Come sprecare i superpoteri ma salvarsi il culo

recensione a «L’uomo che sapeva tutto» di Igor Sachnovskij   

Aleksandr Platonovic Bezukladnikov (d’ora in poi Bezuk, che se no mi si affatica il polpastrello) «soldi non ne aveva per niente, nemmeno per le sigarette». Ma il peggio è che la moglie Irina lo ha lasciato. Siamo alle prime righe di «L’uomo che sapeva tutto» (Meridiano zero: pag 216 per 15 euri; edizione originale 2007, traduzione di Mario Alessandro Curletto) di Igor Sachnovskij e già il suo stile scarno e la costruzione narrativa dal buon sapore “antico” hanno conquistato qualcuna/o (me, per dirne uno).

Bezuk vivrebbe molto volentieri come Diogene – «orgoglioso di aver bisogno di così poco» – ma la Russia del “mercato libero” in generale e Irina in particolare non gradiscono. «Lo stipendio di collaboratore scientifico subalterno, per quanto misero, sarebbe stato sufficiente ad assicurare la sussistenza – se lo avessero pagato con puntualità. Cosa che nessuno ormai neppure sognava».

Irina è all’opposto di Diogene, ha bisogno di molto. Così da un anno se ne è andata – pur se a malincuore – a vivere con Sereza, ovvero Sergei Jur’evic, un personaggio losco che per quanto si creda crudele non riesce a competere con i veri cattivi di questa storia. Da allora Bezuk, «giovane invecchiato», non si dà pace. Non può vivere senza Irina. Così decide di suicidarsi.

Forse ricordando l’inizio di una famosa poesia («I rasoi fanno male, i fiumi sono umidi, l’acido macchia, le droghe danno i crampi, le pistole sono illegali, i cappi cedono, il gas puzza troppo») di Dorothy Parker, il triste Bezuk decide di «servirsi dell’elettricità». Una presa esposta, «quasi da non credere che fosse così facile». Ma, per ragioni misteriose, invece di ucciderlo la scossa da 380 volt gli assicura il potere di sapere tutto. Cosa sia questo “tutto” lo saprete leggendo il libro. Ma di certo «non esiste un’arma più terribile e di più lunga gittata che “un uomo che sa tutto”».

Anche se in copertina l’editore lo presenta come un thriller, con ogni evidenza il romanzo di Sachnovskij è science fiction: infatti ha vinto, fra l’altro, il «premio Strugatskij per la fantascienza». Ne è stato tratto un film (regia di Vladimir Mirzoev, già autore di un «Boris Godunov») nel 2009 che però non è arrivato in Italia.

Buona fantascienza, un po’ all’antica (chi ha detto Murray Leinster? Io no, dev’essere una interferenza telepatica) con interessanti rasoiate sul disastro della Russia passata da una sedicente dittatura del proletariato a una concretissima dittatura della mafia e, in più, con la desolazione di donne senza via d’uscita laddove i maschi ottengono tutto.

Pur attraversando squallori, violenze, dolori, paure è apprezzabile la grazia con la quale l’insignificante Bezuk (un Forrest Gump lo definisce, non a torto, la quarta di copertina) affronta il mondo ostile e i suoi nuovi poteri. Se «le illusioni sono sostanziose come il semolino», il reale è quasi sempre indigesto. All’inizio Bezuk si considera comunque «trascurabile, come l’infinitesimo di un numero decimale, portato dal vento lontano, oltre la virgola». Poi inizia a valorizzarsi fino a un (ambiguo?) riscatto finale. Il peso di sapere tutto rischia di farlo impazzire – provate voi, che so, a esaminare in un botto i pensieri di 16mila308 pedoni – ma è soprattutto la caccia che gli danno i servizi segreti a rendergli la vita dura come marmo; in testa c’è la Nsa, il meno noto ma il peggiore fra i “servizi” made in Usa e infatti la sigla National Security Agency viene di solita decifrata in «No Such Agency» (questa agenzia non esiste).

Bezuk trova molte consolazioni, a esempio «la lettura di libri inesistenti» ma Irina resta nei suoi pensieri. Tra fughe e colpi di scena, incontra una donna difficilmente definibile (d’altronde «le parole non si preoccupano affatto della realtà ma solo di se stesse») ed eccoci a un finale coerente con il personaggio e con il disordine del nostro vivere.

Due citazioni particolarmente adatte al martedì. «L’essere umano non può vivere senza mistero» è la prima. Mentre la seconda è buttata lì, in un capitolo intitolato genialmente «La vita (come le condizioni atmosferiche) non adatta al volo» ed è una presa di distanza volutamente fasulla: «Chiedo scusa agli appassionati di fantascienza ma non scrivo affatto per loro». Vien voglia di leggere altri suoi libri e non solo di martedì.

 

 

Redazione
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Un commento

  • A leggere la tua recensione mi è tornato in mente Flowers for Algernon (Fiori per Algernon), di Daniel Keyes. L’avevo letto in un altro continente, laggiù. Mi ricordo bene che mi commosse, e mi ricordò per alcuni aspetti la fantascienza alla Sturgeon. Che probabilmente mai avrei letto se non ci fossi stato tu. Grazie.

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