Scor-data: 25 gennaio 2006

Ciudad Juarez: Sergio Dante Almaraz, un avvocato contro il femminicidio

di David Lifodi

Nel documentario dell’ottobre 2005 intitolato La ciudad que mata a las mujeres e diretto dal giornalista francese Jean Francois Boyer, l’avvocato messicano Sergio Dante Almaraz Mora denunciava con forza l’indolenza delle istituzioni di Ciudad Juárez, la città dello stato messicano di Chihuahua famosa in tutto il mondo per il triste quanto inquietante fenomeno del femminicidio. Secondo Almaraz, le autorità cittadine andavano a braccetto con i narcotrafficanti e con le mafie locali, individuati dall’avvocato come i mandanti della strage silenziosa, tuttora in corso, delle giovani donne, i cui corpi senza vita sono spesso ritrovati in varie zone di questa enorme metropoli di frontiera che confina con la città texana di El Paso.

Quelle dichiarazioni di Almaraz, così come molte altre dello stesso tenore, unite al suo impegno quotidiano per capire a fondo chi si nascondeva dietro al femminicidio (a oggi diffuso non solo nelle città di frontiera del Messico, ma in tutto il Centroamerica), gli costarono la vita: il 25 gennaio 2006 fu assassinato mentre stava salendo sulla sua auto nel centro di Ciudad Juárez. Due killer gli si avvicinarono e crivellarono il suo corpo con dodici colpi di pistola. Quell’omicidio fu una chiara intimidazione a tutti coloro che intendevano investigare seriamente sul rapporto tra i cartelli della droga, le istituzioni, la polizia e l’uccisione, apparentemente senza motivo, delle giovani donne (in prevalenza povere e impiegate nelle maquiladoras) che improvvisamente scomparivano nel nulla per essere ritrovate alcuni giorni dopo orrendamente mutilate. Sergio Dante Almaraz Mora aveva svolto indagini molto approfondite e scoperto che le morti di Ciudad Juárez erano legate al traffico di droga: i corpi di molte donne erano stati rinvenuti nelle cosiddette narcofosse, a conferma della responsabilità delle mafie messicane dietro alle giovani desaparecidas. La condanna a morte dell’avvocato però fu segnata dal governatore dello stato di Chihuahua Patricio Martínez. Alla disperata ricerca di capri espiatori da accusare per placare la cittadinanza e l’opinione pubblica, in subbuglio per l’omicidio  di otto donne avvenuto nel 2001 e rimasto insoluto, il governatore Martínez si dedicò alla ricerca di due colpevoli da sbattere in prima pagina a tavolino. Ci riuscì facilmente individuando due conducenti di autobus, Victor Garcia Uribe e Gustavo González Meza. Almaraz, noto per essere un guerriero nelle aule di tribunale, informatore dei giornalisti di cronaca nera e definito con disprezzo dai suoi detrattori il “Don Chisciotte di Ciudad Juárez”, si mise subito all’opera per dimostrare che i due autisti erano in realtà innocenti. Ai due detenuti la confessione di colpevolezza fu estorta sotto tortura. Il mistero risultò ancora più fitto quando uno dei due conducenti, Gustavo González Meza, fu trovato morto in carcere in circostanze poco chiare e mai furono condotte indagini approfondite sul suo decesso. Almaraz sapeva di rischiare grosso: nel 2003 era stato eliminato l’avvocato Mario Escobedo, il collega con il quale Sergio Dante aveva lavorato al caso dei due autisti. Di certo Almaraz a Ciudad Juárez si era fatto molti nemici, sia per la sua tenacia nelle indagini (che poi porteranno alla liberazione dell’altro conducente di autobus, Victor Garcia Uribe) sia per il suo coraggio nell’attaccare le istituzioni dello stato di Chihuahua. Durante la sua carriera infatti, Almaraz riuscì anche a dimostrare la connivenza tra il governatore Patricio Martínez e due poliziotti di Ciudad Juárez legati ad un commando di narcotrafficanti. Inoltre, sulla sua condanna a morte pesò anche il ruolo di primo piano che ricopriva nel partito di centrosinistra Convergencia, che appoggiava la campagna presidenziale di Andres Manuel Lopez Obrador: una lettera inviata dai principali esponenti del partito all’allora presidente Vicente Fox per chiedere che lo Stato facesse chiarezza sull’assassinio di Almaraz rimase senza risposta. Da anni la vita dell’avvocato era a rischio, tanto che nel 2003, in seguito all’omicidio del collega Escobedo, la Commissione Interamericana per i Diritti Umani aveva sollecitato le autorità dello stato di Chihuahua ad assicurare un servizio di protezione e vigilanza continua. Non solo Almaraz non ottenne mai una scorta, ma la sua famiglia, la settimana successiva al suo omicidio, fu costretta a trasferirsi in fretta e furia negli Stati Uniti, questo perché la moglie ed i suoi cinque figli avevano ricevuto minacce di morte telefoniche. Oltre ad indagare sul caso dei due autisti di autobus accusati ingiustamente, Almaraz aveva scoperto nuovi legami tra la polizia e il cartello di Ciudad Juárez, che in più di una circostanza lo aveva minacciato per costringerlo ad abbandonare quella pista investigativa.

Sergio Dante Almaraz è divenuto comunque un esempio per le giovani generazioni di avvocati e, se di fronte alle istituzioni risultava un personaggio scomodo, la società civile gli ha sempre riconosciuto il coraggio e l’onestà  intellettuale che lo hanno condotto a combattere le mafie e a farsi paladino della legalità.

Redazione
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  • Non riesco a trattenermi…cosa ne pensa Maria Grazia Di Rienzo? QUESTO E’ UN UOMO. Con una compagna moglie e cinque figli/e… ALLORA VOGLIAMO O NO IMPARARE A TENERCI PER MANO?

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