Colombia: la pace totale di Gustavo Petro
Il nuovo presidente scommette sulla pacificazione sociale di un paese distrutto da decenni di politiche neoliberiste e, in particolare, dai suoi predecessori Uribe, Santos e Duque. A fine gennaio dovrebbero riprendere, in Messico, i dialoghi di pace con la guerriglia dell’Ejército de Liberación Nacional. Intanto, Petro ha già cambiato rotta nel rapporto con i movimenti sociali, ma restano forte, nel paese, la presenza e l’influenza delle milizie paramilitari.
di David Lifodi
Dovrebbero riprendere nell’ultima settimana di gennaio i colloqui di pace tra il governo colombiano e la guerriglia dell’Ejército de Liberación Nacional. I negoziati si terranno in Messico.
A fine anno era stato proclamato un cessate il fuoco, su cui l’Eln aveva dichiarato di doversi pronunciare, ma, nei fatti, il gruppo guerrigliero non ha comunque sparato un colpo e, anzi, ha liberato due persone sequestrate il mese scorso.
Il presidente Gustavo Petro punta ad un accordo di pacificazione sociale totale con le organizzazioni guerrigliere colombiane nel segno di un radicale cambiamento di rotta rispetto ai suoi predecessori, che avevano intrapreso una strategia esclusivamente repressiva.
Messico e Cile continueranno a rivestire il ruolo di paesi garanti dei negoziati di pace, insieme a Cuba, Norbegia e Venezuela, ma le parti vorrebbero coinvolgere anche Germania, Svezia, Svizzera e Spagna.
Il dialogo tra Eln e governo colombiano era ripreso il 21 novembre scorso, a Caracas, dopo un’interruzione che si era protratta dal 2019 per volontà dell’allora presidente filo-uribista Iván Duque. In quell’occasione, aveva spiegato Pablo Beltrán, capo delegazione della guerriglia, erano state definite “le regole del gioco”, come confermato anche da Otty Patiño, capo negoziatore governativo, il quale non ha nascosto le difficoltà di un percorso comunque complesso. Attualmente, a seguito della trasformazione delle Farc in partito politico, ad eccezione della dissidenza della Segunda Marquetalia, l’Eln è rimasta la più grande forza guerrigliera ancora in attività.
Se la pace totale resta l’obiettivo di Gustavo Petro, confidando in un nuovo scenario del paese a seguito della sconfitta dell’uribismo nelle urne, ma ancora forte nelle istituzioni e nelle strade, è altrettanto vero che la strategia di contrainsurgencia a cui, suo malgrado, è stato sottoposto fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso l’intero paese, rende difficile raggiungere, nel breve periodo, la pacificazione. I presidenti che hanno preceduto Petro, tendenzialmente, hanno cercato di mantenere la strategia di contrainsurgencia e, del resto, tutto ciò evidente negli omicidi di lottatori sociali, attivisti ambientali, leader indigeni e contadini che proseguono quasi quotidianamente.
Inoltre, il nuovo presidente ha il compito di evitare che si ripeta la trappola tesa da Juan Manuel Santos alle Farc, che scelsero la strada della smilitarizzazione e della trasformazione in partito politico finendo per pagare, tuttora, un prezzo altissimo ai gruppi paramilitari e alle milizie armate che hanno ucciso diversi loro esponenti.
La scommessa di Gustavo Petro resta complessa perché una delle caratteristiche dell’oligarchia colombiana, divisa, ma più viva che mai nonostante la sconfitta elettorale delle destre, è quella di agire in maniera violenta verso la popolazione utilizzando paras e narcos, spesso appendice violenta di polizia e militari, ed espropriare i diritti a quella parte democratica del paese che non fa parte delle elites.
Per questi motivi, Petro intende cambiare rotta per quanto riguarda i rapporti con la protesta e i movimenti sociali, ma è costretto, al tempo stesso, a fare i conti con quelle milizie paramilitari auto-organizzate o pagate dai signori dell’agrobusiness, dai ganaderos, proprietari terrieri e dai rappresentanti delle grandi multinazionali che mai accetteranno quella pacificazione sociale che farebbe perdere loro consensi, ma, soprattutto, guadagni. Sono stati infatti i signori della guerra, i commercianti darmi, a trarre profitto dal Plan Colombia e dal sistematico boicottaggio degli accordi di pace da parte degli uribisti, che miravano allo scontro totale dello Stato con i gruppi guerriglieri e le organizzazioni popolari, caratterizzato da massacri, sparizioni e omicidi su commissione, per aumentare i loro profitti.
La sfida di Gustavo Petro è ambiziosa perché la pace totale non comprende solo un negoziato che porti all’abbandono delle armi da parte di tutti gli attori armati, ma anche la risoluzione della questione agraria, la tutela dell’ambiente per evitare l’appropriazione delle risorse da parte del latifondo e delle multinazionali, la democratizzazione delle forze armate e lo smantellamento del sanguinario battaglione dell’Esmad, fin qui utilizzato per reprimere le proteste di piazza.
E proprio alla protesta popolare è stato dedicato il decreto 2422 del 9 dicembre scorso, uno strumento legislativo garantista e democratico che rappresenta una rottura con il sistema autoritario finora vigente grazie all’impegno di esponenti di primo piano del Pacto Histórico come Clara López, Iván Cepeda, Alirio Uribe, il cui scopo era quello di far crollare il montaggio poliziesco e giudiziario contro gran parte dei manifestanti arrestati durante l’estallido social del 2019 e restituire la libertà a centinaia di leader sociali incarcerati.
Come era facile da immaginare, il decreto ha ricevuto violenti attacchi da gran parte dei principali mezzi di comunicazione, ancora legati alla destra uribista, rivolti, in particolare, verso la neonata Comisión intersectorial para la promoción de la Paz, la Reconciliación y la Participación Ciudadana e alla scarcerazione di circa 300 lottatori sociali delle “primeras líneas” (in gran parte giovani) incarcerati illegalmente da tribunali che rispondevano più al latifondo mediatico, ai militari e ai diktat uribisti che non ai dettami del giusto processo.
Per la Colombia, la pace totale a cui guarda Gustavo Petro resta l’unica strada per cambiare rotta e tornare progressivamente verso la democrazia.