Coesione sociale?

di Maria G. Di Rienzo

Egregio signor presidente Napolitano, sono una cittadina italiana che ne ha abbastanza. In questo paese abbiamo 31.000 euro a testa di debito pubblico e lo Stato chiede prestiti per pagare gli interessi sul debito; l’Italia partecipa a guerre sputando sulla sua stessa Costituzione; abbiamo in vigore leggi razziali, la scuola pubblica è stata distrutta assieme alla rete del welfare, alla sanità e alla tutela del lavoro. Da anni demolivano felici e ci ripetevano che andava tutto benone: “Quale crisi? Gli italiani hanno speso un sacco di soldi in cosmetici”. Se la ricorda, questa? E’ di un paio di mesi fa. Adesso siamo sull’orlo di un collasso evidentemente imprevedibile alla classe di bugiardi e incompetenti che ci governa, per cui bisogna succhiare 45 miliardi da famiglie, lavoratori dipendenti, malati. E lei ha applaudito l’approvazione di questa manovra inneggiando alla “coesione sociale”. Mi lasci capire, si tratta del pensiero “siamo nella stessa barca” di cui si fanno interpreti le signorine arruolate per i festini del presidente del consiglio, suggerendosi reciprocamente di coordinare le richieste di denaro e beni al loro utilizzatore finale? La consigliera regionale più esperta in materia squittiva infatti al telefonino con una fotomodella “Assolutamente, sì, sì infatti, secondo me l’unione fa la forza, io sono di questa idea.” E’ il tipo di coesione sociale di cui lei parla?

Mi dispiace, signor Presidente, ma non mi sento affatto “coesa”. E non mi trovo nella stessa barca sua, ne’ in quella dei vampiri che succhiano sangue all’Italia. Fra me ed alcuni altri cittadini e cittadine di questo sventurato paese la distanza è davvero troppa. Se sventra il mio cuscino ci troverà a stento qualche piuma e non, come nel caso del padre di una signorina romana, 18.000 euro quale pagamento per le “serate ad Arcore”. Il tizio che beneficia delle “serate” ha una ventina di ville, spende per le sue amichette 800.000 euro al mese (ovvero quanto entra in casa mia in 800 mesi), regala loro case o paga loro affitti e spese, ed è lo stesso tizio grazie alla cui radiosa intelligenza nel governare l’Italia si chiede a noi che non abbiamo niente di fare sacrifici. Per cosa? Per chi? Ci sono tre milioni di poveri nel nostro paese ma dopo questa manovra economica ce ne saranno molti di più, tutti miracolati, coesi e morti di fame. Mi vergogno ogni volta che guardo le mie nipotine e penso al loro futuro, e ormai vorrei davvero andarmene di qui, signor Presidente Napolitano, ma non ho nemmeno i soldi per pagare uno scafista che mi porti ad annegare da qualche parte, sulle coste di un Paese civi

Redazione
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2 commenti

  • in questo rabbioso, bellissimo blues di Maria c’era un errore sintomatico; che sia sfuggito prima a lei e poi a me (che ho postato) conferma che siamo due pezzenti che non riescono neppure a rendersi conto a che livelli di sfarzo, arroganza e schifo ruota la vita di lor-signori: non si tratta di 800.000 euro l’anno come era nel testo originario ma di 800mila al mese, come ora ho corretto su indicazione dell’autrice
    Posto un commento anche a nome di William Shakespeare (lui, non un omonimo): “se viviamo è per rovesciare i re”.

  • ginodicostanzo

    Bella lettera aperta, anche se sono convinto che le lettere aperte spedite ad un complice servano a poco, spostano in qualche maniera l’obiettivo, mancano il vero l’interlocutore, che deve essere chi è nella barca dei poveri a remare e a farsi dissanguare dalle frustate. Lamentarsi o indignarsi con i padroni del vapore consuma energie che vanno indirizzate invece alla vera aggregazione sociale, all’organizzazione del “fare”…

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