Com’è “onnivora” l’etnomusicologia

Intervista di Ignazio Sanna a Ignazio Macchiarella

 macchiarella

A margine del trentaduesimo convegno internazionale di musicologia tenutosi in Sardegna dal 20 al 25 settembre (cfr qui: https://www.labottegadelbarbieri.org/sardegna-una-settimana-di-etnomusicologia/) abbiamo rivolto qualche domanda a Ignazio Macchiarella, presidente del comitato organizzatore. Nativo di Palermo, dopo aver insegnato anche a Trento e Arezzo, Ignazio Macchiarella è attualmente professore associato di Etnomusicologia all’università di Cagliari. Si è occupato diffusamente, fra le altre cose, di musica etnica della Sardegna e della Corsica.

Com’è nata l’idea di accostare il fenomeno della transumanza all’etnomusicologia e come è stata sviluppata all’interno del seminario?

«L’idea di partenza del comitato internazionale del seminario ESEM era quella di ragionare su qualche aspetto della questione musica-migrazione. Ben presto l’attenzione si è concentrata sulla capacità della musica di ritornare, dopo aver viaggiato per lo spazio e il tempo, nei luoghi da cui è partita, fra la gente che in qualche modo l’ha creata. È un aspetto ancora poco approfondito, emblematicamente rappresentato dalla grande storia del ritorno del blues in Africa. L’accostamento specifico alla transumanza è venuto fuori dai miei personali ricordi di tante discussioni con amici pastori i quali mi spiegavano la decisiva importanza per le proprie vite dell’esperienza umana dell’andare e del tornare stagionale.

Praticata in modi differenti in tante parti del mondo, la transumanza di fatto appartiene al passato, superata dalla moderna zootecnia, ma rimane ben viva nella memoria condivisa di tante comunità della Sardegna e di altre regioni in cui l’allevamento costituisce una risorsa economica rilevante. Ogni anno, seguendo il corso delle stagioni, gli uomini, accompagnando il bestiame, si mettevano in marcia attraverso sentieri prestabiliti, dalle montagne alla pianura e viceversa. Transumanza implicava dunque l’andare e tornare delle persone e dei loro saperi: saperi localizzati (ogni paese nella consapevolezza di chi vi abita/abitava ha/aveva una propria specificità nella pastorizia così come negli altri ambiti della vita sociale) che viaggiavano incontrando altri saperi, in un reciproco arricchimento, attraverso il dialogo e l’interazione al di là di ogni barriera (anche linguistica), attraverso la circolazione di consapevolezze e idee, lo scambio, il prestito, la restituzione. Una esperienza umana complessa, vissuta in prima persona dai pastori-transumanti che tuttavia coinvolgeva interamente le loro comunità di partenza/ritorno e quelle attraversate lungo il viaggio. Un viaggiare, di uomini e saperi, uguale nelle rotte ma sempre diverso negli incontri ed in ciò che ne derivava in termini di commistioni, trasformazioni, cambiamenti degli uomini e dei loro saperi. La mia proposta è stata accettata e così la metafora del periodico andare e tornare della transumanza lungo sentieri conosciuti è diventata il tema del Seminario. A loro modo, le musiche e i musicisti vanno e vengono. Partono da un luogo in cui ritornano e da dove ripartiranno nuovamente, ogni volta arricchendosi grazie agli incontri avuti nel continuo andare e tornare, alle esperienze di dialogo, scambio, prestito, diffusione, commistione, restituzione eccetera, con altre musiche e altri musicisti, in una prospettiva di dialogo/incontro interculturale. Il tema dunque è stato articolato nelle varianti dell’andare e tornare delle musiche (oggi favorito dai mass media), dei musicisti (music makers nei termini di John Blacking, il fondatore dell’ ESEM) e degli (etno)musicologi – i quali, in fin dei conti, vanno e tornano dal proprio campo di ricerca ogni volta arricchendosi grazie agli incontri sempre nuovi, sia pure con gli stessi music makers locali».

Può dirci qualcosa sulla figura di John Blacking? E in particolare se ha avuto a che fare con la Sardegna?

«John Blacking (1928-1990) è stato un grande antropologo della musica – così amava definirsi, invece che etnomusicologo – britannico. Di formazione pianista, dopo aver prestato servizio nell’esercito, in Malesia, cominciò a studiare antropologia sociale al King’s College di Cambridge con Meyer Fortes, perfezionandosi in etnomusicologia a Parigi, al Musée de l’Homme con André Schaeffner. Fra il maggio del 1956 e il dicembre del 1958 soggiornò fra i Venda, una popolazione del Transvaal settentrionale (Sud Africa), una esperienza di ricerca e di vita fondamentale da cui derivarono alcuni dei lavori cardine della moderna etnomusicologia. Tornato in Europa si stabilì alla Queen’s University di Belfast che divenne un centro di rilievo internazionale della disciplina, attirando studenti da tutto il mondo: in questo contesto nacque, nel 1981, l’ESEM. Dificile sintetizzare in poche parole il contributo di Blacking: diciamo che un aspetto particolarmente rilevante della sua opera è stato l’avvio dell’analisi culturale della musica ossia l’idea forte che nelle strutture musicali si manifestino dei modelli culturali condivisi da un gruppo umano. Per chi voglia conoscere questo punto consiglio la lettura di uno dei principali contributi di Blacking tradotto in italiano ossia “Come è musicale l’uomo” (Lim, Lucca 2000), una fondamentale trattazione scientifica sulla dimensione umana del fare musica. Non ho notizie di rapporti diretti fra Blacking e la Sardegna: certamente conosceva gli studi sulle musiche dell’isola realizzati da Bernard Lortat-Jacob e Francesco Giannattasio comprese alcune relazioni da loro presentate in vari seminari ESEM (io ho potuto conoscere Blacking solo nel 1989 partecipando al primo ESEM in Italia, a Siena)».

La proposta all’interno del convegno del film «Il nemico – Un breviario partigiano» è stata una piacevole sorpresa. Ma come si lega l’accostamento dei suoni del film che sono sì (relativamente) popolari ma anche in parte di radice punk rock (vedi i frammenti live dei CCCP) allo spirito squisitamente etnomusicologico dell’ESEM?

«Negli ambienti della musicologia si dice che gli etnomusicologi sono “onnivori” perché vogliono occuparsi di tutto. E in effetti già Blacking ci ha insegnato che l’etnomusicologia non è lo studio di un certo tipo di musica (quella etnica, popolare, tradizionale eccetera, aggettivi che di per se significano poco), ma è un “approccio per comprendere tutte le musiche e il fare musica nel contesto della performance e le idee e le abitudini che i compositori, gli esecutori e gli ascoltatori prendono in riferimento a ciò che essi definiscono situazione musicale. Uno dei primi insegnamenti degli etnomusicologi è che la musica è un fatto sociale”. Dunque ci occupiamo effettivamente di tutti tipi di musica applicando il nostro metodo scientifico: durante il nostro ESEM sardo altri interventi hanno trattato espressioni rock, pop ma anche della cosiddetta musica classica. Tra l’altro l’unica relazione sulla musica della Sardegna, quella molto interessante presentata da Paolo Bravi e Salvatore Carboni, riguardava proprio l’andare e tornare del ben noto Franceschino Demuro fra canto a chitarra e opera lirica!

Chi fosse interessato a conoscere meglio in cosa consista il metodo etnomusicologia e quali siano i suoi campi di applicazione può partire dai materiali didattici che metto a disposizione per i miei studenti e che si trovano nelle mie pagine di Unica.it – o può rivolgersi direttamente a me mandando una mail a macchiarella@unica.it».

Infine può tracciare un bilancio dell’evento?

«Il bilancio è decisamente positivo, sia sul piano scientifico che sul piano umano. Sono arrivate più domande di partecipazione di quante ce ne aspettavamo, al punto che il comitato scientifico del seminario ne ha dovuto rifiutare decine (!), alcune delle quali da molto lontano (dagli Usa, dalla Cina); le relazioni accettate e presentate, una cinquantina, sono state mediamente di buon livello con alcune punte di notevole rilievo scientifico, e fra queste alcune relazioni di giovani studiosi italiani, cosa che mi ha fatto molto piacere. Tra le relazioni presentate il comitato farà una selezione fra quelle più inerenti la metafora della transumanza, le quali confluiranno in un volume pubblicato da un importante editore europeo, con il supporto del dipartimento di Storia Beni Culturali e Territorio dell’università di Cagliari, che ha organizzato l’evento. Altre relazioni invece finiranno in riviste specializzate e altro materiale ancora sarà poi pubblicato sul sito del Labimus (il laboratorio interdisciplinare sulla musica del nostro ateneo http://sites.unica.it/labimus/): insomma credo che qualcosa di veramente valido sul piano scientifico questa settimana sarda abbia prodotto.

Dal punto di vista umano sono stati giorni molto belli per il rapporto che si è creato all’interno del gruppo degli studiosi provenienti da tutto il mondo e fra questo gruppo di studiosi e i tanti musicisti che si sono alternati negli eventi musicali a conclusione di tutte le serate: musicisti sardi, provenienti da diversi paesi (Orgosolo, Orune, Cuglieri, Bosa, Bortigali, Bonnanaro, Furtei, San Gavino, Assolo, Seneghe e altri ancora, oltre ai cantori “di casa”, di Santu Lussurgiu) e giovani musicisti londinesi (la Soas Ceilidh Band della University of London, School of Oriental and African Studies). Il tutto sullo sfondo della grande ospitalità della gente di Santu Lussurgiu, e del Comune, della Pro Loco, dell’Associazione Borghi Autentici, sede di Santu Lussurgiu, e del magnifico gruppo di ragazzi della Consulta Giovanile. E colgo questa occasione per ringraziare ancora una volta quanti hanno collaborato in diverso modo alla riuscita dell’ESEM- Sardinia».

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *