Colombia: l’ipocrisia del Nobel per la pace al presidente Santos

Grande incertezza nel paese dopo il fallimento del referendum del 2 ottobre. Il presidente è responsabile del caso dei falsos positivos e di operazioni di guerra

di David Lifodi (*)

utopia

La sconcertante decisione di assegnare il premio Nobel per la Pace al presidente colombiano Juan Manuel Santos rappresenta un ulteriore colpo difficile da digerire dopo il fallimento del referendum che, lo scorso 2 ottobre, ha respinto, anche se per pochi voti e con un alto tasso di astensionismo, l’accordo di pace siglato il 26 settembre a Cartagena tra Palacio Nariño e i guerriglieri delle Farc. Attualmente, gli scenari che si prospettano in Colombia sono molto incerti e gli accordi faticosamente raggiunti si trovano in un limbo giuridico, ma c’è il timore che nel paese possa succedere di tutto e, ad inquietare ancora di più gli animi è giunta anche la discutibile decisione di assegnare il Nobel per la Pace ad un guerrafondaio della prima ora.
Certo, Santos ha promosso il dialogo con la guerriglia e, aldilà dell’esito referendario, ha raggiunto il cessate il fuoco, pur dipingendolo come un’esclusiva vittoria dello Stato sulle Farc e non come un successo per un intero paese dopo un conflitto durato oltre mezzo secolo. Tuttavia, in qualità di ministro della Difesa di Uribe, tra il 2006 e il 2009, Santos si è reso protagonista di una serie di operazioni di vera e propria pulizia sociale condotta contro le Farc e l’Eln, l’altra formazione guerrigliera del paese, culminate con il caso dei falsos positivos, giovani delle periferie e contadini uccisi dall’esercito e spacciati per guerriglieri una volta eliminati, dopo che i cadaveri erano stati rivestiti con le uniformi delle due organizzazioni rivoluzionarie. Inoltre, sempre Santos è stato l’artefice della cosidetta Operación Fénix, conclusasi con l’uccisione di uno degli esponenti storici delle Farc, Raúl Reyes, a seguito di un bombardamento di un accampamento delle Farc nella zona di Sucumbíos, in territorio ecuadoriano, da cui derivò anche una crisi diplomatica con l’Ecuador per la violazione della sovranità territoriale. In quell’occasione, durante il raid, condotto con il supporto della Cia e del Mossad israeliano, furono uccisi anche 22 guerriglieri e alcuni studenti messicani in visita all’accampamento delle Farc. E ancora, Santos si è reso responsabile di aver dato impulso ai trattati di libero commercio che hanno contribuito al progressivo impoverimento del paese. Peraltro, sono in molti a pensare che l’improvvisa conversione pacifista di Santos sia stata suggerita dalla Casa Bianca e dalle transnazionali dell’energia e delle miniere in modo tale da poter sfruttare le riserve di petrolio che si trovano nelle zone dove sono ubicati gli accampamenti delle Farc una volta liberati dalla presenza guerrigliera. Date queste premesse, concedere il Nobel al presidente colombiano rappresenta un insulto per le famiglie di coloro che sono stati uccisi nell’ambito dei casi dei falsos positivos e di tutti quegli attivisti, sindacalisti e militanti per la giustizia sociale che hanno continuato ad essere uccisi anche durante la permanenza a Palacio Nariño di Santos.
A seguito del risultato referendario, che ha visto prevalere il No agli accordi di pace per poco più di 50.000 voti, Santos e la guerriglia delle Farc hanno ribadito che il risultato non cambia il loro desiderio di chiudere l’epoca del conflitto armato, ma se da una parte la guerriglia ha garantito di fare il possibile per lavorare ancora dal punto di vista negoziale, ha lasciato assai perplessi il dialogo nazionale lanciato dal presidente colombiano con tutte le forze politiche. Seppure entrambi nel campo della destra, Santos e l’ex presidente Uribe non si parlavano da anni, a partire da quando il primo ha cercato di compiere un passo verso la guerriglia, fortemente osteggiata da quest’ultimo. Si teme che Uribe, il quale ha cercato di sabotare in ogni modo, riuscendoci, il referendum, possa modificare i termini dei negoziati di pace e a mettere all’angolo le Farc. A sottolinearlo è stata anche la stessa Ingrid Betancourt, per anni prigioniera dei guerriglieri. Qualcuno comincia a temere che dietro al desiderio di pace dell’estabilishment colombiano vi sia una trappola per le Farc poiché, in vista degli accordi di pace, la guerriglia ha comunicato i dati dei suoi combattenti e le coordinate sulle sue zone di controllo all’esercito, con il rischio di ritorsioni sia da parte dei militari sia da parte dei paras, grandi alleati di Uribe, il quale, durante la sua presidenza, permise loro di entrare perfino in Parlamento. Il timore che si ripetano le tragiche esperienze che hanno contraddistinto le esperienze dell’M-19 e dell’Unión Patriótica, quando lo Stato tradì i tentativi della guerriglia di fare politica legalmente, non è campato in aria. Da un lato si trovano le Farc, che hanno ribadito la loro volontà di utilizzare solamente la parola come arma per il futuro, dall’altro uno Stato che mantiene un atteggiamento molto ambiguo.
Per ora il cessate il fuoco è stato prorogato da Santos solo fino al 31 ottobre, poi potrebbe succedere di tutto, con l’inquietante peso riassunto da Uribe sulla scena politica. Nemmeno lui credeva che il No avesse potuto vincere: ora passa all’incasso, ma, soprattutto, tiene in scacco l’intero paese.

 

(*) tratto da Peacelink – 24 ottobre 2016

La vignetta è di Vincenzo Apicella

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *