‘natura’) allora mi posso chiamare fuori. Che gli altri pensino a sé, fatti loro. Come scrive: “Non si tratta in nessun caso, ai loro occhi, di pensare a una forma di risposta collettiva contro la pandemia (mentre è evidente che la risposta non può che essere collettiva). Dell’idea che ci si prenda tutti e tutte la responsabilità di farsi vaccinare (e applicare delle misure serie per frenare la pandemia), di fermare insieme, in modo solidale, la circolazione del virus, non ne vogliono neanche sentir parlare”.

Qui la questione non è di prova scientifica (che nessuno è in grado di discutere con la necessaria competenza, se non scegliendo la ciliegia del principio di autorità che conferma i propri orientamenti), ma di preferenze per delle relazioni. E quindi la preferenza che delimita la scelta della Gérard è quella per il modo di vivere e legarsi agli altri, quindi “una preferenza per un mondo in cui si è solidali gli uni con gli altri per far fronte a un pericolo, a un virus, più che per uno in cui si lascia ciascuno a vedersela da solo con la sua pretesa natura o la sua fortuna, le sue eredità o capitali sociali”.

La potenza che si manifesta nel movimento rinvia al contrario alla distruzione di ogni solidarietà, ad un immaginario politico ultra-liberale ed anti-egualitario. Anche i pochi che cercano di far sentire la propria voce su agende più condivisibili, per la sanità pubblica, per la vaccinazione obbligatoria in categorie a rischio primario (e diffusa nel terzo mondo), per la revoca dei brevetti, non danno il tono al movimento. Che resta offuscato dalle grida per la ‘libertà’, per ‘la libera scelta del proprio corpo’, etc. Preso interamente in una enorme confusione e caos (che riconosceranno tutti gli autori che qui leggiamo) che fa uso di volta in volta delle citazioni del “biopotere”, applicato fuori senso per misure di mutua protezione (qui la nostra cita Agamben), o dalla ripresa delle posizioni di Raoult (che la nostra chiama direttamente “impostore” e “manipolatore”). Un movimento nel quale è finito per passare, per essere accettato, che “la resistenza al sistema, al potere, allo Stato, al governo, si allei col covid-scetticismo” e nel quale “si è fatto troppo poco per separare le due questioni, quella della resistenza all’indurimento autoritario del regime e quella della protezione reciproca da organizzare collettivamente, per combattere insieme il virus e proteggersi a vicenda”. Vedremo nell’ultimo intervento che l’intera esistenza di un “noi” che si dovrebbe difendere è negata in radice.

Per l’autrice, invece, si poteva combattere ad un tempo Macron e il virus. Il presidente francese, come i premier italiani, non ha infatti investito abbastanza su scuola e trasporto, ha manifestato carenze nelle politiche di vaccinazione, nei controlli negli aeroporti e nelle procedure di accesso al paese, ha prodotto un’azione piena di contraddizioni e insufficienze. Ma un punto bisogna tenerlo fermo: “Il campo di forza costituito dal movimento attuale non è né egualitario né emancipativo. Prospera sulla confusione. Per questo è tanto più importante tracciare delle linee chiare”.

Questa posizione molto netta, e con toni anche qui e là problematici, viene commentata con favore da Marcello Tarì[4] e con sfavore da Michele Garau.

Il primo a tutta evidenza parla da una posizione più radicale e segnala la disgregazione e sconfitta del senso di direzione e comunanza di quel movimento che nel finire degli anni novanta si riunì sotto le bandiere “no global”. Chiarisce “l’esplosione, dispersione e dileguamento di quel Noi reticolare che, seppure non ha sconfitto il capitalismo, quantomeno era apparso potesse essere la base a partire dalla quale «vivere e lottare»”. E con essa anche l’inevitabile decomposizione di tutti i “noi”, per quanto piccoli, che erano sorti intorno a questa prospettiva (che aveva raccolto, per un breve attimo, gli orfani della lotta di classe).

Precisamente questa confusione produce l’ambiente nel quale il concetto di libertà è slittato, anche nella sinistra radicale, dal “noi” (che si è perso) all’ “io”. Cioè che ha finito per ancorarsi a ciò che “il so”, “io voglio”, “io giudico”.

Dunque:

“dagli insorgenti di Capitol Hill a quelli che assaltano i centri di vaccinazione in Francia, la tendenza emergente è che quegli Io si aggregano e formano delle folle compatte le quali inclinano naturalmente verso pulsioni anarco-fasciste. Sarebbe ingenuo credere sia una novità dovuta a questo momento storico costituito dalla pandemia ma, come sempre quando si tratta di storia delle mentalità, era qualcosa che era già qui da tempo e a cui l’evento pandemico ha dato la possibilità di riconoscersi e mostrarsi a cielo aperto. Nello stesso identico modo in cui la pandemia ha permesso che strumenti tecnologici per la produzione-consumo-controllo individualizzanti, anch’essi già presenti da tempo nelle nostre abitazioni e nelle nostre tasche, cioè installati nella nostra mente, abbiano ricevuto una nuova coerenza logistica che permette ai governi e alle corporation di fare un «salto di qualità». Gli uni sono lo specchio degli altri, ovvero gli uni sono funzionali agli altri, avendo come base comune il delirio monocratico dell’Ego. Spirito dell’Io e spirito della Tecnica, unificati nel capitalismo apocalittico, costituiscono un dispositivo diffuso, un gas atmosferico attraverso cui spira e regna lo «spirito di questo mondo», spirito della separazione e dell’angustia”.

Si tratta, dunque, di un concetto angusto di libertà che è penetrato anche nel campo che dovrebbe opporvisi. Persa la prospettiva anticapitalista comune, smarrito il “noi”, è restato solo lo “stare bene, padrone della mia vita”.

Questo è il senso letto nell’articolo della Gérard e rimarcato da Tarì:

“il suo puntare una cruda luce sul fatto che lo sfondo ideologico e le pratiche di quel movimento non hanno nulla di emancipativo o liberante, nonostante gli sforzi di quelli che cercano di portarvi un discorso contro il controllo sociale, ma che è un exploit sostanzialmente ultra-liberista, dove ciò che conta è solo il mio desiderio, la mia salute, la mia scelta, il mio corpo, la mia libertà, la mia festa, la mia vita e, al limite, la mia piccola cerchia. Gérard è chiara e tagliente: si tratta in fin dei conti della libertà feroce di un Io, alleato ad altre individualità che si immaginano vere, forti e vincenti, usata contro i più fragili. Il problema è che questi Io, pochi o tanti che siano, sono all’offensiva”.

Questo è un punto da scolpire: “libertà feroce di Io, alleati ad altre individualità che si immaginano vere, forti, vincenti” e che, per questo, rifiutano qualunque per quanto minimo sacrificio. Gli altri se la cavino da soli.

Per Tarì, insomma, anche se il testo della Gérard “non è abbastanza antagonista” solleva una questione vera. Il taccheggiare, l’assecondare la confusione e dare spago a “una massa di narcisi egoisti truccati da anti-sistema”. Quindi, alla fine, “Quello che resta del campo antagonista o alternativo davanti all’evento maggiore di quest’epoca balbetta, non sa bene che dire né che fare e quello che fa e dice spesso lo fa e dice male, cercando di darsi delle ragioni per essere presente o assente. Capisco che non sia facile, comprendo il balbettamento e anche gli errori. Sono in gran parte anche le mie difficoltà, il mio balbettamento e i miei errori, ma detesto l’ipocrisia, l’ambiguità e la furberia”.

Quella di chi non sa distinguere tra chi esprime in sostanza una “adesione piena all’individualismo ultrà” che domina sulla scena. Chi immagina l’intera realtà come nemica, malvagia e rivolta contro se stessi. Chi ha una visione chiaramente paranoico-ossessiva (così la definisce) che vede solo biopotere, apparati securitari, potere medico, occulti centri di controllo e masse di stupidi che rifiutano la ‘verità’.

“È come se un brutto sogno notturno assumesse al risveglio la dignità di manifesto politico del giorno. I concetti che per un periodo hanno costituito l’armatura di un discorso antagonista all’ordinamento del mondo, che sono stati usati per comprendere il presente, vengono così banalizzati e stravolti in una ideologia bipartisan i cui aderenti, per essere davvero coerenti, dovrebbero onorare Trump e Bolsonaro come i veri padri nobili della “nuova resistenza”; quelli infatti se ne sono sempre fottuti tanto dei vaccini che di tutto il resto. Per contro, in tale visione totalizzante, non esistono i morti, i malati, i deboli, i poveri, gli ultimi, i Sud del mondo. O comunque non contano nulla nella mia lotta contro lo sfregio alla mia libertà”.

 

Infine, sulle stesse colonne Michele Garau ha una posizione del tutto opposta, ed è quella riportata da “Sinistra in rete” (che ha evidentemente scelto la parte in cui stare). Garau parte da un preambolo nel quale riconosce che l’intero dibattito collassa e si polarizza mischiando piani sanitari, tecnici, politici ed epidemiologici in un modo che si interseca con la questione diversa delle potenzialità conflittuali delle proteste in corso. Il piano della critica scientifica è rigettato dall’autore, che in proposito ricorda la presa di posizione contro Illich dello stesso Foucault[5]. Non si può criticare una formazione di sapere assumendone linguaggio e categorie, ovvero immettendosi nel suo proprio campo di interrogativi e di competenze tecniche. Si fa inevitabilmente la figura del dilettante o del ‘raccoglitore di ciliegie’[6].

La domanda è quindi:

“È possibile schivare questo rischio? È accettabile individuare un campo di battaglia nel progetto di manipolazione e mappatura del vivente, di raccolta di dati biologici e quadrillage poliziesco che il dispositivo del passaporto vaccinale porta con sé, senza per questo entrare nel merito dell’efficacia sanitaria del vaccino, ma soprattutto delle alternative più o meno credibili al suo utilizzo? È legittimo criticare il modo in cui l’emergenza è stata affrontata, compreso il perseguimento della campagna vaccinale come assoluta panacea, l’ospedalizzazione sistematica a discapito di qualsiasi cura domiciliare, senza perdere la lucidità rispetto alle dimensioni del problema? Si può, inoltre, guardare con interesse al conflitto sul passaporto sanitario in termini politici, di sintomo epistemologico e di rifiuto della presa delle istituzioni, mediche ed economiche, sui corpi, andando oltre il linguaggio della medicina?”

Evidentemente Gérard propone come criterio alternativo l’affinità verso le ‘forme di vita’ elette, l’intesa sulle visioni dell’esistenza, il “fondo antropologico”. Una posizione che Garau non può accettare completamente. Per lui si tratta, al contrario, di accettare il rischio di frammentarietà, di balbettamento, ma non esimersi completamente dalla critica verso il complesso delle tecniche e dei registri scientifici, e relativi apparati. Criticare quindi, malgrado il rischio di incomprensione, la politicità intrinseca, la decisionalità, le caratteristiche di strategia e comando, proprie della razionalità scientifica come ‘istituzione’.

Anche se l’autore non crede che questa mobilitazione darà una scossa e che avrà carattere di permanenza e lungo respiro, purtuttavia resta legato ad un principio metodologico che enuncia così: “un conflitto non si giudica dagli enunciati iniziali dei suoi soggetti, dalla loro identità. Un principio metodologico semplice che è soggetto a brusche oscillazioni e non fornisce garanzie, quello di privilegiare il divenire degli eventi rispetto alla sostanza dei ruoli, delle etichette, del calcolo sociometrico”. Un principio chiaramente e radicalmente anti-marxista, di evidente matrice anarchica (per chi conosce le famiglie ideologiche del novecento).

Se, quindi, il nostro ammette tranquillamente che “in gran parte il profilo delle persone che scendono in strada sia lo stesso, con la medesima costituzione antropologica «ultraliberale» ed un’analoga e spuria visione del mondo”, e quindi resta sempre il rischio di “essere travolti dal fango”, purtuttavia rifiuta di squalificare gli elementi di verità presenti (la riduzione dei corpi a fondo e mappatura dei dati[7]), sulla base di un mero “giudizio antropologico”.

Ricapitoliamo:

Garau non mette affatto in discussione il “giudizio antropologico” di iper-liberismo, lo accetta per vero, ma nega che questa diagnosi debba guidare l’azione. Perché lo nega? Il motivo è semplice e netto, e lo scrive molto bene: “In quanto al progetto di difendere o ricucire il legame sociale, resto convinto che il gioco delle forme di vita, il loro conflitto e la loro composizione come sola essenza di un agire etico, passi dalla sua distruzione e frammentazione”. Quel che vuole produrre è quindi, ed anche nel mezzo di una pandemia, una “secessione” e uscita dalla civiltà presente; intende arrivare ad un “fuori esistenziale e politico”. E, per questo, per lui bisogna ammettere che questa prospettiva “non si può intravvedere da nessuna altra parte che in desideri e immaginari che sono, da principio, ‘ultraliberali’.”

La posizione è quindi compiutamente e consapevolmente anarchica (e probabilmente di un anarchismo ‘accelerazionista’): “L’elaborazione di un tipo di «libertà comunista», irriducibilmente altra dal presente, non sta in nessun’osservanza della responsabilità sociale, in nessun piegarsi in sacrificio alla collettività come norma universale”, e quindi viene indicato chiaramente l’avversario, ovvero “i bizzarri rigurgiti socialisti di quei compagni che delirano di vaccini come «bene comune» o atto d’amore verso la comunità”.

Il suo romanticismo (direi piccolo-borghese, ma qui mi perdonerà) scaturisce dalla motivazione di questa scelta, che segue immediatamente: “fare una manifestazione selvaggia, anche solo per chiedere di tornare alla vita di prima, per rivendicare la mera e individualistica riproduzione materiale – tra lavoro e consumo – è comunque una condizione per esperienze più vive ed autentiche della semplice obbedienza”. Si ricollega quindi ed infine alla esperienza delle piazze contro il lock down, anche se il programma non era generalizzabile, se rasentava l’egoismo. Lo rivendica.

Gramsci, nel 1919[8], scriverà che gli anarchici, in sostanza, “puntano a ridurre tutto ad una avventura romantica”. Non potrebbe essere più chiaro.

L’autore conclude, infatti:

“è sempre bene tenere a mente che nessuna nuova idea di libertà verrà impressa dall’esterno a questa condizione. Mentre cortei selvaggi e disordini estemporanei animano le strade della mia città, mentre ministri ed organi di informazione agitano minacce estremistiche, convocano il pericolo terroristico per un tirapugni ed il cazzotto (sacrosanto) ad un giornalista, mi pare che l’ultima cosa da fare sia tracciare le linee sbagliate. Ammettere di balbettare, di essere interdetti di fronte alla realtà e di faticare a prendere posizioni chiare, come mostrano queste righe scritte malvolentieri, mi sembra una migliore soluzione. E se in questa confusione la linea che delimita un punto credibile da cui pensare e attaccare non è stata forse ancora disegnata, è certo che passerà più probabilmente tra i farfugliamenti inarticolati dei tumulti, con tutti i loro pericoli e le loro scorie (anche con i loro deliri) che in mezzo alla tiepida saggezza di chi resta ben allineato”.

Se poi, mentre il nostro amico si sente vivo ed autentico, mentre sperimenta, farfuglia, accetta i deliri, qualcuno muore (magari qualche inutile vecchio come Sepulveda) non fa niente. L’importante è sollevare la “forza anonima che mina il legame sociale”, scontandone gli effetti antisociali, irresponsabili e particolaristici dai quali muove. L’importante, lo dice chiaramente, è distruggere il “patto sociale”.

Ovvero, come cita:

“L’oscuro spettacolo delle rivolte del 2011 aveva un aspetto stranamente conformista, e il focus sul saccheggio dei beni di consumo indica l’enorme potere dell’immaginario consumistico e l’uniformità ideologica del periodo neoliberale contemporaneo. Quelli che si sono rivoltati non erano gruppi politicizzati che lottavano per un mondo più giusto ed equo. Non hanno fatto richieste a chi era al potere, e non erano in possesso di una visione ideologica di un percorso storico nuovo e progressivo. Consapevolmente, non volevano cambiare nulla. Erano sussunti dall’avventura esperienziale della rivolta e, per quanto riguarda i saccheggi, volevano quello che potevano. Inconsciamente, volevano cambiare tutto ciò che riguardava il loro essere-nel-mondo”[9].

Dunque, direi che siamo perfettamente d’accordo, tutte queste sono mobilitazioni neoliberali e non vogliono cambiare nulla.

Ma, dico, per questo non basta il capitalismo?

Di sicuro a me basta per sapere dove stare.

[1] – Un pezzo, davvero interessante e di cui parleremo tra breve, di Michele Garau “Alcune note polemiche a partire da uno scritto di Valérie Gérard

[2] – Disponibile a questo link https://www.editions-mf.com/produit/108/9782378040420/tracer-des-lignes

[3] – In questo contesto non si intende, naturalmente, il fatto che più persone si riuniscano in segreto per agire contro altre (perché questo avviene continuamente), ma quelli che riguardano la politica e che sono indeterminati e contemporaneamente illimitati. Ovvero è una ‘teoria del complotto’, in questo contesto, l’attribuzione di un fenomeno sociale all’azione di indeterminati attori, dai fini vaghi, perfettamente eseguiti, interminabili, non connessi ad una specifica conformazione temporale e spaziale. Esse sono, tipicamente: ‘sfocate’ (hanno fini illimitati come il dominio del mondo); coinvolgono attori sia indefiniti sia innumerevoli (ed estendibili a chiunque li neghi); dallo svolgimento coerente e perfetto (ad onta della innumerevole partecipazione e vaghezza degli obiettivi); astorici e fuori contesto e quindi eterni.

[4] – Marcello Tarì, “We are Winning

[5] – M. Foucault, Crisi della medicina o crisi dell’antimedicina? (1976), in Il filosofo militante: Archivio Foucault 2. Interventi, colloqui, interviste. 1971-1977, Milano, Feltrinelli, 2017, pp. 202-219.

[6] – Si usa questa locuzione di chi sceglie da un albero (es. da un dibattito disciplinare) solo quelle parti che si confanno sin dall’inizio alla propria tesi, ignorando quelli contrari e spesso forzando l’interpretazione di testi e significati.

[7] – Singolare affermazione per un semplice, banalissimo, certificato di avvenuta vaccinazione (i cui dati non sono certamente prodotti per l’essere scaricati nell’app “io”), quando la Pubblica Amministrazione registra, come ovvio e necessario, ogni visita, ogni prestazione, medicina, visita in ospedale, e innumerevoli altri momenti della vita. E, soprattutto, quando lo fanno tutti.

[8] – Antonio Gramsci, ad esempio in “Lo Stato e il socialismo”, L’Ordine Nuovo, 1919, chiarisce che il “tipo sociale” dell’anarchico, con riferimento ad un articolo precedente nella medesima rivista, deve essere “conosciuto, studiato, discusso e superato”, perché si tratta di “pseudorivoluzionari” che basano la propria azione solo sulla “mera fraselogia ampollosa, sulla frenesia operaia, sull’entusiasmo romantico è solo un demagogo, non è un rivoluzionario”. E’ tutto il contrario, infatti, “Sono necessari, per la rivoluzione, uomini dalla mente sobria, uomini che non facciano mancare il pane nelle panetterie, che facciano viaggiare i treni, che provvedano le officine di materie prime e trovino da scambiare i prodotti industriali coi prodotti agricoli, che assicurino l’integrità e la libertà personale dalle aggressioni dei malviventi, che facciano funzionare il complesso dei servizi sociali e non riducano alla disperazione e alla pazza strage interna il popolo. L’entusiasmo verbale e la sfrenatezza fraseologica fanno ridere (o piangere) quando uno solo di questi problemi deve essere risolto anche solo in un villaggio di cento abitanti”.

[9] – S. WINLOW, S. HALL, Gone shopping: Inarticulate politics in the English riots of 2011, in D. BRIGGS, The English riots of 2011: a summer of discontent, London, Waterside press, 2012, pp. 149-168: p. 153.

da qui

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

9 commenti

  • Lungi da me l’idea di potermi accostare a cotanti intellettuali. Sono un uomo della strada, nel senso che non leggero, ma cerco soprattutto di vivere rapporti e relazioni, e porgo questo piccolo spunto di riflessione
    Avere dubbi sul vaccino significa essere additati come fiancheggiatori di una destra fascista e violenta come Forza Nuova e di una destra istituzionale, quella della Meloni e di Salvini, che flirta spudoratamente con i camerati. E tale logica è stata ulteriormente acuita con i fatti di Roma e l’assalto alla sede delle C.G.I.L. facendo automaticamente diventare tutti i contrari al vaccino la personificazione della violenza. dell’odio e del totalitarismo, Ideologicamente mi ritengo all’antitesi di Forza Nuova e mai potrò accettare di essere confuso con i suoi adepti. Infatti quello che ha sempre mosso il mio modo di agire è il rispetto per l’altro – caratterizzato dalla scelta di stare sempre dalla parte del più debole – la solidarietà, il mutuo soccorso e la ricerca della giustizia fra gli uomini, non temendo di pagare duramente per le mie scelte controcorrente e critiche nei confronti del potere dominante. Anche la mia perplessità sul vaccino entra a pieno titolo nella strada che ho sempre cercato di percorrere. Infatti voglio sottolineare che inizialmente avevo la ferma intenzione di sottopormi alla vaccinazione perché la ritenevo una cosa utile, non solo per me, ma anche e soprattutto per preservare gli altri. Credevo che in questo modo, pur con gli inevitabili rischi, potevo dare un contributo al ritorno alla normalità e al civile convivere. Ma da subito i dubbi si son insinuati perché a una comunicazione ne seguiva un’altra contraddittoria e ho scoperto che i vaccinati potevano essere infettati, ma soprattutto che a loro volta erano contagiosi. Mi sono accorto che l’informazione diventava propaganda, che il premio Nobel per la Medicina Luc Montagnier era stato trasformato in un vecchio rimbambito e successivamente oscurato perché aveva espresso pareri difformi rispetto alla crociata che si portava avanti, che bisognava credere e obbedire (mancava combattere per realizzare una completa assonanza con un passato di triste memoria) senza che nessuno desse delle informazioni plausibili, anzi ci venivano raccontate fandonie e falsità.
    Qui di seguito propongo un esempio incontrovertibile. Il 24 agosto 2021 Guido Rasi, ex direttore EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) e attuale consigliere del generale Figliuolo, nella trasmissione “Stasera Italia” di Rete 4 ha dichiarato: “In Israele i vaccinati sono solo il 13%, control’87% dei non vaccinati, quelli ricoverati in ospedale”. Il 25 agosto 2021 il dottor Kobi Haviv, direttore dell’ospedale “Herzog” di Gerusalemme, intervistato dalla Tv israeliana Channel 13, ha affermato: “I ricoverati completamente vaccinati sono l’85-90%, l’efficacia del vaccino sta scomparendo.
    ssione.

  • Mariano Rampini

    Una simile querelle non poteva non intrigarmi. Non fosse altro perché dà voce a tutta una serie di dubbi e di perplessità che mi hanno e mi agitano in questi strani tempi di vita. Sono stato di sinistra credo da sempre. Non per una scelta ideologica sofferta nell’animo ma per una pulsione dello stesso verso una forma di giustizia che, appunto, lottasse contro ogni forma d ingiustizia. Per un’insofferenza verso tutte le forme di oppressione che i miei tempi – nel 1969 avevo appena 16 anni – mi ponevano davanti ma anche per un amore sviscerato e ancora fortissimo per tutto ciò che rappresenta una forma della libertà. Mai legato ufficialmente a una formazione avevo amici e amiche che passavano dall’arco costituzionale a quello della sinistra extraparlamentare (Lotta continua e Avanguardia operaia su tutti) e finchè almeno non fui costretto da vicende personali e familiari ad abbandonare (è un modo dire perché queste cose non si abbandonano mai) l’attività politica diretta, vissi gli anni più felici e intensi della mia vita. Da allora fin troppa acqua è passata sotto i ponti e tante cose sono avvenute che hanno lasciato segni (a volte cicatrici) sulla mia pelliccia di semplice “cane sciolto”. Ma almeno l’idea è rimasta quella anche se spesso ho dovuto vestire panni non miei e non sempre per scelta. Non intendo ovviamente proporre agli amici de La Bottega dell’amico Daniele una “rilettura” ragionata dei miei trascorsi ma questo lungo prologo rende forse più chiara l’impressione che questo articolo ha generato in me. Mi sono sentito, per dirla tutta, come stessi vivendo le Giornate di maggio di Barcellona nel 1937 quando, nel bel mezzo della guerra di Spagna contro i franchisti, forze della sinistra finirono con lo spararsi contro. Ancora una volta non intendo entrare nel merito di quella vicenda che uso come semplice esempio di un malessere che non riesco a determinare o, meglio, a inquadrare. Da un lato sento agitare le bandiere di una libertà contro tutto e tutti. Contro un sistema di vita che, indubbiamente, ha generato e difende forme di disuguaglianza fortissime. Dall’altro, al contrario, si agitano bandiere altrettanto dotate di forza con la quale si richiama a una responsabilità sociale fatta fulcro di una convivenza più giusta e attenta proprio a evitare un “gioco al massacro” proprio tra i più deboli. Senza dubbio alcuno scelgo una parte. Che è quella di Valerie Gerard (perdonatemi gli accenti invisibili). Un’osservazione acuta di ciò che sta avvenendo nelle piazze e che si va diffondendo spinta da ansie e paure che nessuno, neanche le voci più assennate, sembrano riuscire a contrastare. Al tempo stesso però qualcosa mi tira per la manica come a volermi trattenere. Non intendo ascoltare quel richiamo: la mia libertà deve essere quella di tutti. Altrimenti nulla avrebbe più senso e potremmo davvero perderci in un cupio dissolvi globale che coinvolgerebbe tutti, indistintamente. La totale libertà individuale finisce, se ci ragiono con il mio poco sapere, col condurci lungo una strada assai pericolosa: quella dell’indifferenza, della perdita di empatia verso gli altri, nessuno escluso. Sembra quasi di assistere a uno psicodramma nel quale i personaggi si agitano come molecole d’acqua portate a bollore, urtandosi l’uno con l’altro, incuranti di tutto e tutti. Una visione dantesca di una bolgia di dannati che si sono dannati da soli. Ringrazio quindi la Gerard per il suo pensiero, per quel richiamo alla logica del rispetto degli altri e della debolezza di chi soffre o ha sofferto. E chiedo perdono agli amici della Bottega per questo sfogo forse fin troppo sentito e caotico.

  • MI SCUSO PER IL REFUSO O L’ERRORE: NON “LEGGERO”, MA “NON MI LIMITO A LEGGERE”, C AUSATO DALLA FRETTA DI RISPONDERE AD UN MONDO CHE NON MI APPARTIENE.
    SI PENSI SOLO AGLI ATTACCHI FORSENNATI A REPORT CHE SI OSTINA A VOLER CONTINUREA PENSARE.
    MA TUTTI BRAVI E ALLINEATI A TACCIARE DI INDIVIDUALISMO IL PENSIERO DIVERGENTE.
    CONTINUO AD ESSERE D SINISTRA ANCHE SE CON QUESTO SINISTRO PLEBISCITO PER IL POTERE HO POCO DA SPARTIRE

  • Giorgio Ferrari

    Il sunto (efficace) che la Bottega ha fatto del libricino di Valérie Gérard nonché delle repliche di Marcello Tarì e di Michele Garau, confermano, a mio modo di vedere, che il dibattito sulle “cose del mondo” è, da tempo, ostinatamente orientato sugli effetti più che sulle cause che potrebbero esserne all’origine. Questo atteggiamento è riscontrabile, ad esempio, in ciò che riguarda i cambiamenti climatici, laddove l’espressione maggiore e maggioritaria di analisi e mobilitazioni si incentra sull’effetto provocato dai gas serra, senza per nulla (o quasi) interrogarsi sulle cause originarie di questo effetto (per semplificare: il modo di produzione capitalista) e di conseguenza agire contro di esso. Analogamente nel caso della pandemia, si preferisce puntare l’attenzione sulle prese di posizione e sui comportamenti conseguenti che parte della popolazione ha assunto nei confronti delle misure sanitarie e/o di carattere amministrativo (vaccini e green pass) messe in atto dai governi, senza indagare, non più di tanto almeno, le cause prossime e remote che hanno portato alla pandemia e nemmeno per quali scopi, palesi o nascosti, si sia scelto di adottare tali misure. E sì che più di un anno fa il direttore di Lancet Richard Horton, aveva coniato per l’emergenza in corso il termine di “sindemia”, ottenendo consensi e gradimento dall’intellighentia di sinistra.
    Per questo, scrivendo di paura e post-verità su la Bottega, avevo tentato di spostare l’attenzione sull’ “albero” (del Potere) piuttosto che sul “bosco” (dei no-vax e no green pass) per riproporre la questione sotto il profilo della “contraddizione” marxiana che muove, innanzi tutto, dall’analisi dell’agire capitalistico e delle classi dominanti. Dunque potere e classi che nel magma di suggestioni post-tutto (post-strutturalismo, post-modernismo, post-fordismo, post-materialismo, post-marxismo) sono semplicemente scomparse come risulta evidente in questo intervento. Confesso quindi il mio disagio nell’affrontare certe argomentazioni perché, senza alcun intento polemico, avverto una certa fatica nei pro e contro espressi nei confronti di questa parte di popolazione che, pur non volendo, la si finisce per etichettare (non analizzare) oscillando tra l’appellativo di movimenti anti egualitari ed ultraliberali, a portatori sani di un agire etico, comunque antisistemico, anche se attinto da “desideri e immaginari” ultraliberali.
    Rispetto a cosa, mi chiedo, si tentano queste definizioni? C’è forse un analisi della composizione sociale di questi movimenti? No perché è un esercizio in disuso da tempo. Si parla di valori come l’etica e la libertà, senza alcun riferimento di scopo, neanche fossero valori assoluti. Se la libertà a cui ci si riferisce è quella di Voltaire, vuol dire che non riusciamo più a esprimere un pensiero che non sia derivazione di quello borghese, che abbiamo messo da parte tutto quanto abbiamo appreso dai e nei percorsi di liberazione collettiva che ci hanno preceduto o di cui abbiamo fatto parte, ed oggi ci prepariamo ad affrontare le contraddizioni attuali con la mentalità del secolo dei lumi. La frammentazione, l’individualismo, l’identitarismo non albergano solo fra i movimenti in questione, ma in tutti gli strati sociali e negli stessi ambienti di sinistra laddove l’aggregazione per “affinità”( di genere, di gusto, di alimentazione o di altra appartenenza), assume specificità tali da risultare spesso discriminante verso qualsivoglia ipotesi di liberazione collettiva.
    Ripeto, non è per polemica che scrivo queste cose, ma per sollevare una questione di metodo.

  • Non sono d’accordo con la “visione” generale dell’articolo e sui troppi riferimenti a “verità” precostituite.
    mi credo di sinistra ma potrei sbagliarmi a questo punto, ma forse è la classica strategia, dividi et impera.
    I virus sono sempre esistiti e hanno mietuto vittime fra i più deboli. Abbiamo il vaccino che i deboli se lo facciano, le varianti ci sono e ci saranno speriamo che tra le più virulente si delinei quella che non sia la più letale. Sappiamo tutti che se una variante resiste al vaccino ed è letale vanifica tutti gli sforzi e sono assolutamente contro la vaccinazione di massa che aumenta questa possibilita di varianti resistenti. L’umanità non sparirà per questa pandemia ed un vaccino che non impedisce di ammalarsi è pericoloso per quanto appena detto. Vaccinate i vari Sepulveda e tutti quelli che lo vogliono e permettetemi di morire in pace. (per la cronaca ne ho fatte due di iniezioni e non farò la terza, la quarta etc…. semplicemente non voglio vivere in un mondo dove per vivere si deve violare la mia volontà su presunte violazioni della libertà di vaccinarsi altrui.
    Questo in poche righe è il mio metodo e credo

  • Sono sgomento e sopraffatto da quello che leggo. Ammetto di non avere obiezioni, almeno non ancora. Confortato solo dal tentativo di Ferrari di raddrizzare le cose mi pongo in stand by. Nonostante consideri il tentativo inefficace perché non dispone, non dispongo io, l’analisi degli interessi in gioco e di come questi si riflettono nei rapporti tra le classi.
    Tuttavia permettetemi di sollevera un unico e solo problema, che dovrebbe accentrare l’attenzione di tutti e sembra quasi non essere pereso in considerazione. Per me, è invece l’elemento chiave. Cioé l’aggressione politica ai lavortaori e ai loro diritti implicito nel passaporto verde. L’arbitrio che il governo ha concesso al padronato di licenziare chi non si vaccina o a problemi con i tamponi. Molti hanno già perso il posto di lavoro. Per me questo costituisce un discrimine. Stabilisce una linea di demarcazione. Il padronato non solo si libera dei lavoratori che “vogliono fare a modo loro”, lavaratori pensanti, pericolosi in sé; dall’altro stabilisce un precedente che non mancherà di invocare quando lo riterrà opportuno.
    Illudersi che non sarà così è voler credere che cristo sia morto di freddo.
    Non schierarsi apertamente o limitarsi a sollevare un ditino per obiettare, per subito ritirarlo quando il padronato alza la voce, aggiunge all’illusiojne la oggettiva complicità: parlo a te Segretario Generale della CGIL. Se non lo hai capito sei il primo destinatario di questamia accusa.

  • Gian Marco Martignoni

    Su sinistrainrete la collezione degli interventi è così ampia e varia, che è assai difficile distinguere ciò che vale la pena di leggere o meno. Ognuno di noi ha solo l’imbarazzo della scelta, e per essere chiaro questo è tutt’altro che un intervento” entusiasmante “. Ma quando si apre un dibattito sulla bottega, c’è sempre qualcosa da imparare. Pertanto, rimanendo su un piano metodologico, condivido il taglio del ragionamento di Giorgio Ferrari, a partire dal fatto che il covid-19 ha generato una sindemia, con tutti i riflessi che ne conseguono per le classi subalterne e in generale più disagiate su scala mondiale, come acutamente ha rilevato Bonaventura De Sousa nell’agile libretto di impostazione non eurocentrica ” La crudele pedagogia del virus “. In quanto ad un punto affrontato da Miglieruolo, ho notizia sino ad oggi di lavoratori e lavoratrici sospesi sino alla fine dell’anno, che non percepiscono – consapevolmente – la retribuzione.Diversamente non ho notizia, essendo membro della commissione provinciale di conciliazione della mia provincia all’ufficio provinciale del lavoro, di lavoratori o lavoratrici licenziati per le motivazioni accennate da Miglieruolo.

    • Notizia confortante quella che leggo. Probabilmente sono stato fuorviato da ciò che ascolto in televisione. Confesso che, a parte qualche libro, quello che trovo sul presente blog, traggo da lì gli elementi per preoccuparmi o non preoccuparmi di quello che sta avvenendo. Proprio di questi giorni è la notizia di una insegnante con due figli che lamentava appunto il licenziamento. Alla domanda specifica dei conduttori di come avrebbe fatto a tirare avanti, rispondeva che, finché duravano, metteva mano ai suoi risparmi. Voleva forse solo intendere che non percepiva la retribuzione? Potrebbe essere. Potrebbe anche essere che, in assenza di un sindacato all’altezza della situazione, abbia dato per scontato che, finito l’anno, dato che non intendeva vaccinarsi, l’allontanamento dal posto di lavoro sarebbe diventato definitivo.
      Mi si conceda una ultima considerazione che, cautela preventiva, non inficia la stima per il lavoro di Martignoni, nonché la fiducia della sua buona volontà. Ulteriore cautela: sono stato per un quiindicennio membro della CGIL, eletto in posti di discreto rilievo nel pubblico impiego. Mi è sembrata sgradevole la correzione delle mie parole senza concordare sulla gravità in sé della sospensione dal lavoro e dal salario (rilevanti ambedue). Anche accettando la correzione, dovuta a maggiore competenza, non mi sembra possa essere ridimensionato il caso. Anche perché, mi chiedo, cosa succederà dopo dicembre? La pandemia non sembra dare segni di rallentamento, anzi si aggrava. Il governo già medita di rendere obbligatoria la vaccinazione. Con sanzioni alla greca, di cento euro al giorno ai dissidenti? come viene trionfalmente sbandierato dagli ideologi del capitale (si sono marxista, lo ammetto. Orgogliosamente marxista).
      Mi sia concesso di ulteriormente precisare. Utilizzando la franchezza opportuna, anzi necessaria tra compagni. Per me Martignoni lo è, e continuerà a esserlo anche se scoprissi che non lo sono per lui. Ma cosa vuol significare quell’inciso – consapevolmente – a proposito delle retribuzioni non percepite dai lavoratori? Non dare la “giusta mercede” a chi dipende da essa? enormità stratosferica, per un aspirante comunista, come io sono. Quel fastidioso inciso, appare quasi insinuare che sono i lavoratori responsabili della pena a loro inflitta? Spero di no. Perché allora si aprirebbe la strada a considerare i lavoratori in sciopero, che vengono licenziati, artefici del loro destino. Quando invece è il padronato responsabile di tutto, dei bassi salari, delle condizioni di lavoro impossibili, della sistematica erosione dei diritti. Per altro non è da oggi che la CGIL mi ha deluso.

  • Gian Marco Martignoni

    Caro Miglieruolo, proprio perchè ti stimo – notevole il tuo scritto su L.Althusser ( che è stato ospitato anche su sinistrainrete) – devo essere franco, non condivido il tuo punto di vista, e poichè le critiche alla Cgil sono moneta corrente, non sono per ignorarle, perchè probabilmente in molti si aspetterebbero dalla Cgil molto di più di quello che normalmente svolge su più piani dell’attività sindacale, contrattuale e negoziale. Un’aspettativa legittima, giacchè , giusto per la cronaca, chi ti scrive storicamente ha sempre militato, e milita tutt’ora, nelle fila della sinistra sindacale in Cgil, poichè partendo dalla centralità marxista della contraddizione capitale-lavoro ne ho fatto discendere tutta la mia storia sindacale e politica. Pertanto, se una organizzazione ha un compito pedagogico, non può raccontare balle ai lavoratori e alle lavoratrici. Adesso sono in pensione, ma avendo fatto migliaia di assemblee nei luoghi di lavoro, compreso da segretario confederale dal 2002 al 2010 anche il pubblico impiego ( che conosco bene ),avrei detto quello che hai sentito dire da Maurizio Landini.Ovvero, poichè non stiamo scherzando, che siamo per l’obbligo vaccinale, e che il gren-pass non comporta alcuna lesione dei diritti costituzionali, come Massimo Villone ha illustrato più volte su Il manifesto. Ovviamente ho il massimo rispetto intellettuale per Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, ma non condivido una virgola delle loro argomentazioni, che giudico siano anti-marxiste e anti-materialisiche. Comprendo che è dilagato l’individualismo possessivo neoliberale , unitamente ad una de-sindacalizzazione che fa spavento, se solo penso a quando nel 1979 sono stato eletto delegato sindacale per la Fiom-Cgil in una fabbrica di 425 dipendenti.Comprendo che tramontati i partiti di sinistra, sia vecchia che nuova, la qualità dei nuovi delegati e delegate ne ha per forza risentito. Non è colpa loro, giacchè la mia crescita sindacale non sarebbe stata la medesima se il Pdup per il comunismo non mi avesse dato quel completamento sul piano della formazione, unitamente alla lettura quotidiana de Il manifesto, fondamentale per superare i limiti della formazione sindacale ( a cui comunque debbo molto, ma mi dilungherei eccessivamente ).Pertanto, in un’assemblea di fabbrica avrei spiegato che la sospensione dal lavoro non sarebbe durata solo con la scadenza di fine anno, ma avrebbe rischiato di protrarsi anche nel 2022, dato che non sappiamo quando terminerà , uso i termini del dottor Horton, l’emergenza sindemica. Come sai, credo, l’ha spiegato molto bene Maurizio Pallante sempre su Il manifesto, tutti i ricorsi promossi anche dai Cobas della scuola sono stati respinti dalla Corte Costituzionale sulla base del combinato disposto degli articoli costituzionali in materia dell’inderogabile principio della solidarietà e della tutela della salute collettiva. Da leninista ho sempre diffidato dei grilli parlanti, e soprattutto, mi riferisco a Piero Bernocchi, di coloro che non avendo una solida base teorica marxista, e collocandosi su un versante decisamente massimalista,rivendicavano , penso te lo ricordi,il salario europeo. Senza specificare se quello della Grecia o del Portogallo, invece della auspicata Germania.Questi grilli parlanti possono solo ingenerare confusione, e dare indirizzi sbagliati ai lavoratori e alle lavoratrici , a cui un buon sindacalista deve saper dire di no quando è no , per non illuderli inutilmente. Basta vedere come è finita al porto di Trieste….

Rispondi a Gian Marco Martignoni Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *