Claudio Sabattini raccontato da Gabriele Polo

Gian Marco Martignoni su «Il sindacalista»

E’ una appassionata ricostruzione storica quella che Gabriele Polo ha dedicato nel libro «Il sindacalista» (Castelvecchi: pag.421, euro 25) alla figura esemplare di Claudio Sabattini, intrecciando le vicende sindacali con quelle politiche, senza però omettere la rilevanza della dimensione internazionale, a partire dal golpe (eterodiretto dalla Cia) in Cile del 1973 contro il governo del socialista Salvador Allende e la sperimentazione delle teorie liberiste da parte dei “Chicago boys”. Pertanto 50 anni di storia del nostro Paese vengono riletti seguendo l’incredibile percorso di un figlio della Resistenza italiana, che ha dedicato tutta la sua esistenza all’emancipazione del movimento operaio, nella convinzione che, al di là delle vittorie o delle sconfitte, l’essenziale è procedere «senza fare mai una abiura nella vita».

Claudio Sabattini matura la sua esperienza politica e culturale a Bologna, ove il Pci è il collante di tutte le articolazioni sociali, diventando nel 1959 segretario provinciale della Fgci e laureandosi successivamente con una tesi su «Rosa Luxemburg e i problemi della rivoluzione in Occidente». Nel frattempo, dopo la scelta di entrare in Cgil, è fra i protagonisti della vertenza (e dell’occupazione di 46 giorni) della camiceria Pancaldi, che si concluderà con la riduzione dell’orario settimanale a 44 ore, due pause di cinque minuti e l’aumento dell’1% dei minimi sul cottimo. Questa vertenza è una delle tante (Sasib, Weber, Ducati ecc) che caratterizzeranno il ‘69 operaio bolognese, con il gruppo omogeneo e i Consigli di fabbrica che nel sostituire le vecchie Commissioni interne svilupperanno la contrattazione sull’insieme delle condizioni di lavoro, in un conflitto sempre più acceso con il comando assoluto del potere aziendale. Ed è proprio alla elettromeccanica Ducati che il 28 maggio viene firmato un accordo che – anticipando alcune norme che poi verranno sancite nello Statuto dei lavoratori del maggio 1970 – contiene fra le tante conquiste il riconoscimento del diritto d’assemblea in fabbrica e le ore di permesso per i delegati di reparto. Sabattini ai cancelli di quella fabbrica abbraccia la studentessa di lettere Emanuela Servetti che poi diventerà sua moglie. Dopo la nomina il 7 ottobre 1970 a segretario generale della Fiom di Bologna, Sabattini – che ha approfondito le tesi di Raniero Panzieri e dei «Quaderni Rossi» – avvia un’inchiesta provinciale di massa, coordinata dal professore Sebastiano Brusco, su organizzazione e condizioni di lavoro nelle piccole e medie fabbriche metalmeccaniche. Le conclusioni della ricerca evidenziano sia l’alto tasso di sfruttamento che le contraddistingue sia la loro natura di reparti distaccati delle grandi aziende. Sulla base della proposta avanzata dal leader della Fiom Pio Galli, nel 1974 Sabattini viene eletto segretario generale della Fiom di Brescia: si distingue in Valtrompia per un accordo storico finalizzato ad abolire il turno dalle 22 della domenica alle 6 del lunedì per le fabbriche del tondino di tutta quella valle. Approdato alla Fiat di Torino nell’aprile 1977, dopo 120 ore di sciopero il 7 luglio stipula l’accordo che istituisce il libretto di rischio sanitario, la mezz’ora di pausa per la mensa sulle 8 ore di turno e aumenti salariali uguali per tutti, oltre a prevedere investimenti al Sud con 6000 assunzioni. Ma sul piano personale paga duramente la sconfitta dei 35 giorni di lotta ai cancelli della Fiat nel 1980, che fece tabula rasa del contropotere operaio, poiché viene individuato da Luciano Lama come il responsabile di un conflitto «gestito male». Sabattini entra in analisi con l’amico e compagno Emilio Rebecchi per fuoriuscire da una pesante depressione, mentre non smette di riflettere criticamente sul trionfante «determinismo tecnologico» e le caratteristiche della nuova composizione di classe. Finchè , dopo le esperienze nella Cgil del Piemonte e all’Ufficio internazionale della Cgil, viene finalmente eletto il 13 marzo 1994 segretario generale della Fiom con solo due voti di scarto sul quorum previsto. Per Sabattini, stante che la globalizzazione esaurisce i margini delle mediazioni possibili, l’autonomia della Fiom può essere rilanciata solo a partire dai concetti di indipendenza, conflitto, democrazia, in quanto è mediante la costruzione di «un soggetto in grado di contrastare le controparti» sul piano dei rapporti di forza che si possono conquistare maggiori diritti e poteri. Quindi è su queste basi che nel congresso nazionale di Maratea del 1996 viene ribadito il primato del voto su ogni accordo aziendale o contratto nazionale, poiché la Fiom respinge qualsiasi adattamento alla logica del mercato. Altresì per la Fiom dalla rivolta di Seattle alla nuova internazionale di Porto Alegre «un altro mondo è possibile»: di conseguenza nel 1999 insieme all’Arci guidata da Tom Benettollo e ad Emergency di Gino Strada si schiera «senza se e senza ma» contro la guerra della Nato in Jugoslavia; come nel 2001 sceglie di essere in piazza a Genova a fianco del movimento contro la globalizzazione capitalistica che non casualmente subirà una repressione senza precedenti.

Proprio lui che nel 1989 aveva sostenuto in maniera convinta la svolta della Bolognina da Achille Occhetto, nell’ultimo scorcio della sua esistenza sollecita una riflessione collettiva sulla necessità di colmare il vuoto determinato dall’assenza di una rappresentanza poltica, poichè la Fiom non ce la può fare da sola. Un vuoto di rappresentanza politica che drammaticamente permane tutt’oggi nel panorama europeo, per via di quella nefasta egemonia culturale che le destre esercitano da qualche decennio nel nostro Paese.

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2 commenti

  • domenico stimolo

    Grazie a Gian Marco Martignoni per la recensione e, conseguentemente, per la divulgazione del libro. Il titolo e il sottotitolo sono forti e impegnativi, come del resto fu il percorso di sindacalista di Claudio Sabattini. L’estensore del libro, Gabriele Polo, è un giornalista storico pregiato, oltre che direttore del Manifesto negli anni passati, ha raccontato per molti anni le vicende e le sventure del mondo del lavoro, nei panni dei lavoratori.
    Ho avuto maniera di conoscere direttamente Sabattini nel contesto del Comitato Centrale della Fiom, nel secondo quinquennio degli anni novanta .
    Un segretario nazionale di grandi capacità nella gestione della Fiom e nella scelta dei percorsi strategici, compreso l’indirizzo di schierare la Fiom a fianco del grande Movimento contro la “globalizzazione capitalista”, e del Forum a Genova nel 2001.
    In quell’anno io non ero più nella Fiom. Le decisioni operative sulle privatizzazioni e sulla gestione degli esuberi – i lavoratori estromessi dai processi produttivi – mi avevano “costretto ad abbandonare per disapprovazione e sdegno”.
    Nella parte finale della nota Martignoni scrive ” nel 1989 aveva sostenuto in maniera convinta la svolta della Bolognina da Achille Occhetto…..”.
    Liberi tutti di fare le proprie scelte nel momento culminante della messa all’angolo di una storia settantennale. In tanti in quella fase, chiusi nella propria coscienza, scelsero “ il da farsi”.
    Non intendo, in questa nota, approfondire questa argomentazione, vasta e molto impegantiva.
    Il dato è che il bagaglio culturale, politico e sociale ( sopravvenuto) influenzarono, in maniera rilevante affermo, come ben noto, le scelte strategiche del movimento sindacale, della Cgil, e nello specifico della Fiom.
    Mi riferisco, per questo tipo di discussione proposto, alle “motivazioni” che nel corso di quegli anni portarono la Cgil e la Fiom ad avallare i processi “ideologici”, che nella pratica risultarono speculativi, che determinarono la privatizzazione dei settori produttivi principali nazionali.
    Mi riferisco nello specifico, per ciò che riguarda l’esperienza sindacale diretta maturata nel corso di alcuni decenni, al settore strategico delle Telecomunicazioni. Quindi, alla messa in opera dei grandi e dirompenti processi che portarono alla privatizzazione del fondamentale contenitore, storico, chiamato Stet. La vendita e la svendita dei tanti segmenti produttivi componenti questo “ vaso” ( molti degli addetti erano metalmeccanici) che rappresentava il cuore pulsante strategico dello Stato,e di moltissime decine di migliaia di lavoratori, determinarono l’arrivo dei “falchi predatori”, il licenziamento di tanti lavoratori, la svendita di molti diritti contrattuali acquisiti.
    Le basi strutturali di queste operazioni, le più lancinanti ed esclusive n Europa riguardanti le Tlc – Telecomunicazioni -, furono poste tra la metà e la fine degli anni novanta del secolo scorso. Si svendettero, i sacrifici: in investimenti pubblici e travaglio lavorativo, messi in atti nel corso di tanti decenni.
    Cero, sono curioso di leggere come tratta il libro queste argomentazioni.

  • Gian Marco Martignoni

    Ringraziando Domenico Stimolo per le sue meditate considerazioni, provo a spiegare perchè ho chiuso la mia recensione su una palese contraddizione di Claudio Sabattini e per essere espliciti del gruppo dei sandinisti ( Garibaldo, Cremaschi, I fratelli Rinaldini, ecc.) a proposito delle scelte da farsi nell’ ’89. Poichè questo gruppo ha sempre rivendicato la centralità della contraddizione capitale – lavoro, è davvero inspiegabile sul piano politico la condivisione di una scelta che ha demolito e negato letteralmente la sinistra nel nostro paese. Gabriele Polo ad un certo punto del libro definisce Sabattini come ” un eretico non scismatico “. Una bella definizione, che però a mio avviso spiega abbondantemente perchè la sinistra nel nostro paese si è praticamente dissolta o disintegrata.

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