Colombia: (narco)stato arricchito dalle fumigazioni

di David Lifodi

In Argentina, Nicaragua e molti altri Paesi le fumigazioni servono per imporre la monocoltura (spesso della soia), fare un favore ai signori dell’agrobusiness e costringere al fallimento contadini e piccoli agricoltori, ma in Colombia ha preso piede una variante di questo meccanismo consolidato, tanto da poterla denominare, a buon diritto, Locombia. Il motivo è presto spiegato: le fumigazioni, nell’intento del governo colombiano, servirebbero per sradicare le piantagioni di coca, ma, particolare non trascurabile, sono le stesse alte cariche dell’esecutivo e i funzionari del Das (il Departamento Administrativo de Seguridad de Colombia) ad avere stretti legami con il narcotraffico. Il Grupo di Agricoltura y Commercio dell’Alleanza Sociale Continentale (una rete composta da molte organizzazioni contadine) si spinge oltre e accusa governo e Das di costituire essi stessi un cartello della droga. In effetti, l’ex presidente Uribe figura nella lista nera del narcotraffico stilata dal Dipartimento di Stato Usa, precisamente all’82esimo posto, ma gli Stati Uniti non sono mai stati in grado di catturarlo, un eufemismo per dire che non hanno mai mosso un dito. Prima Uribe e poi il suo delfino Santos (ministro della Difesa e adesso presidente) hanno fatto della guerra al narcotraffico la loro bandiera allo scopo di legittimare la presenza Usa nella regione. Inoltre, la presunta lotta alla droga serve a Bogotà per mantenere contingenti militari in numero spropositato su tutto il territorio allo scopo di garantire la vera finalità della presenza del proprio esercito e di quello a stelle e strisce: svendere le immense ricchezze naturali del paese ai signori dell’agronegozio nel contesto del Trattato di Libero Commercio da tempo ratificato con la Casa Bianca. Di conseguenza, le fumigazioni servono a questi scopi, se poi si va incontro ad un vero e proprio genocidio delle comunità locali, questo viene derubricato ad un semplice effetto collaterale. Il grido d’allarme giunto poco più di due settimane fa dai popoli afro del Chocó (dipartimento colombiano conosciuto per la sua biodiversità) assomiglia ad un appello disperato che corre il forte rischio di essere disatteso dalla comunità internazionale, oltre ad essere ignorato dai (narco)governanti che siedono in Parlamento a Bogotà. Lo scorso 24 Ottobre le comunità afrocolombiane del Medio San Juan e del Medio Baudo si sono svegliate sotto una pioggia di glifosato. Il governo ha garantito che si tratta di sostanze innocue, ma uno studio della Facultad de Salud de la Universidad Industrial de Santander dimostra tutto il contrario. In ogni caso, non c’è bisogno di studi scientifici per certificare ciò che è sotto gli occhi di tutti, un lento processo di ecocidio che mette in crisi un ecosistema già fragile quale è quello del Chocó, ed un vero e proprio genocidio per quanto riguarda la popolazione, dove abbondano malattie respiratorie, casi di cancro, aborti e tutto il triste corollario che si registra in questi casi. E’ dimostrato che le fumigazioni aeree non hanno bloccato la coltivazione della coca, che peraltro serve al sostentamento delle comunità locali ma è associata indebitamente (e volutamente) dal governo al commercio della cocaina, al fine di giustificare la presenza militare sul territorio e derubare le popolazioni locali delle ricchezze di cui il Chocó abbonda, si pensi al coltan, all’oro, al petrolio e alle risorse idriche. Un altro capitolo spiacevole sta nella responsabilità diretta delle fumigazioni ad opera di imprese Usa già specializzate in servizi di questo tipo nei paesi dove negli ultimi anni si è cercato di esportare a tutti i costi una presunta democrazia: Irak, Afghanistan e Libia. In pratica, lamentano gli afrocolombiani del Chocó, il governo ci nega il diritto alla vita e ci impedisce di coltivare quanto necessario per la nostra alimentazione, anticamera dello sfollamento forzato in altre zone del paese: la sicurezza sociale, ambientale e umana delle comunità per il governo non ha alcun valore. Il recente rapporto delle Nazioni Unite, intitolato Informe de Desarrollo Humano 2011 Colombia Rural e volto a far conoscere all’intero paese la realtà della vita nelle campagne colombiane, ha subìto un brusco stop in concomitanza con l’avanzamento del Tlc con gli Stati Uniti. Coltivatori di riso, produttori di mais e piccoli agricoltori, la cui vita dipende dal commercio di leguminose e ortaggi (dai fagioli alla cipolla passando per il pomodoro e le carote) sono caduti rapidamente in disgrazia: il Tlc ha determinato una diminuzione di oltre il 10% in media delle entrate per i campesinos. Nel frattempo, le transnazionali e gli investitori stranieri si impadroniscono facilmente di tutte le risorse del paese: trasporti, alimentazione, istruzione, sanità, servizio idrico, concessioni minerarie non appartengono più alla popolazione colombiana, ma sono già preda del un mercato. Oltre 17 milioni di ettari destinati all’agricoltura sono ormai nelle mani di pochi e facoltosi proprietari terrieri, il cui unico intento è quello di proseguire sulla strada dello sfruttamento intensivo. Il nuovo presidente Santos ha scelto di proseguire la guerra contro indigeni, piccoli agricoltori, contadini (oltre che sindacalisti, politici dell’opposizione, stampa indipendente e attivisti per i diritti umani) già scatenata dal suo predecessore Uribe: “Il pretesto è la lotta alla droga, ma i veri narcos hanno un peso notevole nella ricca oligarchia del paese e nelle istituzioni” concludono amaramente gli afrocolombiani del Chocó.

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