Com’è politica l’ecologia

Editoriale del numero 0 (luglio2013) di «CNS-ecologiapolitica»
 di Giovanna Ricoveri (*) 
  I materiali che pubblichiamo su questo sito non costituiscono una  
rivista in senso proprio ma una raccolta di contributi, a volte  
ripresi da precedenti pubblicazioni. Su ogni numero troverete una  
prima sezione di “Articoli e saggi”; una rubrica tecnico-scientifica  
curata da Giorgio Nebbia, intitolata “Chimica naturale”; una sezione  
chiamata “Materiali di approfondimento”; le “Ristampe” di articoli e  
saggi da noi già pubblicati in passato, nelle due precedenti serie di  
CNS-EP (la rivista cartacea del periodo 1991-1996, e l’inserto mensile  
pubblicato sul quotidiano «Liberazione» nei due anni 2001-2002);   le  Recensioni e segnalazioni di libri”; i link per accedere ai  video da  
noi considerati importanti rispetto al fine che ci proponiamo.

Nel loro  insieme,  questi contributi vogliono illuminare le molte  
facce della cultura e della pratica dell’alternativa rispetto alla  
realtà (pratica e culturale) che il capitalismo propone e impone al  
mondo da circa tre secoli, per mantenere ed estendere  il suo profitto  
e la sua egemonia.  Quella cultura e quella pratica sono arrivate al  
capolinea, come dimostra la crisi ecologica ed economica globale,  
soprattutto evidente in Europa, che di quella cultura e di quella  
pratica è stata la culla.

Il fine che ci proponiamo con questa nuova serie di «CNS-EP», è  
complicato dal fatto che la cultura e la pratica capitaliste sono  
diventate egemoni nel corso del tempo (due-tre secoli) soprattutto nei  
Paesi del Nord,  grazie alle molte bugie  raccontate dal capitale e   
alle alleanze trasversali fra il capitale e il lavoro, tra il capitale  
e i cittadini, costruite su quelle bugie. Alleanze che hanno permesso  
di confondere  le vittime con i colpevoli: l’esempio più chiaro è  la  
contraddizione fra lavoro e salute, che è venuta a crearsi nel modello  
di produzione mercantile fondato sulla grande fabbrica e sul rapporto  
gerarchico, come l’Ilva di Taranto dimostra oggi in modo esemplare. Ma  
la denuncia non basta: occorre  decostruire l’immaginario collettivo,  
come sostengono molti critici del sistema, ma lo si può fare solo  
spiegando quale sviluppo e assetto sociale auspichiamo, per evitare la  
resistenza di massa contro il ritorno al passato (le donne non  
vogliono del resto tornare a fare il bucato a mano, e hanno ragione).

La cultura dei beni comuni fornisce la nuova cassetta degli attrezzi  
con cui affrontare questa questione, ma dobbiamo tenere presente che
la cultura dei beni comuni è minoritaria nonostante i beni comuni
siano diventati uno slogan citato a proposito e a sproposito: c’è infatti
molta confusione anche tra i suoi sostenitori. In Italia, ad esempio,
i beni comuni non sono intesi come modello di un diverso modo di
produzione e di consumo e di un ordine sociale alternativo a quello
esistente, ma  come un significante vuoto da usare quale strumento di
 lotta politica ai vertici, fra élite; e i movimenti non sono intesi come
mobilitazione delle comunità locali, che nei paesi del Nord e del Sud
resistono alle enclosures e propongono alternative in difesa delle loro
condizioni di vita, ma come le pratiche sociali di occupazione degli
spazi abbandonati dal capitale (fabbriche, teatri, ecc) realizzata dai
 giovani e dagli studenti.
Ci auguriamo che la pubblicazione di questo sito favorisca il dibattito
 sui temi da noi qui sollevati.

(*) Fabio Parascandolo mi segnala – e io con piacere l'annuncio in
 blog - la ricomparsa,  stavolta in versione online, della rivista
«CNS-Ecologia politica». Il numero 0 della nuova serie è già in
 rete. Chi volesse riceverla in automatico può richiederla a
 <info@ecologiapolitica.org> o vederla qui:
http://www.ecologiapolitica.org/wordpress/

 

Redazione
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