Come uscire dal Labirinto

Da Silverberg a “Maze Runner” – senza scordar Platone, Borges, Eco, Zelazny, Scarpa  e Dick  –  l’astrofiloso Fabrizio Melodia si aggira nei dedali e (di nuovo) confonde il Marte-dì con il venerdì (che “ci manca”).

 

La figura dal labirinto è un motivo ricorrente in tutta la nostra vita: dalle strade intasate alle code nei luoghi istituzionali, alle corsie dei supermercati, dove s’aggirano stranite creature alle prese con la moderna versione di un appuntamento immancabile della “Settimana Enigmistica”.
Inventato – si dice – dal signor Dedalo: che lo avrebbe costruito per re Minosse, il quale ebbe la pessima idea di rinchiuderci dentro il Minotauro. Questo palazzo prigione ha attraversato i secoli, fino a giungere a noi, in numerose versioni.
La parola stessa è di origine incerta, sicuramente pre-greca, come suggerisce Arthur Evans, mentre il termine labyr, indicherebbe l’ascia bipenne, simbolo del re di Creta.
Da prigione per creature mitologiche semi-umane a metafora il passo è breve. Già il buon Platone affermava: ”Giunti all’arte di regnare ed esaminandola a fondo, per vedere se fosse quella a offrire e a produrre la felicità, caduti allora come in un labirinto, mentre credevamo di essere ormai alla fine risultò che eravamo ritornati come all’inizio della ricerca, e avevamo bisogno della stessa cosa che ci occorreva quando avevamo incominciato a cercare”.
In questo senso Platone descrive l’unicursalità del pensiero, illusoriamente vicino alla fine, ma in realtà ritornato all’inizio del ragionamento, senza aver concluso nulla.
Nei secoli il labirinto ha avuto modo di svilupparsi, dai corridoi unicursali fino a quelli descritti nel romanzo di Umberto Eco “Il nome della Rosa”, dove vi si trova “in copertina lo schema del labirinto che appariva sul pavimento della cattedrale di Reims. A pianta ottagonale, recava ai quattro ottagoni laterali l’immagine dei maestri muratori, coi loro simboli, e al centro – si dice – la figura dell’arcivescovo Aubri de Humbert che pose la prima pietra della costruzione. il labirinto fu distrutto nel XVIII secolo dal canonico Jacquemart perché gli dava fastidio l’uso giocoso che ne facevano i bambini i quali, durante le funzioni sacre, cercavano di seguirne gli intrichi, per fini evidentemente perversi”.
Il labirinto rappresenta la capacità della conoscenza umana di trovare l’uscita dai corridoi intricati ma anche la capacità del medesimo intelletto di perdersi in esso, senza riuscire a ricostruire la trama della realtà o del “disegno divino”, come suggerisce lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, il quale, nel racconto “La casa di Asterione” afferma: ”Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. La casa è grande come il mondo”. unsa descrizione interpretabile in molti modi, compresa una certa coincidenza degli opposti, in cui il microcosmo riflette il macrocosmo, o i limiti del linguaggio esperibili da ciascuno di noi in modo soggettivo come suggeriva il filosofo tedesco Ludwig Wittgenstein o ancora un elemento ricorsivo della realtà virtuale, in cui non vi sono una stanza, una cisterna, un giardino ma infinite stanze, giardini e cisterne tutte uguali, generate dall’alternanza dello zero e dell’uno, i principi fondamentali del Bit, l’unità basilare d’informazione.
In principio era il Bit? La fantascienza non ha mancato di fare filosofia presocratica, quella di Talete, Anassimandro, Senofane, Parmenide e altri simpaticoni, iniziando – tanto per ricordare nomi noti – con Philip K. Dick.
Il labirinto appare per vie decisamente indirette nel romanzo “Labirinto di morte”. Narra dela colonizzazione del pianeta Delmak-O, da parte di quattordici persone. Tutto sembra proseguire per il meglio, fino a quando non avviene un inspiegabile guasto al satellite delle comunicazioni, che taglia ogni possibile contatto con la Terra ai coraggiosi coloni. Avviene che ognuno di loro si perde nei propri labirinti mentali e paranoici, amplificato da un testo pseudo religioso, un misto fra cristianesimo, platonismo e gnosticismo tanto caro a Dick, oltre a una misteriosa entità assassina che uccide i coloni uno dopo l’altro. “Era stata giudicata, e il giudizio era favorevole. Provò una gioia profondissima, assoluta. E continuò, come una falena perduta in un mare di stelle, a scivolare dolcemente verso la luce bianca”: una bella descrizione del viaggio post mortem del personaggio di Maggie Walsh, ispirato a uno dei viaggi a base di LSD provati da Dick in persona.
Dai labirinti di morte metaforici, passiamo a Roger Zelazny, con il ciclo delle “Cronache di Ambra”, un arco di romanzi che si dipana dal 1970 al 1991. Sono di fantascienza in quanto parlano dei mondi alternativi, raggiungibili proprio dal pianeta Ambra da parte dei Camminatori, i discendenti di Oberon, signore di Ambra. Gli altri mondi, compresa la nostra Terra, sono solo proiezioni, le ombre tanto care a Platone, di cui esiste una mappa chiamata il Disegno, situato in una caverna, grazie al quale i Camminatori possono esplorare ogni possibile mondo di ogni universo.
Arriviamo a Robert Silverberg, con  “L’uomo nel labirinto” (*). Recita la quarta di copertina di una delle tante edizioni: ”In un deserto arido e piatto si leva un’inespugnabile città-labirinto, piena di insidie e di miraggi, di trabocchetti e di trappole mortali. Intorno la solitudine cristallina e perfetta di Lemnos, un pianeta a novanta anni-luce dalla Terra abbandonato da una razza aliena, ormai estinta. Al centro esatto del labirinto vive un uomo che ha scelto l’esilio e si è lasciato alle spalle ogni cosa, amori, sogni, ambizioni. L’ultima missione che ha portato a termine gli ha inflitto segni indelebili, tanto da costringerlo a un isolamento senza scampo: è affetto da un misterioso cancro dell’anima, una ruggine interiore che attanaglia la mente e il corpo di chiunque gli si avvicini. Nella sua umanità ferita, nella sua clausura, dilaga l’invincibile incomunicabilità delle creature e delle coscienze. È un appestato, e la peste che porta dentro di sè è la verità. A un tratto però, qualcuno spezza il suo isolamento e tenta di raggiungerlo: la razza umana è in pericolo e solo l’uomo nel labirinto in grado di condurla in salvo”.
Potrebbe quasi essere interpretato come un metaforico riferimento alla crescente asocialità e solitudine dell’essere umano, divorato da una ruggine interiore che lo porta ad isolarsi nei propri labirinti mentali e nelle paranoie più assurde. Eppure il rimedio rimane sempre l’atto di comunicare, particella fondamentale di ogni essere vivente, ciò che lo porta ad assumere su di sè il terribile fardello di superare i limiti di un linguaggio per ritrovare la via per salvare l’umanità.
Vale segnalare “Il labirinto – Maze Runner” (2011) di James Dashner, romanzo distopico “per ragazzi”, capostipite di una serie di cinque libri, da cui è stato tratto un film di successo che viene trasmesso in questi giorni su RAI-4. Anche in questo caso la quarta di copertina ci dà indicazioni utili (ma – quando il mistero si infittisce – sbaglia un congiuntivo): ”Quando Thomas si risveglia, le porte dell’ascensore in cui si trova si aprono su un mondo che non conosce. Non ricorda come ci sia arrivato, né alcun particolare del suo passato, a eccezione del proprio nome di battesimo. Con lui ci sono altri ragazzi, tutti nelle sue stesse condizioni, che gli danno il benvenuto nella Radura, un ampio spazio limitato da invalicabili mura di pietra, che non lasciano filtrare neanche la luce del sole. L’unica certezza dei ragazzi è che ogni mattina le porte di pietra del gigantesco Labirinto che li circonda vengono aperte, per poi richiudersi di notte. Ben presto il gruppo elabora l’organizzazione di una società disciplinata dai Custodi, nella quale si svolgono riunioni dei Consigli e vigono rigorose regole per mantenere l’ordine. Ogni trenta giorni qualcuno si aggiunge a loro dopo essersi risvegliato nell’ascensore. Il mistero si infittisce quando – senza che nessuno se lo aspettasse – arriva una ragazza. È la prima donna a fare la propria comparsa in quel mondo, ed è il messaggio che porta con sé a stupire, più della sua stessa presenza. Un messaggio che non lascia alternative. Ma in assenza di qualsiasi altra via di fuga, il Labirinto sembra essere l’unica speranza del gruppo… o forse potrebbe rivelarsi una trappola da cui è impossibile uscire”.
Romanzi per ragazzi, ma portano alla luce figure archetipiche assai forti, come la necessità di cooperare e di formare un corpo unico per fuggire da un mondo in cui ci si ritrova rinchiusi, senza un passato e probabilmente senza un futuro. I ragazzi dovranno superare diffidenze e paure per affrontare un mondo dove le loro coscienze vengono costantemente annullate: un riferimento chiaro ai moderni labirinti tecnologici, quelli della Rete Globale, considerata come l’estrema evoluzione/deviazione dei vecchi “dedali”  a più percorsi in cui la nostra cultura è naufragata con il tempo. Basti pensare al saggio di Umberto Eco, “Dall’albero al labirinto”, in cui il filosofo ricostruisce la storia del tentativo di tracciare la mappa della realtà attraverso la creazione del dizionario e dell’enciclopedia, constatando poi come questo tragitto sia analogo a quello del labirinto, da unica via a multipercorso, fino ad arrivare … alla Rete.
Concludiamo con lo scrittore Tiziano Scarpa: ”Perché vuoi combattere contro il labirinto? Assecondalo, per una volta. Non preoccuparti, lascia che sia la strada a decidere da sola il tuo percorso, e non il percorso a farti scegliere le strade. Impara a vagare, a vagabondare”, riferendosi a Venezia, labirinto del reale ed insieme passeggiata obbligata per ogni labirintica filosofia.
L’immagine mostra i protagonisti del film tratto dal romanzo “Il labirinto – Maze Runner” intenti alla fuga, con alle spalle il temibile mondo labirinto.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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