Colombia: lucro di stato sulle carceri

di David Lifodi

Le agitazioni avvenute nelle carceri colombiane di alta e media sicurezza nel corso dell’autunno hanno sollevato il problema, una volta di più, sulla difficile situazione che sono costretti a vivere quotidianamente i reclusi, oltre ad evidenziare i limiti del sistema penitenziario e carcerario colombiano. Alla fine di ottobre il Movimiento Nacional Carcelario (Mnc) della Colombia ha lanciato una giornata di sciopero e disobbedienza civile all’interno delle carceri.

Le prigioni colombiane sono denominate cemeterios de hombres vivos: sovrappopolazione, scarsa attenzione alle richieste dei carcerati, condizioni sanitarie pessime e cattiva alimentazione sono tra i diritti minimi che finora lo stato ha ignorato. Il Movimiento Nacional Carcelario ha proposto al governo un tavolo di concertazione come spazio di dialogo, allo scopo di far assumere allo stato una serie di impegni precisi e non derubricare il caso ad una questione di mero ordine pubblico. Nelle carceri del paese è in atto una vera  e propria emergenza umanitaria sulla quale sono intervenute anche le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc), che hanno inserito la questione carceraria tra i punti in discussione all’Avana nel tavolo di dialogo con il governo. Il Movimiento Nacional Carcelario chiede, tra le altre cose, il diritto a ricevere visite di otto ore per tutti i detenuti, compresi quelli che si trovano nei penitenziari ad alta sicurezza, ed una soluzione alle carenze sanitarie presenti in tutti gli istituti del paese. Dall’Avana, le Farc hanno dichiarato il loro appoggio alla giornata di mobilitazione promossa dal Mnc, e soprattutto hanno sottolineato come lo stato cerchi di neutralizzare politicamente i dirigenti sociali e popolari, molti dei quali incarcerati senza alcuna prova. Le associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani sostengono che almeno 68mila persone si trovano in prigione senza che siano state condannate da alcuna sentenza, ma restano in un limbo, sospese in attesa di giudizio, e soprattutto senza poter disporre di un’adeguata difesa. E ancora, è altrettanto drammatica la situazione delle donne recluse, circa il 12% dell’intera popolazione carceraria: mancano politiche specifiche legate all’educazione dei piccoli che vivono nelle carceri con le madri, senza dimenticare che i casi di violenza sulle donne, da parte di carcerati e carcerieri, sono in crescita costante. Il degrado del sistema carcerario colombiano riflette le disuguaglianza, la miseria e le ingiustizie sociali di un paese escludente. È per questi motivi che il Mnc, presente in circa venti penitenziari del paese, si è fatto promotore di una Declaratoria de Emergencia Social y Humanitaria in tutte le carceri della Colombia, ha chiesto un abbassamento del 20% delle pene per tutti i condannati, auspicato un giudizio rapido per i detenuti e l’apertura di un tavolo nazionale di concertazione con lo stato. Le statistiche dell’Instituto Nacional Penitenciario (Inpec) evidenziano che sono molti anche i decessi in carcere, a causa delle scarse cure mediche, dei maltrattamenti della polizia penitenziaria e della mancanza di acqua potabile all’interno degli istituti che causa problemi di salubrità tra i detenuti. A maggio 2014 era già trascorso un anno dallo stato di emergenza carceraria proclamato dal Mnc, senza alcuna risposta dal presidente Juan Manuel Santos, se non quella di annunciare la costruzione di nuovi penitenziari: di un recupero sociale, alternativo alla reclusione, almeno per una parte dei carcerati, nemmeno a parlarne. In Colombia si è sviluppato un vero e proprio populismo punitivo, fondato sulla carcerazione come unica soluzione al problema cronico della sicurezza che affligge il paese, con buona pace dei diritti di cittadinanza. Negli ultimi anni le maglie del Codice Penale colombiano sono divenute progressivamente più strette, grazie anche a magistrati con dichiarate simpatie fasciste come l’uribista Alejandro Ordoñez, che hanno fatto della battaglia contro i movimenti sociali una ragione di vita, con l’appoggio dei grandi media e dei poteri forti del paese. Addirittura sono stati istituiti nuovi reati e stabiliti degli aumenti delle pene, senza per questo che la sicurezza del cittadino comune sia cresciuta e la criminalità diminuita. In pratica, lo stato colombiano fa un uso sproporzionato della forza, senza però raggiungere gli effetti sperati, come riconoscono le stesse autorità statali colombiane. Attualmente, in Colombia sono attivi e funzionanti 139 istituti penitenziari, dove sono costretti a vivere anche centinaia di minori da tre anni in giù e in cui manca una qualsiasi attività ricreativa per i detenuti. Non c’è possibilità di accedere ad attività ricreative, culturali o fare sport, il diritto alla riservatezza nelle comunicazioni viene quotidianamente violato, torture, isolamento e un trattamento degradante fanno parte delle carceri del paese.  Il numero dei detenuti colombiani, in America Latina, è inferiore solo a Messico e Brasile, mentre per quanto riguarda la sovrappopolazione nelle carceri, la Colombia occupa l’ottavo posto a livello mondiale. La Colombia è uno stato dove il carcere è utilizzato a scopo esclusivamente repressivo, e del resto la crescita dei detenuti è esponenziale: dal 2000 ad oggi i carcerati sono passati da 50mila  a120mila. In Colombia la costruzione di nuovi penitenziari rappresenta un vero e proprio business, tanto che il Movimiento Nacional Carcelario ha definito il complesso penitenziario del paese come un lucrativo negocio del castigo. L’esclusione sociale fa crescere la devianza e, di conseguenza, aumentare il numero dei detenuti, con il risultato di rendere necessaria la costruzione di nuove carceri, a vantaggio dei consorzi specializzati nella costruzione delle prigioni. Non bisogna dimenticare che la crescita delle carceri risale all’anno 2000, quando all’interno del nefasto Plan Colombia fu inserito il “Programa para la Mejora del Sistema Penitenciario Colombiano”, con il beneplacito di Usaid e degli Stati Uniti. L’Instituto Nacional Penitenciario definì il programma come “nuova cultura penitenziaria”, ma in realtà il modello di costruzione di sedici nuovi istituti di pena, previsti dal Plan Colombia, di fatto ricalcava il già fortemente repressivo sistema carcerario americano, a partire dalla militarizzazione dei centri di reclusione e dalla privatizzazione dei servizi all’interno delle carceri. Le prigioni colombiane sono gestite da grandi imprese legate al complesso militare industriale colombiano oppure da transnazionali del settore, che dallo stato di polizia del paese andino ne traggono utili grazie all’aumento dei reclusi: non è un caso che molte di queste imprese siano addirittura quotate in Borsa.

Eppure i reclusi colombiani non sono intenzionati a cedere sui diritti di cittadinanza e, grazie all’apporto del  Movimiento Nacional Carcelario, rivendicano dignità e diritti per se stessi e per le loro famiglie, affinché il regime penale colombiano cambi in meglio: finora, il modello di reclusione è impostato su quello statunitense ed è sotto tutela della Casa Bianca, ma amministrato dall’ Instituto Nacional Penitenciario.

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