Colombia: la guerra sporca contro Gustavo Petro

L’ex sindaco di Bogotà, leader della coalizione di sinistra del Pacto Histórico, costretto ad annullare per alcuni giorni la sua campagna elettorale a seguito delle minacce di attentato da parte dei paramilitari. La destra duqueuribista alza la tensione per evitare ciò che preannunciano i sondaggi, ossia la vittoria di Petro nelle presidenziali del prossimo 29 maggio.

di David Lifodi

In Colombia si avvicinano le presidenziali del prossimo 29 maggio e, con loro, anche le intimidazioni contro Gustavo Petro e la coalizione del Pacto Histórico, che potrebbe portare la sinistra alla vittoria chiudendo così l’epoca nera del duqueuribismo.

A due settimane dal voto, nonostante i sondaggi siano favorevoli all’ex sindaco di Bogotà, crescono i timori per per quella che, su Rebelión, Horacio Duque ha definito “ultradestra uribista neonazi maestra della guerra sporca contro il popolo”. Il deliberato sabotaggio del processo di pace Stato-Farc, i falsos positivos e, in precedenza, lo sterminio dei militanti di Unión Patriótica, sono solo alcuni dei precedenti che fanno preoccupare.

In più, come se non bastasse, all’inizio di maggio Gustavo Petro è stato costretto a cancellare la sua agenda politica per alcuni giorni a seguito della notizia che il gruppo paramilitare La Cordillera aveva intenzione di attentare alla vita di quello che potrebbe essere il nuovo presidente colombiano. L’informazione, diffusa dallo staff della campagna “Petro Presidente”, è stata confermata dalla polizia e Petro ha dovuto sospendere la sua campagna elettorale, prevista nei giorni successivi nell’Eje Cafetero, dove opera La Cordillera, un gruppo criminale legato al narcotraffico e al sicariato su commissione.

Oggi Gustavo Petro rappresenta l’alternativa democratica e progressista impegnata a tutelare quei diritti civili, sociali e politici che l’oligarchia disprezza. A contendere Palacio Nariño a Gustavo Petro sarà Federico Gutiérrez, esponente proprio della vecchia oligarchia colombiana che scommette su di lui, con il forte sostegno del Partido de la U, principale formazione politica di destra della coalizione Creemos Colombia e creatura di Alvaro Uribe, per proseguire nel segno della continuità con i suoi predecessori, quella di un paese gendarme rispetto agli altri stati dell’America latina, saldamente legato all’economia neoliberista e alla svendita delle risorse dello stato alle multinazionali.

Tutta la campagna elettorale è stata all’insegna della violenza. In Colombia, in media, ogni quattro giorni avviene un massacro di cui sono responsabili militari, paramilitari o forze di sicurezza dello stato. Più si avvicina la possibilità di un reale cambiamento politico più crescono gli episodi di violenza le cui vittime sono quelle di sempre: indigeni, sindacalisti, militanti dei movimenti sociali, attivisti per i diritti umani, contadini ed ex guerriglieri. Matar el enemigo è lo slogan delle organizzazioni paramilitari.

All’inizio di maggio erano già 38 i leader sociali assassinati e ben 1.324 dal novembre 2016, quando furono firmati gli accordi di pace tra l’allora presidente Santos (quello dei falsos positivos) e la guerriglia delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia-Ejército del Pueblo (FARC-EP). Per quell’accordo di pace sabotato dalle destre fin dal giorno successivo, l’ambiguo Juan Manuel Santos ricevette un immeritato quanto inspiegabile Nobel per la pace.

Nel solo 2021, sotto la presidenza di Ivan Duque, oltre duecento persone al giorno sono state vittima di desplazamiento forzado. Sempre durante il governo di Duque il diritto alla terra, per le comunità, è divenuto ancor più un miraggio, mentre gli attori interessati a far naufragare gli accordi di pace hanno riconquistato, gradualmente, sempre maggior potere, sfruttando il limbo di quegli accordi di pace rimasti di fatto incompiuti.

Il Centro de Investigación y Educación Popular (Cinep) ha ricordato che paramilitari e Polizia nazionale sono tra i principali responsabili delle violazioni dei diritti umani, sottolineando inoltre la connivenza tra Stato e paras.

In questo contesto così difficile, in caso di vittoria, Petro ha già detto che si impegnerà per la ripresa dei negoziati di pace con l’altra guerriglia, quella elenista, e che si adopererà per tutelare la vita di ex combattenti, lottatori sociali, famiglie indigene e contadine.

Sono oltre 38 milioni i colombiani che si recheranno alle urne per scegliere tra i due ex sindaci: Gutiérrez lo è stato di Medellín. Esponente del vecchio movimento guerrigliero M-19, Gustavo Petro cercherà invece di far uscire il suo paese dall’orbita degli Stati uniti per farlo entrare nel cosiddetto nuevo ciclo rosado latinoamericano.

Attualmente il gradimento elettorale di Iván Duque raggiunge a malapena il 20%. Il programma di Petro, che ha promesso una serie di riforme di ispirazione socialdemocratica, mira soprattutto a ridurre la povertà e le disuguaglianze sociali. Per la Colombia sembra essere davvero arrivato il tempo del cambiamento.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • Un appello pubblicato da Libera e sottoscritto da politici, attivisti, intellettuali in vista delle presidenziali in programma domani:
    https://www.libera.it/schede-2053-appello_per_elezioni_in_colombia
    La situazione resta molto tesa in tutto il paese, soprattutto a seguito delle minacce contro Gustavo Petro e la sua vice Francia Márquez che, secondo i sondaggi potrebbero vincere già al primo turno cambiando il corso della storia in un paese dove mafie e paramilitari la fanno da padroni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *