Colombia: rischio Uribe per le presidenziali 2018

di David Lifodi

Gli eventi colombiani degli ultimi mesi indicano che l’ex presidente Àlvaro Uribe potrebbe ritornare in sella per le presidenziali del 2018. Non personalmente, ma tramite qualcuno dei suoi uomini più fidati da manovrare a comando. Del resto, pur non essendo più alla guida del paese, Uribe continua ad avere un’enorme influenza sulla politica colombiana. Il referendum sugli accordi di pace, naufragato sia per la bassa affluenza alle urne sia per l’affermazione del “no”, lo ha visto nel ruolo di protagonista di primo piano e il fallimento della consultazione referendaria è stato soprattutto opera sua.

In una Colombia che sta attraversando un pericoloso periodo di limbo, tra una pace firmata, ma in realtà tutt’altro che rispettata (ad esclusione delle Farc, l’unico attore armato ad aver realmente deposto le armi), a partire dai gruppi paramilitari e da una destra contraria ad ogni forma di dialogo, a trarne giovamento potrebbe essere proprio Uribe e il suo Centro Democrático, che già nelle presidenziali 2014 ottenne un buon risultato con l’allora candidato Oscar Iván Zuluaga, fedelissimo dello stesso Uribe. Probabilmente il processo di pace caratterizzerà anche la futura campagna per le presidenziali e c’è da scommettere che Uribe sosterrà una campagna elettorale giocata essenzialmente sul fallimento del presidente Santos, che ha si guadagnato il Nobel per la pace (peraltro in maniera assai discutibile e dubbia sotto molteplici punti di vista), ma che poi ha finito per essere messo alle strette proprio dall’ex amico e alleato. Se un candidato del Centro Democrático dovesse trionfare e installarsi a Palacio Nariño la Colombia tornerebbe definitivamente alla guerra e l’arrivo di un uomo di Uribe alla presidenza significherebbe mettere una pietra tombale sugli accordi di pace.

Già adesso, uno dei problemi maggiori dei negoziati resta quello delle vittime del conflitto armato, mai state al centro del processo di pace, come evidenziato dal Movimiento de Víctimas de Crímenes de Estado (Movice), che indica il progressivo ed inquietante ritorno del paramilitarismo, peraltro mai sradicato in maniera definitiva dal paese. Finora gli accordi pace, per quanto riguarda i crimini commessi dallo Stato, sono stati soprattutto all’insegna del tentativo di tutelare i militari e, conoscendo quanto sia labile il confine tra quest’ultimi e i paras le prospettive non sembrano delle più incoraggianti. Il timore principale del Movice è quello che in Colombia succeda ciò che è avvenuto in Spagna, dove a 40 anni dalla fine del regime franchista non c’è stata ancora alcuna risposta a proposito dei crimini commessi dalla dittatura di allora. Se questa è la situazione di un paese europeo è facile immaginare il timore per quanto potrebbe avvenire in Colombia, dove la guerra non è in pratica mai cessata e i paramilitari hanno sempre goduto di campo libero per spadroneggiare. Peraltro, la prospettiva non sarebbe migliore nel caso di affermazione presidenziale di un candidato santista. Santos, nonostante abbia rotto con Uribe, appartiene sempre all’oligarchia colombiana e il suo vice, German Vargas Llera, indicato come candidato presidenziale del santismo, si è sempre dimostrato assai freddo a proposito del processo di pace, senza dimenticare che lo stesso Santos, in qualità di ministro della Difesa, è stato implicato nel caso dei falsos positivos e che ha cercato di giungere alla fine conflitto per imporre alla guerriglia delle Farc una pace alle sue condizioni. E ancora, a proposito dei guerriglieri, resta per ora irrisolta la questione di coloro che sono in carcere, prigionieri di uno Stato poco intenzionato a concedere l’amnistia e l’indulto, nonostante la legge sia stata approvata lo scorso 30 dicembre 2016, a causa delle centinaia di paletti imposti da una consistente parte della magistratura, quella più vicina al potere.

La linea dura, quella sostenuta da Uribe, contrario a qualsiasi dialogo, seppur minimo, con la guerriglia, potrebbe prendere ancor più il sopravvento se un candidato del Centro Democrático diventasse il nuovo presidente del paese. Soltanto nel periodo agosto 2016-gennaio 2017, secondo Marcha Patriótica, sono stati registrati oltre 400 casi di attentati contro esponenti di comunità indigene, movimenti sociali e organizzazioni contadine. Il timore principale, per la Colombia, è che la storia si ripeta ancora una volta, di fronte ad uno scenario che prometteva di aprire ben altri orizzonti, come accadde, ad esempio, il 26 aprile 1990, quando fu assassinato il guerrigliero del gruppo M-19 Carlos Pizarro Leongómez, una settimana prima della firma del cosiddetto acuerdo político tra l’organizzazione armata e il governo di Virgilio Barco Vargas. Leongómez avrebbe dovuto correre alle presidenziali per il partito Alianza Democrática, braccio politico dell’M-19 in via di smobilitazione, ma fu ucciso esattamente come lo furono, anni prima, due esponenti dell’Ejército Popular de Liberación (Epl), pochi giorni dopo il cessate il fuoco dichiarato dal governo di Belisario Betancur e dallo stesso Epl il 24 agosto 1984.

Purtroppo i colombiani che desiderano ardentemente la fine del conflitto rischiano di dover scegliere tra la poco allettante pace santista in salsa neoliberista e il ritorno alla guerra pressoché certa se Uribe, da esperto uomo politico, tornerà in possesso, anche se per interposta persona, di Palacio Nariño.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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