Colao meravigliao

Testi di Marco Bersani e Sergio Sinigaglia. Con due link e una nota della bottega per spiegare il titolo

Piano Colao: come prima, più di prima

di Marco Bersani (*) 

Bisognerebbe sinceramente ringraziare il manager Vittorio Colao che, in mesi di duro lavoro nella clausura del suo loft nella city londinese, ha prodotto un piano per la rinascita dell’Italia chiaro, netto, senza fronzoli più del necessario e comprensibile a tutti.

Un piano che ha un grande pregio: se, come tutti hanno affermato, la drammatica esperienza della pandemia rappresenta un monito e uno stimolo a rimettere in discussione un modello economico e sociale che ha dimostrato di non garantire protezione ad alcuno, il piano Colao è la summa di tutto ciò che NON si dovrebbe fare.

A tutti quelli che in questi mesi da una corsia di ospedale, da un reparto di produzione, da una consegna dettata da un algoritmo, da un portone di scuola sbarrato, dalla solitudine di una finestra hanno gridato “Mai più come prima!”, il pool di manager ha detto a chiare lettere non solo che tutto sarà “come prima, più di prima!”, ma che sulla destinazione delle risorse non faranno prigionieri.

Nei suoi sei paragrafi e 121 progetti concreti, il piano Colao è attraversato da due chiavi di lettura inequivocabili.

La prima è l’identificazione della società con l’impresa, per cui sono gli utili di quest’ultima a determinare il benessere della prima. Da questo punto di vista, l’elenco di provvedimenti finanziari, fiscali e normativi proposti per liberare le imprese dai cosiddetti “lacci e lacciuoli” è sterminato. Si va dalla “sburocratizzazione” della pubblica amministrazione, con la proposta di abolizione del codice degli appalti (un primo passo verso la legalizzazione delle mafie?) alla totale deregolamentazione dei contratti e delle condizioni di lavoro (imprenditori e lavoratori sono o non sono entrambi parte dell’Azienda Italia?) ; dagli aiuti finanziari a totale carico dello Stato (è chiaro chi pagherà l’ulteriore aumento del debito pubblico?) all’azzeramento di ogni contributo fiscale delle imprese alla collettività (si sa, gli imprenditori sono illuminati solo se sono gli altri a pagare la bolletta della luce). A dimostrazione che nessun dettaglio è stato trascurato, basti pensare che, fra le proposte, si chiede la defiscalizzazione delle indennità per turni aggiuntivi o per lavoro notturno e festivo.

La seconda chiave di lettura è l’identificazione della rinascita con l’idea del “grande e competitivo è bello”. Il piano è un profluvio di lodi alle grandi opere digitali (5G) e materiali (Tav, Tap, chi più ne ha più ne metta, fino al Ponte sullo Stretto), per la realizzazioni delle quali va tuttavia superata la notoria resistenza delle comunità territoriali: ecco allora la proposta di “leggi o protocolli nazionali di realizzazione non opponibili da enti locali”.

Poteva, dentro questo contesto, mancare l’idea che i servizi pubblici locali (acqua, energia, trasporti, rifiuti) devono essere accorpati in grandi multiutility finanziarizzate e competitive? Certo che no, fino a citare  espressamente la necessità di modernizzare (leggi: privatizzare) l’acquedotto pugliese, il più grande d’Europa.

Dal gigantismo non si sottraggono neppure le piccole e medie imprese, perché la proposta del piano Colao è di destinare la gran parte delle risorse disponibili alle grandi aziende multinazionali, che potranno, grazie alla proposta di modifica della legge sui fallimenti, assorbire le piccole maggiormente remunerative, lasciando al naufragio tutte le altre.

Molto si potrebbe aggiungere, ma bastano due definizioni per condensare l’humus che fertilizza il piano: dentro il contesto di rinascita dell’economia, l’ambiente diventa un “volano per il rilancio”, mentre l’arte e la cultura costituiscono un “brand del Paese”.

Se la pandemia ci ha posto di fronte alla necessità di scelte radicali di fuoriuscita dal modello capitalistico per costruire collettivamente una società diversa, basata sulla cura di sé, degli altri e dell’ambiente, il piano Colao ci proietta dentro la riproposizione in salsa autoritaria della società fondata sull’ideologia del profitto.

Non sappiamo se e quanta parte di questo piano verrà assunta dal governo come linea guida delle scelte politiche di risposta all’emergenza sanitaria, economica e sociale.

Un’idea la vorremmo suggerire: cestinare il piano senza se e senza ma, rispedirne l’autore al suo soggiorno londinese.

Se così non sarà, dovranno essere le piazze d’autunno a porre con determinazione il problema.

(*) ripreso da www.attac-italia.org/

Il piano Colao e le politiche governative

di Sergio Sinigaglia

Quando il premier Conte scelse Vittorio Colao per guidare la cosiddetta “task force” con l’obbiettivo di elaborare il piano di rilancio economico e sociale di fronte alla gravissimi conseguenze prodotte dalla pandemia, bastò leggere le poche note biografiche del personaggio per capire cosa ci aspettasse. 

Ex ad di Vodafone, dove per sua stessa ammissione aveva guadagnato la modica cifra di 17 milioni di euro, con precedenti esperienze ad alti livelli presso Morgan Stanley e Mckinsey & Company. Insomma un cavallo di razza del capitalismo di questi anni. Per questo c’è poco da sorprendersi nel leggere il documento che la squadra di “esperti”, guidata dal manager lombardo, ha prodotto attraverso un documento di 121 schede, “Iniziative per il rilancio” Italia 2020-2022. L’impianto generale del testo è di robusta impostazione liberista, in linea con la logica aziendalista affermatesi in questi decenni, con una “spruzzata” di verde e un po’ di sociale alla fine. Già dal primo punto dove si prevede l’esclusione della responsabilità penale per le imprese di fronte al contagio Covid-19, troviamo delle misure estremamente emblematiche. Dalle defiscalizzazioni alle facilitazioni per l’aumento di capitale, fino alla centralità di rapporti di lavoro precari e “a tempo determinato”. Ma quello che sorprende della proposta sono i riferimenti estremamente generici ai provvedimenti, dove anche quando si prova ad ammiccare a politiche di sostegno, il tutto non è suffragato da cifre, impegni di investimento, chiare indicazioni. Per esempio nelle pagine dedicate all’edilizia abitativa e sociale si parla genericamente di “un piano di investimenti finalizzato a a potenziare un’offerta abitativa economicamente accessibile socialmente funzionale ed ecosostenibili attraverso la messa a disposizione di immobili e spazi pubblici inutilizzati”, senza supportare tale affermazione con indicazioni precise in termini di cifre e piani concreti. A fronte si sostiene la completa deregulation in materia di appalti. Clamorosa e significativa è la totale omissione nei confronti di un settore fondamentale come quello della sanità pubblica, il cui drastico processo di ridimensionamento avvenuto in questi anni, si è drammaticamente esplicitato in questi mesi. 

Alla questione sono dedicati due paragrafetti incentrati “sull’ammodernamento digitale della sanità pubblica”, con il solito corollario di anglicismi che ,peraltro, nella peggiore tradizione del linguaggio manageriale caratterizza tutto le 121 sezioni. Sulla scuola è un trionfo della linea aziendalista, con continui riferimenti allo stretto rapporto tra sistema educativo e imprese (sull’argomento ricordo l’ottimo saggio di Mauro Boarelli “Contro l’ideologia del merito”). Ovviamente non poteva mancare la centralità, per quanto riguarda le politiche energetiche; alle rilevanza “delle infrastrutture”; del resto pochi giorni fa è stato rispolverato il disastroso progetto del Ponte sullo Stretto. Il capitolo sulla pubblica amministrazione è in armonia con la visione manageriale e privatistica. Rispetto all’assunzione di personale, dopo aver concesso che negli anni si è verificato un blocco del turnover, si rileva come le assunzioni dovranno essere incentrate sul “lavoro a tempo determinato e la flessibilità”, cioè la precarietà.

Insomma, la montagna non ha partorito il classico topolino, ma un mostriciattolo che conferma lo spirito che anima questo governo, con buona pace delle generose aperture di credito a cui abbiamo assistito in queste settimane. Del resto a fronte del disastro sociale in corso (Il Sole 24 ore arriva a prevedere fino a un milione e mezzo di posti di lavoro in meno) il modo con cui l’esecutivo ha trattato la questione reddito (naturalmente completamente ignorata dalla “task force), è esemplare. Così come la tragica presa in giro che si sta evidenziando in questi giorni sul fronte dalla sanatoria dei migranti, con dinamiche ricattatorie e vessatorie che purtroppo ripropongono vicende già viste, oggi rese ancora più inaccettabili visto il contesto. 

Per non parlare di scuola e sanità. Nel primo settore a tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico non si sta facendo nulla per cercare di creare i presupposti per una didattica che segni una inversione di tendenza rispetto alle croniche criticità che caratterizzano il nostro sistema educativo, dalla precarietà del personale docente, fino alle classi pollaio e l’annosa questione della agibilità degli edifici. Sulla sanità al di là degli impegni dichiarati e i primi inadeguati investimenti, per ora non si vedono chiare inversioni di tendenza. Piuttosto si propongono nuove figure come “l’infermiere di famiglia”, che non si sa bene che funzioni dovrebbe assolvere, e che comunque prevede otto professionisti per cinquantamila abitanti. Cosa potranno fare lo sa solo il ministro Speranza. 

Tornando alla proposta di Colao e della sua “task force” sono eloquenti gli elogi a destra e gli imbarazzi anche nelle stesse file governative, fino alla clamorosa defezione di Mariana Mazzuccato, presente nella squadra di esperti, che si è rifiutata di firmare il documento. Tutto questo alla vigilia dei cosiddetti “Stati generali” dell’economia. Una inutile kermesse a cui parteciperanno forze politiche della maggioranza, economisti, sindacati confederali, e autorevoli rappresentanti dei vertici europei. 

A proposito di Europa, si è dato molto risalto al rilevante pacchetto economico previsto dal Recovery Fund, settecentocinquanta miliardi di euro. Peccato che un articolo sul Corriere della Sera di alcuni giorni fa, metteva in risalto alcune postille essenziali presenti nel documento da dove emerge che l’erogazione dei finanziamenti sia spalmata tra il 2021 e il 2025. Quindi una dinamica dilatatoria criminale e irresponsabile di fronte alle impellenti necessità. Inoltre chi sostiene un rilancio della centralità dello Stato come antidoto alle politiche liberiste, non tiene presente la profonda trasformazione che la macchina statale ha avuto negli ultimi decenni. I “gloriosi trent’anni”con lo Stato fulcro del processo che a partire dalle macerie del dopoguerra mise in atto la ricostruzione economica e sociale dell’Europa, (peraltro sullo sfruttamento dei lavoratori almeno fino all’apertura del ciclo di lotte alla fine degli anni Sessanta), puntando su politiche keynesiane, è ormai un pallido ricordo. 

Il modello che si è imposto è quello ordoliberale, secondo i dettami della Scuola di Friburgo a partire dalla svolta impressa da quella vera e propria “rifondazione liberale” sancita dal convegno “Walter Lippman” dell’agosto del 1938 a Parigi. Furono messe le basi per un ruolo dello Stato come garante delle dinamiche economiche capitalistiche di mercato e della competitività delle imprese. Questo è lo Stato con cui ormai abbiamo a che fare. Per questo c’è poco da illudersi anche in presenza di un flusso massiccio di liquidità. Se sarà lo Stato a gestirle difficilmente devierà dalla linea prestabilita, esplicitata dallo stesso piano Colao. Eventualmente si dovrebbe puntare su un utilizzo delle risorse economiche  gestite dalle municipalità, come del resto qualche sindaco ha timidamente ventilato. Una dinamica che permetterebbe ai movimenti sociali di intervenire con le proprie modalità. Ma questo scenario potrebbe determinarsi solo se le mobilitazioni che sono già in parte in campo, riusciranno a modificare i rapporti di forza.

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Qui il testo del documento : Iniziative per il rilancio dell’Italia: il rapporto della task force di Colao

 

ALTRI LINK UTILI:

Qui l’articolo di Paolo Cacciari: https://comune-info.net/senza-parole/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=Perch%C3%A9+ci+vogliono+eliminare%3F

Qui il giudizio di Giulio Marcon: https://sbilanciamoci.info/colao-un-piano-deludente-per-il-post-epidemia/?spush=cGtkaWNrQGZhc3RtYWlsLml0

 

Nota della bottega .. .per quasi giovincelle/i

Se non avete capito il gioco di parole Colao-Meravigliao del titolo vuol dire che siete nate/i dopo il 1987 e che non frequentatate “Blob” (su Raitre) o altri luoghi dove il recente immaginario di massa viene rivisitato e/o rimasticato. Infatti in quell’anno la canzone «Cacao Meravigliao» divenne famosissima grazie a «Indietro tutta», una trasmissione tv di Renzo Arbore. Celebrato con una canzone-balletto il Cacao Meravigliao era lo sponsor (fasullo, non esisteva un prodotto del genere) del programma: così potente fu la suggestione che il popolo – grande o piccolo, lo direte voi – del consumo obbligatorio si riversò in stato di trance nei market per acquistarlo; e subito qualche furbo provò (o forse riuscì; non ricordo e non ho tempo di verificare) a brevettare il marchio per venderlo finchè durava l’onda. L’esperimento si ripete, con qualche differenza, oggi: a forza di ripetere che Colao sta lavorando, che arriva il Piano Colao, che ripartiamo da Colao… molte persone si convincono che ‘sto Colao – chiunque sia – deve essere se non meravigliao almeno “buonao”. Chi invece ricorda i precedenti di Vittorio Colao rabbrividisce alla sola idea che gli si possa affidare un tamburello sfilacciato o un vecchio scacciapensieri fiiiiiiiiiguriamoci un piano.

Un altro pensierino parallelo o forse intersecante. Probabilmente anche se siete nella fascia 20enni-30enni avete orecchiato quel vecchio Cacao Meravigliao. Ma sapete anche cosa dice l’articolo 11 della Costituzione? Indagini ripetute e dialoghi intergenerazionali confermano come le culture pop(olari) – alte o basse che siano – in qualche modo si tramandino di più delle nozioni storiche di base; tipo “Cosa dice l’articolo 32 della Costituzione?” o come si sono conclusi i processi per la strage di piazza Fontana. Certo, è un altro discorso. Però la “bottega” annota che «Indietro tutta» – nella memoria, nell’informazione, nei diritti – purtroppo è stato un titolo profetico.

 

Redazione
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