Serhildàn Kurdistan!

“Su la testa, Kurdistan!” è la traduzione di “Serhildàn Kurdistan!”, un libro a cui aveva lavorato nel 2003 il compagno Dino Frisullo e incentrato sull’intifada kurda in Turchia. Questo titolo ci sembra appropriato in un momento in cui il popolo curdo è di nuovo attaccato dall’esercito turco mentre l’Europa guarda da un’altra parte. Qui sotto riprendiamo due articoli tratti da Comune-Info, più due appelli, un documento delle donne (Women Defend Rojava Campaign Committee) con le prime adesioni e un comunicato di Amnesty. 

Dichiarazione delle donne: stop alla guerra di occupazione della Turchia contro il nord e l’est della Siria – immediatamente!

 

 

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Come possiamo?

di Hawzhin Azeez 

 

E così, per i kurdi, la storia si ripete ancora. Le forze statunitensi, che avevano svolto una funzione di “ammortizzatore” contro l’invasione turca e il massacro dell’Unità di protezione popolareUnità di difesa delle donne (YPG-YPJ) e del popolo del Rojava, adesso si ritirano dalla regione. Erdogan sta attuando un’invasione totale, per via aerea e terrestre, dal giorno successivo al ritiro degli Usa. Il suo sostegno aperto all’Isis durante tutto il periodo della guerra a quell’organizzazione terroristica, era stato reso pubblico in diverse occasioni.

Non c’è bisogno di ripetere ancora che i Kurdi non hanno mai sparato un solo proiettile verso la frontiera turca, né che mai sono stati una minaccia. Non ne vale la pena. Come non vale la pena di ripetere che la Turchia ha una lunga storia di massacri e genocidi contro i Kurdi e altre minoranze. Oppure che attualmente occupa Afrin, in totale violazione al diritto internazionale, dove le persone vengono sequestrate, massacrate, deportate e torturate ogni giorno e gli Yazidi e i Cristiani vengono obbligati a convertirsi all’Islam.


                I tank turchi avanzano. Foto tratta da akhbarak.net

Come possiamo esprimere, in quanto Kurdi, i nostri sentimenti verso questo tradimento della comunità internazionale dopo aver dato tanto per la sua libertà e la pace?

Come potremo sopportare, come Kurdi, il dolore di quel sappiamo, e abbiamo sempre saputo, che porterà con sé questa invasione? Da quante guerre possiamo essere investiti nel corso di una vita? Quante generazioni dovranno ancora essere deportate, ridotte senza patria, senza casa? Quanti di noi dovranno crescere in accampamenti provvisori per poi essere di nuovo puniti ed etichettati come terroristi per aver scelto l’abbraccio delle montagne?

           L’oppressione turca sui Kurdi vista da Zerocalcare

E ancora, in quanto donne kurde, come possiamo parlare del terrore che affronteranno le nostre sorelle alla frontiera del Rojava, quando l’immagine mutilata di Barin nella nostra mente collettiva è ancora tanto fresca e ci mancano tante sorelle Yazide?

E come possiamo sopportare, in quanto Kurdi, e come esseri umani, che una tale ingiustizia e una simile parodia esistano in modo consapevole, apertamente, mentre voi offrite un rituale di parole sulla democrazia e il diritto internazionale e i diritti umani?

Non mi parlate di umanità. Non parlatemi di democrazia. Non mi parlate di solidarietà. Oggi non credo a nulla, sapendo che il sangue dei nostri YPG-YPJ è ancora fresco nei cimiteri del Rojava e che tutto questo è stato anche per voi; ed è tutto invano.

7 ottobre 2019

Fonte: Comunizar

Traduzione dallo spagnolo per Comune-info: marco calabria

Riflessioni di una femminista kurda. Il sito di Hawzhin Azeez, accademica, poeta, attivista e femminista intersezionale.

UNA PROPOSTA: E se usassimo il boicottaggio? Rete Kurdistan

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Le donne di Jinvar
Appello
                                 Foto: Serena Chiodo

Cari amici e amiche di Jinwar, come donne di Jinwar vi mandiamo un saluto e vi facciamo una chiamata. Come avrete notato, le minacce turche di avviare un’offensiva in The Autonomous Administration of North and East Syria (NES) si sono intensificate (la lettera è stata scritta poche ore prima dell’inizio dei bombardamenti, ndr). Questo tentativo di occupazione è un attacco diretto ed esistenziale alla nostra vita, ai nostri mezzi di esistenza, alla nostra società, alle nostre conquiste e alle nostre lotte come donne.

Jinwar è solo uno degli spazi in pericolo di estinzione in caso di occupazione turca. Il villaggio si trova vicino al confine turco ed è l’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale, che è stata ufficialmente fondata nel 2014 come progetto politico multietnico, radicato nella lotta storica del popolo curdo per il riconoscimento politico, l’uguaglianza e la democrazia.

Senza la rivoluzione del Rojava e le esperienze delle lotte delle donne in tutte le aree geografiche e nella storia, Jinwar non esisterebbe. Sono passati quasi tre anni da quando i primi preparativi sul terreno per la costruzione di Jinwar sono iniziati. Da allora si sono sviluppate molte cose, migliaia di persone sono venute a sostenere il progetto, il villaggio è cresciuto ed è diventato un luogo noto e vivace, importante per molti nella regione. Donne e bambini vivono qui, sviluppando la vita comune, imparando, condividendo, lavorando nei campi e nei giardini, nell’accademia, nella scuola, nel forno, nel negozio del villaggio, nel centro sanitario.

Jinwar rappresenta la realizzazione del sogno di una vita libera, la capacità delle donne di raccogliere la nostra forza e conoscenza e di sviluppare alternative comuni in ogni aspetto della vita, nonostante tutti gli attacchi e le difficoltà che sono parte del percorso.

Non possiamo accettare di perdere ciò che molte hanno costruito. Chiediamo a tutte le donne e tutte le persone di sostenere la nostra resistenza. Alziamo la voce e agiamo per la liberazione delle donne, lottiamo per alternative. Difendiamoci dagli attacchi dello stato turco e tutte le altre forme di violenza patriarcale e oppressione.

Jin, jiyan, azadî!

Traduzione a cura della Rete Jin (Jin è una parola curda che significa donna) – Entrambi gli articoli sono tratti da Comune-Info

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Stop alle vendita di armi italiane alla Turchia

Appello di Amnesty International

Dopo l’ingresso delle forze armate della Turchia nel nordest della Siria, siamo seriamente preoccupati per le devastanti conseguenze che l’offensiva militare potrebbe avere sul piano umanitario.

 

Come riportato da Rete Disarmo, la Turchia è da molti anni uno dei maggiori clienti dell’industria bellica italiana.

 

Chiediamo all’Italia di sospendere tutte le forniture di armamenti verso la Turchia e di non limitare lo stop solo alle commesse future.

Armi italiane alla Turchia: i numeri

Negli ultimi quattro anni l’Italia ha autorizzato forniture militari per 890 milioni di euro e consegnato materiale di armamento per 463 milioni di euro. Nel 2018 sono state concesse 70 licenze di esportazione definitiva per un controvalore di oltre 360 milioni di euro.

L’Italia deve sospendere immediatamente tutte le commesse di armamenti alla Turchia.

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La redazione della Bottega segnala anche: I terroristi lasciano Ghouta, i loro cugini islamisti invadono Afrin. Ma il mondo la vede altrimenti (è un articolo di Marinella Correggia del 2018, ma sempre attuale)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Daniele Barbieri

    Il quotidiano «il manifesto» insiste – e fa bene- sulla censura dell’impero Facebook contro i curdi e a favore del boia Erdogan. Prima (il 15 ottobre) con un articolo di Daniele Gambetta – intitolato «La “pulizia” dei contenuti pro curdi delle piattaforme» – spiegando, a partire da una foto del reporter Michele Lapini su Instagram, quanto i social censurino: per esempio la pagina di «Blinxet – Sotto il confine, documentario di Luigi D’Alife (con la voce narrante di Elio Germano)», o la chiusura di Rete Kurdistan Cosenza o della pagina Palermo solidale con il popolo curdo. E così via, indietro nel tempo e non solo in Italia. Il 17 ottobre sul tema «il manifesto» torna con due articoli. In prima pagina Simone Pieranni – in «L’inchino dello Stato-Facebook al Sultano» – spiega che è un reato dire «Pkk»; poi Giansandro Merli con l’articolo intitolato «La censura sostiene la guerra contro il Rojava» racconta l’oscuramento delle pagine di Global Project, Milano In Movimento e Contropiano ma «la stessa sorte rischia di toccare a Dinamo Press, Infoaut e Radio Onda D’Urto». Oggi (18 ottobre) di nuovo Giansandro Merli racconta di una conferenza stampa che le testate “tagliate” tengono nella sede del sindacato dei giornalisti con lo slogan «Continueremo a documentare e sostenere le lotte per la giustizia e per i diritti». E questa piccola “bottega” con loro. Contro ogni fascismo, apero o in maschera. [db]

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