Come facciamo a restare sereni?

Ragionamenti di Enrico Euli (*) su follia, confini, indifferenza e dissociazioni

Street scene in Favela Lixao is in the far northern flatlands of Rio. This is one of the favela's where the drug lords from the south have retreated to. The favela is under the rule of the Comando Vermelho. The favela lacks many services, an open sewage creates health issues. Teenage pregnancy is a big issue as well. In the wake of the upcoming Olympics and the world championship soccer, Rio is cleaning up its city. To the annoyment of successive governments most of Rio's one thousand favela's have been under the control of (drug)gangs or private militia's, often consisting of corrupt police officers. The past has seen violent clashes between the police and the gangs often resulting in innocent deaths. Since 2008 Rio established the so-called UPP (Unidade de Pol’cia Pacificadora), the force is supposed to act as a community force giving help and assistance to the community. The force consists of new recruits to avoid corruption and any debatable affiliations. Before the UPP enters the elite force of the police possibly with the army takes control of the favela and establishes law and order. The success of the pacification needs to be seen, sofar only thirty favela's have been pacified. Although inhabitants in general agree that its safer, they complain that prices and rents are going up; many are forced to leave to outlying non-pacified favela's.

  A proposito di “armi di DISTRAZIONE di massa”, il Brasile è pronto per le Olimpiadi 2016: nella foto l’altra faccia dei “giochi”, una favela di Rio

 

Volevamo solo passare una serata serena, ad ascoltare musica, con gli amici…”. Stai sereno, come diceva quello. Com’è che stiamo sereni, che restiamo sereni, davanti a tutto quello che accade, almeno sino a quando non ci colpisce direttamente? Anestetizzandoci con alcool, droghe, ambient music e calcio, in primo luogo. E immergendoci in quella forma di follia che si chiama indifferenza.

Sì, riusciamo a stare sereni, nonostante tutto. È questa la nostra pazzia. Sino a quando qualcuno – impazzito di rabbia e di risentimento – non si fa più ammansire con i sedativi, piomba sulle nostre vite e va smontare la nostra tranquillità di cittadini benestanti, agiati, appagati e paganti. Sembriamo quelli che abitano a fianco di Mauthausen e continuano a coltivare il giardinetto parlando ai sette nani e ti dicono che è un posto come un altro (li ho visti di persona, giuro).

Ma come facciamo a restare sereni? Come facciamo a proseguire a vivere la nostra vita, fingendo che gli altri, le nostre vittime, i poveri e gli oppressi, non esistano? Come facciamo a continuare a pensare solo a noi stessi, alle nostre famiglie e ai nostri figli? E non sto invitando le persone a far volontariato o a far parte della “macchina dell’accoglienza” (che giù la parola dice tutto, e dice soprattutto perché ormai non possono fare a meno di odiarci, anche quando ce li prendiamo in casa…).

Un’altra pazzia che ci circonda – e contribuirà ad ammazzarci – è la nostra reazione di difesa, che va a colpire soprattutto noi stessi. Quando vediamo 250.000 auto in fila a Dover, in attesa di passare in Francia, ferme giornate intere sotto il sole per i controlli anti-terrorismo, capiamo che la nostra vita non sarà più la stessa. Che siamo in trappola, e che le nostre stesse regole ci toglieranno quel poco che ci restava della libertà, fosse anche solo quella di spostarci liberamente, condizionati soltanto dalle nostre risorse e voglie.

Non se ne parla abbastanza, ma Schengen non c’è già più, siamo tornati alla follia dei confini e dei controlli senza fine. La sicurezza si sta divorando anche gli ultimi barlumi di vita.

Tra poco saremo ridotti in condizioni simil-sovietiche o prenderemo esempio da Erdogan, che ha tolto il passaporto – a sua discrezione – a decine di migliaia di turchi in poche ore. Allarmismo? Esagerazione? Ne riparleremo, a breve.

L’altra follia del nostro atteggiamento si rivela nella nostra assurda richiesta ai musulmani integrati di dissociarsi apertamente dagli attentati e dall’Isis. Ma perché noi ci dissociamo dai criminali della finanza, dagli sfruttatori coloniali, da quelli che -anche per noi – continuano a distruggere la natura e le culture di quei Paesi? Noi ci dissociamo dalle nostre guerre continue, dalle nostre fabbriche d’armi, dalle nostre rapine?

Siamo noi i veri dissociati mentali, siamo noi i folli. Vogliamo dirci liberali, progressisti, tolleranti, cristiani e non siamo nulla di tutto questo, anzi viviamo esattamente all’opposto di come diciamo. Siamo noi i dissociati da noi stessi e chiediamo agli altri di dissociarsi dai nostri nemici, solo perché iniziamo a pagare per i nostri misfatti. Ma l’ipocrisia e la retorica sono agli sgoccioli. I ricatti economici e le false promesse non ci proteggono più. La rabbia e l’aggressione prendono piede contro di noi. Hanno atteso anche troppo.

La pazienza, almeno quella degli altri, è finita.

(*) Ripreso, con la foto, da «Comune Info». Enrico Euli è ricercatore universitario e docente di Metodologie e tecniche del gioco, del lavoro di gruppo e dell’animazione, nonché autore di numerosi libri. Cura il blog «Saturnalia», dal nome delle feste popolari di Roma antica (in onore di Saturno), durante le quali si scambiavano auguri e doni e, soprattutto, era concesso agli schiavi di prendere il posto dei padroni. In questi giorni arriva in libreria – edito da Sensibili alle foglie – il suo «Fare il morto» (db).

 

Redazione
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Un commento

  • “sereni” episodi da milano
    1) aspetto un’amica alla stazione Garibaldi, l’ingresso è pattugliato da militari bardati fino ai denti, mitra spianato, aria stralunata… mi sposto in modo da essere sufficientemente fuori tiro e penso con disagio che sembro essere l’unica sul posto a provare angoscia e a non sentirmi affatto rassicurata da queste presenze armate
    2) visita ad installazione artistica in una sede museale piccolina quanto di tendenza, sicuramente non un sito “sensibile”, ma un gruppo di guardioni ci tiene in fila e controlla le borse o passa le persone col metal detector. Il controllo è assolutamente inutile ai fini della sicurezza: velocissimo sguardo al contenuto dello zainetto, la mia borraccia in alluminio potrebbe essere tutt’altro ma passa senza problemi. Faccio notare e polemizzo: sarebbe più efficace e meno “aggressivo” fare depositare le borse in un armadietto, quindi a che pro? probabilmente solo a farci abituare -omeopaticamente- a una ordinaria routine di controllo
    3) ordinaria routine a cui sembra ormai assuefatto chi è molto giovane: periferia milanese, spazio all’aperto sede di concerti, all’entrata ragazzini in fila ordinata si fanno perquisire senza fiatare e palpeggiare a braccia alzate dalla “security”, che ficca il naso persino nei passeggini coi bebè a bordo. Sono l’unica che fa presente all’omaccione, che no, non può guardare nella mia borsa perchè non è un pubblico ufficiale… Mi guarda come fossi una marziana, forse lo sono.

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