Coccia, Leone, Mandela, Malvaldi, Zambra con le coppie Barbujani-Brunelli e Flores-Gozzini

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Marco Malvaldi

«Per ridere aggiungere acqua. Piccolo saggio sull’umorismo e il linguaggio»

Rizzoli

154 pagine, 18 euro

Un computer. Domani, forse. Quando una macchina riuscirà a scherzare allora sarà davvero intelligente, per farlo dovrebbe forse “processare” il linguaggio umano. Parte da queste domande, come al solito inconsuete e conturbanti, Marco Malvaldi (Pisa, 1974), ottimi studi e seguiti universitari da chimico (1992-2005), affermato autore di gialli noir umoristici (dal 2007 Sellerio, almeno 12 romanzi e 11 racconti, oltre la metà con Massimo del BarLume protagonista), competente efficace divulgatore scientifico (dal 2011 una decina di testi con varie case editrici, da ultimo sempre Rizzoli). Parte da esempi ed esperimenti in corso sui computer per evidenziare la difficoltà delle risposte: il modo in cui parliamo è aperto, impreciso, incompleto e spesso ambiguo. Il primo capitolo è dunque dedicato a capire meglio come funziona il linguaggio umano. Cita subito il grande Guareschi e lingue molto diverse come olandese e giapponese (credo le parli in modo fluente), sottolineando come lo scritto derivi dal parlato e tenda alla ridondanza (lo mostrano anche le analisi delle frequenze delle lettere e, poi, delle parole) e all’interdipendenza (il significato non dipende dalla statistica). Il meccanismo del capitolo iniziale continua: Malvaldi esprime concetti e nozioni solo dopo aver trovato testi ed esempi che li illustrano con il sorriso sulle labbra: la combinazione delle parole in frasi attraverso strutture ricorsive e discorsi (necessariamente) astratti, il vantaggio sociale del linguaggio umano come conoscenza condivisa (da almeno due individui), la relazione asimmetrica tra la lingua e il modo in cui noi le diamo significato, le particelle funzionali che collegano le parole di una frase come struttura portante, le aree del cervello destinate alla decodificazione. Tutto per arrivare all’umorismo!

Il riso nasce dall’inaspettato, convoglia due diversi significati, o due diversi punti di vista, nella medesima frase, vallo a spiegare al computer! Il divertimento nasce proprio dal cambio di direzione, la risata ne è un possibile effetto, realizzato solo quando separiamo la realtà dalla finzione e il contesto non ci trasmette rischi per la nostra esistenza. Il riso è un vantaggio evolutivo (Darwin insegna, seriosamente), è uno strumento di cui ci serviamo anche per scoraggiare e penalizzare i comportamenti asociali, l’emozione è curativa. Malvaldi fa riferimento alla filosofia, alla semiotica, alla psicologia cognitiva. Interessante ma non approfondita la citazione di Pirandello sulla differenza fra umorismo e ironia, fra ridere di altri con altri e trasmettere pensieri oppositori relativizzandoli. Suo malgrado, si riscontra notevole uso anche del pensiero ironico: quando può fa battute sulla Juventus (da tifoso contro) e sulla Lega (da politico contro), ineccepibili (da juventino). E attinge a piene mani dall’esperienza di narratore: sono le storie a stimolare le capacità di astrazione cerebrale, è il riso di pancia che aiuta a nascondere indizi. Il comico serve per imparare a non fidarsi del proprio cervello e come collante sociale. Insomma, prima o poi, premendo i tasti giusti, varrà forse la pena di insegnare al computer non solo a riconoscere, contare, mettere in ordine, ma anche a riconoscere l’ambiguità. A cosa servirebbe, se mai ci riuscissimo? L’umorismo è comunque la strada maestra per arrivarci. Ottimo, sintetico, godibile.

Guido Barbujani e Andrea Brunelli

«Il giro del mondo in sei milioni di anni»

Scienza

198 pagine, 15 euro

Terraferma. Da qualche milione d’anni. Non si sa quanti anni abbia esattamente Esumin, certo è che ha partecipato a tutte le grandi migrazioni dell’umanità, fin dalla prima a sentir lui, fin da quando stavamo sugli alberi, con un cervellino grande su per giù come quello degli scimpanzé. Esumin ci accompagna introducendo ognuno degli ottimi dodici capitoli attraverso cui Barbujani e Brunelli narrano con acume scientifico gli “ESseri Umani In Movimento”. Cominciano dal principio, dalle varie teorie sulla creazione, dall’origine della vita, dalla prospettiva darwiniana, dai nostri antenati diretti. Intorno a sei milioni e mezzo di anni fa avevamo gli stessi antenati di scimpanzé e bonobo, dopo di che le nostre strade si sono separate. Noi abbiamo presto cominciato a compiere i primi passi (letteralmente) a terra, ominidi e sottotribù di ominini, australopiteci, parantropi, il genere Homo e le sue tante specie estinte, i Sapiens l’unica rimasta. Probabilmente furono proprio il bipedismo e la marcia migratoria a favorire l’encefalizzazione e, più lentamente, la capacità di comunicare con un linguaggio articolato, non senza alcuni “svantaggi”: il bacino più stretto e il parto più complicato, la schiena e i suoi “mali”. L’evoluzione non ha un progetto: è solo una risposta del nostro organismo a condizioni ambientali che cambiano. Dall’Africa una specie umana si è avventurata in altri continenti; in Africa si sono manifestate altre specie umane, altre sono uscite, una due e più volte; rientrando o avanzando ancora senza meta o estinguendosi; hanno nomi, percorsi, incroci in via di ricostruzione. Gli autori fanno il punto dettagliato sulla letteratura scientifica, sulle ultime informazioni emerse e sulle ipotesi plausibili. Gruppi umani iniziarono a dotarsi di strumenti per uccidere gli animali, usando pietre e fuoco, introdussero via via comportamenti “culturali”, come la cucina o la caccia organizzate. Non abbiamo più smesso.

Il grande genetista Guido Barbujani (Adria, 1955) e il giovane biologo evoluzionistico Andrea Brunelli adottano un Numero Uno per spiegarsi meglio. Esumin è simpatico e c’era a ogni movimento, però sa poco (di preciso), si trovava sempre lì per caso. È un bel tipo, allude a qualcosa che dovremmo capire bene. Siamo tutti un poco meticci, rappresentiamo l’intera specie, però non siamo stati tutti in ogni luogo in ogni tempo, non esprimiamo ogni carattere umano. Risulta davvero complicato ricostruire vicende lontane da noi milioni o centinaia di migliaia di anni, servendoci solo dei pochi dati archeologici o paleontologici disponibili. Le uscite dall’Africa non sono state movimenti migratori unici verso territori disabitati, ma un insieme di migrazioni, lungo milioni di anni, che ha portato le forme umane anatomicamente arcaiche a occupare aree di tre continenti. E poi si è mosso dall’Africa un gruppo dalla forma umana anatomicamente moderna, in circa trenta mila anni è rimasto l’unica specie, in circa cinquanta mila ha occupato aree di tutti gli altri continenti. Gli autori citano in ogni capitoli i nomi delle specie, alcune rotte probabili, i certi incontri e gli incerti fenomeni evolutivi. Tengono conto degli studi fondamentali del passato in varie discipline e li aggiornano con le più recenti ricerche, segnalando le inevitabili persistenti teorie, ipotesi, ignoranze. Dedicano dettagliati capitoli alle due macroaree fuori dall’Eurasia: Estremo Oriente Melanesia Polinesia, Americhe. Fino alla “scoperta dell’agricoltura”, l’intera nostra specie contava circa un milione di individui, poi inizia un’altra storia, quella degli ultimi dieci mila anni. La genetica delle popolazioni racconta ormai con maggior precisione quello che è successo, siamo diventati tanti, ma nessuno è rimasto immune dagli scambi migratori (anche di geni e lingue), magari minuscoli, ma frequenti. Le popolazioni umane sono divenute un mosaico genetico senza razze. Nessun genoma è “puro”, tutti contengono componenti eterogenee di origini eterogenee. Qualche figura lungo il bel volume, scrittura efficace e godibile, in fondo note bibliografiche e indici dei nomi.

 

Nelson Mandela

«Lettere dal carcere»

con prefazione del nipote Zamaswazi Dlamini-Mandela; traduzione di Seba Pezzani

Il Saggiatore

812 pagine, 26 euro

Il Sudafrica dell’apartheid. Novembre 1962-febbraio 1990. Nelson Mandela era nato nel 1918, è scomparso otto anni fa. È stato Presidente del nuovo Stato democratico dal 1994 al 1999, era stato prigioniero 27 anni. Il giornalista scrittore Sahm Venter ha realizzato un libro stupendo, in contemporanea mondiale le “Lettere dal carcere”, la prima ad Amnesty. Sono 255, perlopiù inedite (sempre controllate e spesso censurate dalle autorità, talora mai arrivate) tratte da varie collezioni e archivi. Traspare l’intimo tormento per la mancanza dei cari: già avvocato xhosa e padre di cinque bambini, non gli fu permesso di vedere i figli finché non ebbero com­piuto sedici anni. Il libro (con utilissime note e appendici) è suddiviso in sezioni per ognuna delle quattro prigioni e dei due ospedali, dove gli erano negati diritti umani fondamentali e non perse mai la speranza. Da leggere: Mandela ha segnato il Novecento, è stato un’immensa positiva personalità, certo non solo per il suo paese.

 

Marcello Flores e Giovanni Gozzini

«1968. Un anno spartiacque»

Il Mulino

280 pagine, 22 euro

Globo. 1968. Il Sessantotto fu un evento globale, una mobilitazione quasi sincronica degli stessi soggetti sociali attraverso modalità simili in contesti lontani e diversi, “il primo della storia umana ad accadere simultaneamente ai quattro punti cardinali del mondo, di qua e di là dalla cortina di ferro che lo divide al tempo della guerra fredda, nel Sud del sottosviluppo e nel Nord dell’opulenza”. La causa materiale principale, confermata a 50 anni di distanza dai dati oggi a disposizione sulle migliaia di episodi di rivolta studentesca (tra l’ottobre 1967 e il giugno 1968), fu probabilmente l’accesso più largo all’istruzione universitaria. La centralità dei giovani portò con sé una serie di rotture comportamentali che vanno al di là degli studenti che parteciparono attivamente ai cortei (appena il 4% della coorte generazionale). Per spiegare come il Sessantotto risulta una data spartiacque dell’intera seconda parte del Novecento gli autori prendono in esami tutti i contesti geopolitici: le reazioni nell’articolato comunismo sovietico e cinese e nel variegato mondo arabo; l’impatto quasi universale sui diritti, sulle donne e sulla società civile; i nessi con la globalizzazione finanziaria e neoliberistica; i contraccolpi sul lavoro, gli scioperi e la soggettività operaia, ma anche sui terrorismi, sui computer e la cultura generale, su alcune singole biografie connesse alla vera e propria rivoluzione individualistica. Modi di pensare e valori che appartenevano a una piccola minoranza lentamente hanno trasformato in profondità l’intera società. Il Sessantotto viene analizzato con competenza e acume attraverso analogie e differenze fra Stati e sistemi, possibili cause unificanti, conseguenze di breve e lungo periodo in modo da farne scaturire un mosaico di trame e collegamenti.

I due storici contemporanei Marcello Flores D’Arcais (Padova, 1945), grande esperto di diritti umani, e Giovanni Gozzini (Firenze, 1955), cultore anche di migrazioni e giornalismo, riescono a descrivere chiaramente la dimensione planetaria delle manifestazioni studentesche di quegli anni, pur senza indulgere in nessuna celebrazione, spiegando anzi le dinamiche profonde che li fecero emergere e gli elementi contingenti o specifici che proiettarono comunque una luce nuova nei decenni successivi. Il Sessantotto trasforma all’interno corpi professionali (medici, avvocati e magistrati, poliziotti, insegnanti) e ruolo sociali (quello di genitore, innanzitutto) che da allora in poi si muovono alla ricerca di un senso “politico” nel loro esercizio quotidiano. Il volume parla pochissimo di lotte, proposte e cortei studenteschi, citatissimi in tanti volumi usciti oggi, mezzo secolo dopo. Ognuno dei nove capitoli è denso di note, grafici, figure e di un’accurata ricostruzione della storiografia sull’area geografica o sulla materia sociale esaminate. “È solo considerando il Sessantotto come anno chiave di un processo storico già in parte iniziato, che esso accelera e catalizza grazie all’azione delle minoranze presenti nei movimenti collettivi, e la cui eredità si manifesta in comportamenti, convinzioni, modi di vita che emergono come patrimonio comune solo più tardi, che possiamo cercare di superare le antinomie pubblico/privato, egoismo/generosità, movimento/riflusso, positivo/negativo, con cui si è spesso guardato a quell’anno in termini morali e politici piuttosto che di comprensione e spiegazione storica”.

 

Ugo Leone

«Terra mia. Estinguersi o evolvere?»

Guida

102 pagine, 12 euro

Terra. Di qui in avanti. Il geografo e docente universitario di ecologia Ugo Leone (Napoli, 1940) nel 2004 scrisse un bel libro intitolato “la sicurezza fa chiasso”, questioni teoriche e pratiche sui rischi corsi dagli umani in terraferma, con particolare riferimento all’area del Vesuvio. Tentato di aggiornarlo, ha invece poi realizzato (grazie anche allo stimolo del grande Giuseppe Galasso) un testo del tutto nuovo, “Terra mia” (da una canzone di Pino Daniele) che in modo sintetico ed efficace ci chiama a seguire il nostro istinto di conservazione (di individui e di specie) rispetto sia ai crescenti mutamenti climatici antropici globali che ad altri rischi di un territorio sempre più vulnerabile. Un pianeta diversamente “gestito” sarebbe in grado di sostenere e mantenere anche più abitanti di quanti ne ha oggi. I termini del dibattito politico e culturale sono spiegati e usati in modo scientifico, da previsione a prevenzione, da ambiente a disastro, da resilienza ad adattamento.

 

Emanuele Coccia

La vita delle piante. Metafisica della mescolanza

traduzione di Silvia Prearo

Il Mulino

160 pagine, 14 euro

Da centinaia di milioni di anni. Acque e terreferme. Le piante non corrono e non volano; non sono capaci di privilegiare un punto specifico dello spazio; devono restare là dove sono. L’assenza di movimento non è che il rovescio dell’adesione integrale al loro ambiente e a quanto succede loro. La vita vegetale è in continuità assoluta e in comunione totale con l’ambiente, un’interminabile contemplazione cosmica che arriva a fondersi con il mondo e a coincidere con la sua sostanza. Conseguentemente la botanica è un sapere privilegiato sul legame più stretto ed elementare che la vita possa stabilire con il mondo. Le piante non hanno bisogno, per sopravvivere, della mediazione di altri viventi, sono autotrofe, trasformano in corpo vivente l’energia solare, e nutrono ogni sostanza o aspetto degli animali: è solo perché esiste la fotosintesi che in atmosfera c’è abbastanza ossigeno da consentire la nostra vita animale. Per tutti i fattori biotici, dunque, “essere nel mondo significa trovarsi nell’impossibilità di non condividere lo spazio ambientale con altre forme di vita e di non essere esposti alla vita degli altri”. Non possono esistere frontiere stabili o reali: “il mondo è lo spazio che non si lascia mai ridurre a una casa, al proprio, all’abitazione, all’immediato”. I primi a colonizzare e a rendere abitabile la terraferma sono state proprio le piante, organismi capaci di fotosintesi che hanno innanzitutto trasformato l’atmosfera. L’origine del mondo è, perciò, stagionale, ritmica, caduca, come le foglie: fragili, vulnerabili, eppure capaci di ritornare e rivivere dopo aver attraversato la cattiva stagione.

Il filosofo Emanuele Coccia si è diplomato in un istituto tecnico agrario, prima di laurearsi e insegnare in varie università, dal 2011 alla parigina École de Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS). Col suo libro rievoca le idee nate in quei cinque anni di contemplazione della natura delle piante, del loro silenzio, della loro apparente indifferenza a tutto quel che chiamiamo cultura. Le brevi note (anche bibliografiche) sono in fondo a ognuno dei quindici paragrafi, narrati con partecipazione poetica. Dopo il prologo sul mondo vegetale impostosi ben prima e più diffusamente di quello animale, seguono le tre teorie cosmologiche, della foglia (o dell’atmosfera del mondo), della radice (o della vita degli astri), del fiore (o della ragione delle forme), infine l’epilogo e l’indice dei nomi. Pur sostenendo che anche le scienze della vita trascurano le piante (per troppo zoocentrismo) l’approccio non è del biologo o del botanico. Molti sono i riferimenti ai filosofi greci: il presocratico Anassagora, a esempio, “fu il primo a definire rigorosamente la mescolanza come la forma propria del mondo”. Tutto deve essere in tutto. Di qui l’immersione (vegetale) nel respiro del mondo: è con le radici che le piante arrivano a essere coscienti di ciò che gli accade intorno, vivendo simultaneamente in due ambienti, sotto e sopra, senza e con la forza di gravità. L’autore cita, non a caso, Darwin e, fra i contemporanei, Mancuso, proprio per ragionare sulla facoltà motrice delle piante, evidente anche nell’attirare altri viventi a sé: proprio i fiori consentono alle piante di assorbire e catturare il mondo. Per conoscerlo noi, invece, meglio dobbiamo imparare da loro anche un poco di autotrofia speculativa.

 

Alejandro Zambra

«Storie di alberi e bonsai»

traduzione di Fiammetta Biancatelli e Maria Nicola (originale: 2006)

Sellerio

144 pahine, 14 euro

Cile. Dopo. Due delicate storie (almeno) a tre, iniziate molto tempo fa. Il professore universitario e aspirante scrittore 30enne Julián si mise con la disegnatrice Veronica, convivevano, loro due nella camera bianca, Daniela (figlia di lei) nella camera azzurra. Quella sera Veronica (ben capace anche di torte su commissione) non torna, Julián ormai è molto affezionato alla bimba, gli piace raccontarle “la vita privata degli alberi”. Julio ed Emilia stavano insieme all’università, una relazione con più omissioni che bugie, entrambi traducevano (lei dal giapponese), Emilia andò a vivere dall’amica Anita, Julio capì di essere condannato alla serietà e cercò, caparbiamente, di piegare il suo destino serioso. Poi lei partì per Madrid, lui continua a curare “bonsai”. “Storie di alberi e bonsai” raccoglie due graziosi racconti dello scrittore cileno Alejandro Zambra (Santiago, 1975), il primo inedito in Italia. Tante varie citazioni letterarie, poetiche, musicali con garbo e affetto.

 

Redazione
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