Comparazioni tra due guerre: l’annullamento della dialettica e…

e l’inversione della storia

di Giorgio Ferrari

“Ciò che manca a tutti questi signori è la dialettica. Non vedono mai altro che una causa qui ed un effetto là. Che questa è una vuota astrazione, che tali metafisiche polarizzazioni esistono nel mondo reale solo durante le crisi, mentre l’intero vasto processo procede sotto forma di interazione (sebbene di forze molto disuguali, essendo quella del cambiamento economico di gran lunga la più forte, la più efficace e decisiva) e che qui tutto è relativo e nulla è assoluto: questo non cominciano mai a vederlo. Hegel non è mai esistito per loro”

Friederich Engels, lettera a Conrad Schmit, 1890

C’è un libro che in questi anni bui andrebbe riproposto e diffuso a mo’ di terapia disintossicante: “Il patto di Monaco – Prologo alla tragedia” di J.W. Wheeler-Bennet che, editato nel 1963 (in Italia nel 1968 da Feltrinelli), è uscito dai cataloghi non saprei dire, ormai, da quanti anni.

L’autore, un convinto conservatore inglese, visse in Germania tra il 1927 e il 1934 e fu testimone in prima persona degli ultimi anni della Repubblica di Weimar e dell’ascesa della Germania nazista. E’ stato direttore del Dipartimento informazioni del Royal Institute of International Affairs e alto dirigente del Foreign Office britannico, incarichi che lo misero a stretto contatto con alte personalità politiche di molti paesi europei e gli consentirono, a guerra finita, di attingere direttamente agli archivi del Terzo Reich e a quelli del processo di Norimberga, cosa assai difficile in quegli anni.

Wheeler-Bennet spiega, con abbondanza di riferimenti documentali, come si giunse alla seconda guerra mondiale di cui il Patto di Monaco del 1938, costituisce il “lascia passare” fornito alla Germania dalle democrazie europee.

Il fulcro dell’analisi di Wheeler-Bennet risiede in due aspetti fondamentali: la politica dell’ “appeseament” esercitata dalla gran Bretagna e dalla Francia nei confronti del Terzo Reich e la inconfessata diffidenza – al limite della paura – che la maggior parte delle nazioni europee riservavano alla Russia sovietica, al punto da tenerla fuori dalla Società delle Nazioni (anche se è vero che Stalin non ambiva più di tanto a far parte di quel consesso).

Il termine appeseament, che ha più di un significato, va inteso in questo caso come “acquiescenza” innanzitutto della Gran Bretagna e poi della Francia, entrambe consapevoli di aver imposto alla Germania condizioni assai dure col trattato di Versailles del 1919; condizioni che non potevano essere sopportate a lungo, tanto più dopo il fallimento della Repubblica di Weimar consumatosi nel silenzio compiaciuto di Francia, Gran Bretagna e Italia che, ancor prima della firma del trattato di Versailles, avevano plaudito alla repressione del movimento spartachista da parte del socialdemocratico Noske.

L’inizio dell’appeseament

La data del 14 ottobre 1933, secondo Wheeler- Bennet, segna l’inizio del cammino verso la seconda guerra mondiale, allorquando Hitler -divenuto cancelliere – convinse von Hindemburg ad emettere una dichiarazione secondo cui le proposte che le quattro potenze (Gran Bretagna, Francia, Stati uniti e Italia) intendevano portare alla conferenza sul disarmo presso la società delle nazioni, erano “incompatibili con i principi della politica internazionale” e tali da indurre la Germania ad uscire dalla società delle nazioni. Un segnale inequivocabile della voglia di riarmo della Germania per realizzare la conquista del suo “lebensraum” (spazio vitale) che Hitler aveva stabilito, già nel 1925 con la pubblicazione del Mein Kampf, doversi realizzare a scapito della Russia (vedi https://www.labottegadelbarbieri.org/la-sinistra-se-ce-e-la-guerra-permanente-che-ce/).

Nei cinque anni che intercorrono tra il 14 ottobre 1933 e la firma del Patto di Monaco (29 settembre 1938) Hitler ha modo di sondare l’effettiva consistenza della posizione franco-britannica nei confronti della Germania, scoprendo -grazie all’appeasement da queste dimostrato riguardo alle sue rivendicazioni- che erano disposte a sacrificare i loro alleati europei (Cecoslovacchia e Polonia in primis) pur di apparire agli occhi del mondo come i garanti di una pace formale in un contesto geo-politico assolutamente instabile e dominato dalla reciproca diffidenza, al punto da indurre molte nazioni europee a tutelarsi mediante la stipula di patti bilaterali di mutuo soccorso o di non aggressione, rivelatisi poi del tutto inutili. Inoltre, scrive Wheeler-Bennet, con la firma del Patto anti Comintern del novembre 1936, Hitler si presentava agli occhi della Francia e della Gran Bretagna come il difensore dell’occidente minacciato dal comunismo.

E’ grazie a questo atteggiamento franco-britannico che viene consentito ad Hitler di realizzare l’annessione dell’Austria, lo smembramento e l’occupazione della Cecoslovacchia e poi l’invasione della Polonia, nella speranza di invogliarlo a proseguire verso Est disinteressandosi dell’Europa occidentale.

Non andò così, come è noto, perché Hitler non risparmiò né la Russia, ne la Francia e i Paesi bassi, ma ciò che è omesso, nella storiografia dominante, è il ruolo “passivamente attivo” di Chamberlain e Daladier nel riversare su Benes e Masarik (i massimi esponenti cecoslovacchi) la responsabilità di una nuova guerra in Europa se non avessero accondisceso alle richieste di Hitler. In questo la lettura del libro di Wheeler-Bennet riesce veramente a dare il senso della tragedia che si andava consumando in danno della Cecoslovacchia, ed è straziante leggere la risposata con cui Jan Masarik comunica a Londra di sottomettersi al sacrificio richiestogli, quasi un novello Abramo che però, a differenza del biblico patriarca, non fu distolto in extremis dall’uccidere il proprio figlio grazie all’intervento divino, chè la condanna a morte della Cecoslovacchia (il Patto di Monaco) porta proprio la firma di Chamberlain e Daladier (oltre a quelle di Hitler e Mussolini), ma non quella di Stalin.

Tutto fuorchè la Russia

La Russia dunque non fu partecipe di questa sconsiderata sentenza e Wheeler-Bennett, nonostante si avverta la sua diffidenza nei confronti di quella che lui chiama la “sfinge russa” (è pur sempre un funzionario di sua maestà britannica e per di più conservatore), non può fare a meno di riconoscerle il grande lavorio svolto per mantenere la pace in Europa e bloccare la Germania quando ancora ciò era possibile. L’Unione sovietica infatti, capì subito quale minaccia rappresentava Hitler per la propria sicurezza che non poteva essere disgiunta dal mantenimento della pace in Europa, e si attivò in tal senso fin dal 1933. Artefice di questa politica fu il ministro degli esteri Litvinov, ebreo di grandi vedute che si adoperò per riportare la Russia nell’alveo della Società delle Nazioni (1934) e per convincere Francia, Gran Bretagna e i loro alleati a riunirsi in una grande intesa per bloccare l’espansionismo tedesco, ma ogni suo sforzo fu vanificato dall’atteggiamento opportunista che di volta in volta assunsero gli stati europei.

Ancora a pochi mesi dalla firma del Patto di Monaco (e nonostante l’annessione dell’Austria fosse già avvenuta), la Gran Bretagna rifiutò per ben due volte le proposte della Russia: la prima il 7 marzo 1938 quando, rispondendo alla proposta di Litvinov di portare la questione cecoslovacca alla Società delle nazioni, Chamberlain dichiarò alla Camera dei comuni: “Quale paese oggi in Europa, se minacciato da una grande potenza, può affidarsi alla protezione della società delle nazioni? Nessuno… e noi non possiamo ingannare le nazioni piccole e deboli inducendole a credere che la Società delle nazioni possa proteggerle contro una aggressione”. La seconda il 22 marzo 1938, quando ad esprimersi fu l’intero governo britannico che respinse una nuova proposta sovietica (presentata ufficialmente il 19 marzo) di convocare una conferenza delle quattro potenze (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Urss) per discutere come prevenire ulteriori aggressioni da parte della Germania. La Francia, senza nemmeno una discussione in parlamento, non fece che adeguarsi all’atteggiamento della Gran Bretagna. Ciononostante la Russia continuò a dichiarare pubblicamente che avrebbe onorato gli impegni del trattato Russo-Cecoslovacco1 mobilitando l’Armata rossa in soccorso dei ceki, ma a ciò si opposero Romania e Polonia, la prima tiepidamente, la seconda in modo categorico rifiutando a priori l’idea che le truppe sovietiche attraversassero il suo territorio. Dunque l’ultima chance che restava alla Cecoslovacchia era quella di accettare l’aiuto sovietico nonostante l’ostilità che le altre nazioni europee manifestavano verso la Russia. Un azzardo notevole per il piccolo stato cecoslovacco, che però non fu scartato da Benes e Masarik se non quando, in una concitata riunione di governo, il Partito agrario della Cecoslovacchia, filo nazista, vi si oppose energicamente minacciando la guerra civile.

Così la Russia fu messa alla porta, ma non per questo rinunciò a perseguire una alleanza con la Francia e la Gran Bretagna, anche dopo essere stata estromessa dal Patto di Monaco. Nei primi mesi del 1939 infatti si registrava un notevole scollamento tra le decisioni prese dai leaders europei e l’atteggiamento delle popolazioni: in un sondaggio Gallup tenutosi tra la popolazione inglese nell’aprile 1939, il 92% degli intervistati si era dichiarato favorevole ad una alleanza con l’Urss, mentre nello stesso mese, durante un dibattito alla Camera, Chamberlain veniva investito della medesima richiesta da molti esponenti di entrambi gli schieramenti politici2.

Costretto dalle circostanze Chamberlain si rivolse alla Russia (14 aprile 1939) con una proposta che aveva tutta l’aria di essere concepita per non essere accettata da Stalin: quella per cui la Russia, unilateralmente, si proclamasse garante per la Polonia e la Romania. A stretto giro (17 aprile) la risposta di Mosca andò ancora oltre proponendo un triplice patto di mutua assistenza tra Urss, Gran Bretagna e Francia, una convenzione militare che lo rafforzasse e una triplice garanzia per tutti gli stati confinanti dal Baltico al Mar Nero. Di nuovo toccava a Gran Bretagna e Francia decidere se, volendo opporsi all’aggressione tedesca, erano disposte pienamente ad una alleanza con la Russia, ma ancora una volta esse si sottrassero a questa responsabilità: il primo maggio, quando già Hitler aveva denunciato il patto di non aggressione con la Polonia e l’accordo navale stipulato con la Gran Bretagna, Chamberlain comunicò a Mosca che rifiutava la proposta di alleanza con l’Urss.

Ogni strada era chiusa, il sospetto dei sovietici che Francia e Gran Bretagna cercavano di distogliere gli interessi tedeschi dall’occidente per orientarli verso la Russia, trovava l’ennesima conferma. Stalin sostituì Litvinov con il rude e pragmatico Molotov e la politica estera della Russia si orientò esclusivamente alla tutela della sua sicurezza. I successivi tentativi franco-britannici di riannodare le relazioni con Mosca, non solo erano tardivi, ma non tenevano conto che Hitler, venutone a conoscenza, per assicurarsi che non andassero in porto, agganciò Molotov attraverso Ribbentrop proponendo alla Russia un patto di non aggressione che poi fu firmato a Mosca il 23 agosto del 1939. Una settimana dopo iniziava l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche e come scrive Wheeler-Bennet nel suo libro: “Il seguito di Monaco era compiuto. Il prologo era terminato. Il sipario si era alzato sulla tragedia.”

Corsi e non ricorsi storici

Il richiamo alle cause originanti del II conflitto mondiale (attraverso la versione di Wheeler-Bennett) dovrebbe servire a meglio comprendere l’attuale situazione internazionale, destrutturando – se possibile – sia le argomentazioni di comodo che assimilano l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia a quella della Polonia da parte del Terzo Reich (con il corollario Putin=Hitler), sia quelle più sofisticate e argomentate che leggono in questa guerra l’aspirazione russa a ricostituirsi come Impero. Questo purché si sia disposti ad affrontare la situazione in corso, non attraverso l’interpretazione dell’evento-simbolo (l’invasione) ma riservando la giusta attenzione ai processi che hanno determinato quell’evento, evitando di dar credito a tesi come quella per cui la prima guerra mondiale sarebbe stata causata dall’uccisione dell’arciduca Ferdinando a Sarajevo, e non dalle contraddizioni economiche, politiche e militari accumulatesi fra le grandi potenze europee prima del 1914. Detto in altri termini: se è possibile trovare in ogni guerra delle modalità di svolgimento che ne richiamano una precedente, non è affatto scontato che le cause scatenanti di ognuna si assomiglino e quand’anche ciò fosse verificato, occorrerebbe comunque stabilire il ruolo che hanno avuto le parti in causa.

Innanzitutto paragonare l’attuale invasione dell’Ucraina a quella della Polonia del 1939 è fuori luogo: semmai il paragone andrebbe fatto con la Cecoslovacchia dato che i “pretesti” addotti oggi da Putin (il Donbass e le minoranze russe) potrebbero richiamare quelli reclamati ieri da Hitler (i Sudeti e le minoranze di lingua tedesca). Ma il Donbass equivale ai Sudeti?

L’irredentismo sudeto nasce soprattutto in Germania, nella testa di Hitler che ne fa un grimaldello per scardinare l’ordine istituito col trattato di Versailles, mentre l’altro, quello del Donbass, nasce in Ucraina come moto spontaneo di una popolazione e non come machiavello russo. Prova ne sia che lo stesso Putin, all’inizio, è spiazzato dall’iniziativa dei separatisti: li aiuta, ma non così tanto, perchè per lui è più importante mantenere il controllo su tutta l’Ucraina e non vuole rompere definitivamente con Kiev a causa loro.3 Di qui i negoziati per arrivare all’accordo di Minsk che prevedeva, non la cessione del Donbass alla Russia (come invece accadde per i Sudeti con la Germania), ma una forma di autonomia all’interno dei confini nazionali dell’Ucraina. Forse che, per restare alle analogie, l’accordo di Minsk del 2014 equivale a quello di Monaco del 1938?

All’epoca il patto di Monaco, come si è visto, fu letteralmente imposto alla Cecoslovacchia da Francia e Gran Bretagna, mentre per quello di Minsk è successo il contrario: quando l’Ucraina ha deciso di non dare applicazione all’accordo, Francia e Germania, che ne erano i garanti, non hanno fatto alcuna pressione su Kiev per farglielo rispettare, in spregio dei conclamati auspici di pace e del ruolo svolto da Mosca. Né si può tralasciare che tra la firma del Patto di Monaco e l’invasione della Cecoslovacchia intercorrono pochi mesi a riprova che il disegno di Hitler era preordinato, mentre tra l’accordo di Minsk e l’invasione dell’Ucraina passano otto anni in cui, oltre ai non trascurabili danni inferti alla popolazione del Donbass, la Russia si è adoperata ripetutamente per dare uno sbocco ragionevole ad una crisi che andava assumendo i connotati di una vera e propria questione internazionale.4

Quale espansionismo?

Appurata l’inconsistenza della similitudine tra l’invasione dell’Ucraina e quelle messe in atto dalla Germania a partire dal 1938, resta da capire se le motivazioni che hanno spinto la Russia a questa decisione, risiedono, come sostiene un’altra tesi, nelle velleità imperiali di Putin, ovvero in un nuovo espansionismo russo.

Di nuovo, la storia del Patto di Monaco fornisce elementi di riflessione davvero illuminanti rispetto al ruolo dell’Europa, della Russia e degli Stati Uniti i quali, all’epoca, mantennero una posizione nei riguardi della Germania nazista assai diversa da quella assunta successivamente verso la Russia post sovietica.

Dopo le dimissioni di Gorbaciov e la scomparsa dell’Urss si distinguono due fasi: nella prima, con Yeltsin al potere, la Russia rischia sia la bancarotta che la disintegrazione. Le indicazioni del FMI e i “consigli” dell’amministrazione Clinton (subentrato a Bush padre nel 1993) si traducono in una sola ricetta: liberalizzare l’economia e privatizzare il patrimonio dello Stato, misure che provocano effetti disastrosi sul tenore di vita di milioni di persone neo disoccupate o che, stante l’aumento del costo della vita, vedono scomparire i benefici del poco, ma sicuro, welfare socialista. E’ in questa fase che si forma quella categoria di imprenditori che la stampa occidentale si compiace di definire “oligarchi”, individui senza scrupoli che, grazie a capitali di rapina provenienti dall’estero spesso in combutta con funzionari dello stato, si appropriano per pochi soldi di società e concessioni statali. In crisi non c’è solo l’economia e l’amministrazione dello stato, ma tutto il settore della ricerca5 e della difesa che è talmente grave da suscitare serie preoccupazioni all’amministrazione Usa per la sorte delle migliaia di testate nucleari dislocate sul territorio ex sovietico, prime fra tutte quelle (alcune migliaia) presenti in Ucraina che nel 1991 fu la prima repubblica a dichiarare la propria indipendenza. Così Clinton concepisce, d’accordo col cancelliere tedesco Kohl, un doppio binario per avvicinare l’Est europeo, Russia compresa, all’Unione europea e alla Nato, che sarebbe dovuto tradursi nell’ingresso di questi paesi nella cosiddetta PfP (Partnership for Peace), rimandando, temporaneamente, l’allargamento della Nato verso est.6

E’ in questo clima che si firmano i trattati Start 1 e Start 2 per la riduzione delle armi nucleari tra Clinton e Yeltsin, il quale si dichiara entusiasta del progetto PfP e chiede che sia la Russia ad entrare per prima in questa partnership. Ma l’insieme dei paesi dell’est, con in testa la Polonia di Lech Walesa e l’Ucraina di Leonid Kuchma, non è d’accordo e si adopera per escludere la Russia da ogni partenariato, consci che il loro punto di vista ha più di un sostenitore a Washington: così durante la conferenza di alto livello tenutasi a Berlino nel settembre del 1994, quando era stato appena ultimato il ritiro delle truppe sovietiche da tutti i paesi del Patto di Varsavia, Al Gore (vicepresidente Usa) e il ministro della difesa tedesco Rühe dissero esplicitamente che, mentre Polonia, Ungheria e le repubbliche Ceka e Slovacca erano degne di entrare nella Nato e nella Unione Europea, la Russia non poteva essere integrata in nessuno dei due raggruppamenti.7 Nonostante il disappunto del segretario alla difesa Perry, l’amministrazione Clinton si adeguò rapidamente a questa impostazione che, peraltro, apriva il terreno – come ebbe a dire il vice segretario di Stato Strobe Talbott- all’intervento della Nato in Jugoslavia, anche se, precisò lo stesso Talbott, “sarebbe stato fin troppo ovvio che l’espansione della Nato, quando avverrà, sarà per definizione una punizione o un neo contenimento, dell’orso cattivo”.8

Il 16 febbraio del 1995, il Congresso Usa votava il “Nato expansion Act”, poi ratificato nel 1996. Il PfP finì nel dimenticatoio e la Russia, messa ancora una volta alla porta, si ritrovò sola, umiliata e piena di debiti.

Espansionismo: fase due

Quando Putin , nel 1999, diviene primo ministro del governo russo è un signor Carneade. Yeltsin e Clinton sono ancora al potere, la Nato ha già inglobato Polonia, Ungheria e repubblica Ceka (1997). Nello stesso anno Putin, dopo le dimissioni di Yeltsin, diviene presidente della federazione Russa e, per quanto riguarda la politica estera, inaugura un nuovo corso improntato all’apertura, curando sia le relazioni commerciali, sia quelle politiche, in particolare con la Nato in cui, come ha rivelato nel discorso del 21 febbraio 2022 (e non smentito), chiese di entrare a far parte all’allora presidente Usa Bill Clinton ma, dopo l’11 settembre, con Bush junior alla Casa Bianca, prende corpo la “National security strategy” degli Usa per il 21° secolo9 che ha come provvedimento immediato l’ uscita degli Usa dal trattato ABM (missili balistici) firmato nel 1972.

E’ la guerra preventiva ed infinita che porta, in rapida successione, all’invasione dell’Afghanistan (2001) e poi dell’Iraq (2003) in cui, rispetto all’Afghanistan, si manifesta uno scollamento nella coalizione internazionale circa l’opzione militare voluta dagli Usa contro Saddam Hussein,10 ma che non impedisce alla Nato di mettere a segno un altro colpo nei confronti della Russia: in piena guerra al cosiddetto ”asse del male” (Iraq-Afghanistan) entrano a far parte della Nato la Bulgaria, Estonia, Lituania, Lettonia, Romania, Slovenia e repubblica Slovacca, mentre si rafforzano i legami tra Nato ed Ucraina, iniziati nel 1997, con la firma di un nuovo accordo nel 2002 (Nato-Ucraina Action Plan), in cui si postula l’ingresso formale dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica, essendo già operante la partecipazione delle forze armate ucraine all’addestramento tattico e strategico degli eserciti Nato.11

Nel 2008 c’è il tentativo di far entrare nella Nato anche la Georgia che Mosca interdice sbrigativamente con la forza, ma nel 2009 l’espansione riprende con l’ingresso dell’Albania e della Croazia, poi nel 2016 col Montenegro e nel 2019 è la volta della Macedonia del Nord.

Ogni nuovo ingresso nell’alleanza atlantica è stato accompagnato da provvedimenti militari ostili della Nato o degli Usa: a partire dal 2008 viene dispiegato il sistema di difesa antimissile Nato dal Baltico al Mar Nero che comprende sia missili Patriot che missili Aegis, in grado di riarmarsi con testate nucleari in breve tempo. A nulla sono valse le proteste e le minacce di ritorsione della Russia protrattesi fino al 2018, quando Trump, per tutta risposta, ha disdetto il trattato INF sui missili a medio raggio firmato da Gorbaciov e Reagan nel 1987. Allo stesso modo sono state ignorate le proposte russe di addivenire ad un accordo integrale sulla sicurezza europea: nel 2008 proposta di Trattato di sicurezza europeo in base al quale nessun singolo stato euro-atlantico o organizzazione internazionale potrebbe rafforzare la propria sicurezza a spese di quella degli altri; nel 2021 progetto di trattato tra la Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America sulle garanzie di sicurezza reciproche, analogamente ad un trattato da stipularsi tra la Federazione Russa e gli Stati membri della Nato.

Certo, in tutto questo periodo, non si può dire che la Russia sia stata a guardare, né che sia andata per il sottile quando si è trattato di impiegare le armi come nel caso della Cecenia, della Siria e della Libia, ma se ci si riferisce a quanto succede nello scacchiere europeo per desumerne l’atteggiamento espansionistico della Russia, allora si rischia di incorrere nello stesso errore che commisero Francia e Gran Bretagna negli anni ‘30 del secolo scorso.

E’ un fatto che negli ultimi 25 anni le frontiere della Nato si sono spostate di oltre 1000 km verso Est inglobando altre 14 nazioni (ed altre se ne annunciano) che oggi formano una cintura ostile intorno alla Russia e se questo non è ancora sufficiente a far capire chi si sta espandendo in danno di chi, basta esaminare quanto hanno speso in armamenti i protagonisti dello scontro in atto.

Secondo il Sipri (Stockholm international peace research institute) nel periodo che va dal 1999 al 2020 la spesa militare della Russia è stata nettamente inferiore a quella dei suoi contendenti: 4,5 volte meno di quella dei paesi europei aderenti alla Nato e 14 volte meno di quella degli Usa, perfino la Gran Bretagna da sola ha speso in armamenti più della Russia,12 mentre la spesa pro capite per le armi è stata, nel 2020, di 458 dollari in Russia, 867 dollari in Gran Bretagna e 2553 dollari negli Stati Uniti.

Senza nulla togliere alla gravità del fatto che la Russia ha invaso l’Ucraina portandovi morte e distruzione, come si può, disinvoltamente, sostenere che «l’aggressione all’Ucraina serve a Mosca per confermarsi impero» o che, di converso, noi italiani (e perché non tutti gli europei?) «Sedati dalla fiorita retorica su Leuropa “potenza civile” abbiamo rimosso di star bordeggiando una giungla che avanza da oriente e meridione» (nota 13) ignorando la inequivocabile intenzione di muovere guerra alla Russia che risalta dalle spese militari di Nato ed Usa da vent’anni a questa parte? C’è forse qualcuno che possa attribuire un senso diverso alla frase detta nel 1994 dal vice segretario di Stato Strobe Talbot «l’espansione della Nato, quando avverrà, sarà per definizione una punizione o un neo contenimento, dell’orso cattivo»?

Come può un Paese che spende in armamenti 20 volte meno di quello che spendono Stati Uniti e Nato insieme, praticare una politica espansionista essendo, peraltro, da questi “circondato”?

In questo anodino modo di pensare c’è tutto il distaccato narcisismo dell’elite europea che non sopporta di essere distolta dal contemplare il proprio ombelico dalla “giungla che avanza da oriente e meridione” come se non ne fosse, lei stessa, la prima responsabile. Neanche più soccorre a “questi signori” la dialettica della storia, chè altrimenti dovrebbero misurarsi con quanto scriveva Wheeler-Bennett e cioè che sta nella politica dell’appeseament praticata dall’Europa di oggi nei confronti degli Usa e della Nato, l’elemento che può decidere delle sorti del mondo. Un mondo che a differenza di quanto argomenta Limes («La Russia cambia il mondo») è già cambiato e la Russia, semmai, ce lo sta brutalmente facendo presente; e questo, al di là di Putin, è qualcosa di intollerabile per lo “spirito europeo” che, nonostante abbia tenuto a battesimo due guerre mondiali, rifugge da ogni umiltà, modestia o sollecitudine che non provenga dalle sue secolari radici.

Continua

NOTE

1 Oltre al Trattato ceko-sovietico di mutua assistenza firmato il 16 maggio 1935, erano in vigore il Trattato franco-sovietico di mutua assistenza del 2 maggio 1935 e il Trattato franco-cecoslovacco di mutua assistenza del 16 ottobre 1925. Altri se ne aggiunsero nell’immediatezza degli eventi, dando vita a quella che l’autore del libro chiama “pattomania”.

2 “Il patto di Monaco – prologo alla tragedia” di J.W.Wheeler-Bennet. Feltrinelli 1968, pag.375

3 E’ ciò che appare dalla accurata analisi presente nel libro “In Donbass non si passa” di Alberto Fazolo e Nemo – Redstarpress 2018

4 Jack Rasmus – Articoli vari sulla questione ucraina https://zcomm.org/author/jackrasmus/

5 Sotto la presidenza di Yeltsin, oltre all’accaparramento di quote societarie in diversi settori dell’industria russa, si rivelò assai facile ingaggiare ricercatori e scienziati, molto preparati ma poco retribuiti: solo l’ISTC (International Science & Technology Center) di Mosca, fondato nel 1992 da USA, Giappone, UE e Russia, ha usufruito –fino al 2013- della collaborazione di oltre 75.000 ricercatori della CIS (Comunità di stati indipendenti) per una cifra complessiva di 879 milioni di dollari, vale a dire 586 dollari all’anno per ricercatore. Questo diffuso indebolimento del settore tecnico-scientifico ebbe i suoi effetti sia sul comparto nucleare che su quello militare: negli anni ‘90 infatti si riduce drasticamente la costruzione di reattori in Russia nel mentre si registra una forte esportazione di uranio arricchito negli USA in base al programma Megatons to Megawatt e, contestualmente, si assiste al degrado dell’apparato militare russo culminato nel 2000 con l’esplosione del sottomarino nucleare Kursk.

6 https://www.belfercenter.org/sites/default/files/files/publication/ISEC%204401_Sarotte_How%20to%20Enlarge%20NATO.pdf

Secondo Sarotte, l’autore di questo saggio, quanto ebbe a concretizzarsi sotto l’amministrazione Clinton era lo sbocco inevitabile di quanto previsto nell’atto di unificazione della Germania: L’Unione Sovietica e gli Stati Uniti (insieme a Gran Bretagna e Francia) hanno firmato nel settembre 1990 l’accordo finale che ripristina la sovranità della Germania, un accordo che, anziché vietare il movimento della NATO attraverso la linea del 1989, ha esplicitamente consentito a una Germania unita di aderire ad alleanze militari di sua scelta, consentendo così alla NATO di espandersi verso est.”

7 Ibidem

8 Ibidem

10 Nel novembre 2002 il Consiglio di sicurezza ONU aveva approvato la risoluzione 1441 in cui si escludeva l’intervento armato in Iraq, ma le si imponeva di mettere a disposizione degli ispettori IAEA tutto ciò che era necessario a stabilire l’esistenza di armi di distruzione di massa e/o progetti finalizzati a questo scopo. Senza aspettare l’esito di queste ispezioni, accettate dall’Iraq, gli Usa forzarono la situazione esponendo teatralmente le “prove” dell’esistenza di queste armi, poi rivelatesi false. Il 20 marzo del 2003 una coalizione di forze composte da Usa, Gran Bretagna, Spagna, Italia, Polonia, Danimarca, Australia, Ungheria e Ucraina dà inizio alla guerra contro l’Iraq. Si dichiarano contrari Russia, Francia, Germania e Cina.

11 Le relazioni Usa-Ucraina, diversamente da quanto si vuol far credere, datano dai primi anni ‘90 in conseguenza dell’incidente di Chernobyl. Nel 1993 infatti, su iniziativa dei membri del G7, prende il via il piano di messa in sicurezza del reattore n. 4, esploso nel 1986, che ha visto arrivare in Ucraina, oltre a ingenti finanziamenti, numerosi specialisti del settore nucleare, compresi quelli del NNSA (Nuclear national security agency) statunitense. E’ nella scia di queste attività, appannaggio di società francesi e statunitensi, che si dispiega l’attivismo della Nato che porta prima all’accordo del 1997 ( https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_25457.htm?) e poi al successivo del 2002 (https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_19547.htm?) dove risulta evidente la riorganizzazione delle forze armate ucraine secondo i dettami dell’alleanza atlantica. Nel 2008, al vertice Nato tenuto a Bucarest, viene confermato l’ingresso dell’Ucraina nell’alleanza atlantica come si evince al punto 23 della dichiarazione ufficiale:

“La NATO accoglie con favore le aspirazioni euro-atlantiche di Ucraina e Georgia per l’adesione alla NATO. Oggi abbiamo convenuto che questi paesi diventeranno membri della NATO. Entrambe le nazioni hanno dato un prezioso contributo alle operazioni dell’Alleanza. Accogliamo con favore le riforme democratiche in Ucraina e Georgia e attendiamo con impazienza elezioni parlamentari libere ed eque in Georgia a maggio. Il MAP è il prossimo passo per l’Ucraina e la Georgia nel loro cammino diretto verso l’adesione. Oggi chiariamo che supportiamo le domande di MAP di questi paesi. Pertanto, inizieremo ora un periodo di intenso impegno con entrambi ad alto livello politico per affrontare le questioni ancora in sospeso relative alle loro applicazioni MAP. Abbiamo chiesto ai ministri degli Esteri di fare una prima valutazione dei progressi nella riunione del dicembre 2008. I ministri degli Esteri hanno l’autorità di decidere sulle applicazioni MAP di Ucraina e Georgia”. https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_8443.htm?mode=pressrelease

12 Nel periodo considerato (1999-2020) la Russia ha speso 1,08 triliardi di dollari; la Gran Bretagna 1,19 triliardi di dollari; l’insieme dei paesi europei aderenti alla Nato 4,95 triliardi di dollari e gli Stati Uniti 15,19 triliardi di dollari. Per ulteriori dettagli: https://sipri.org/sites/default/files/Data%20for%20all%20countries%20from%201988%E2%80%932020%20in%20constant%20%282019%29%20USD%20%28pdf%29.pdf

13 Citazioni riprese dall’editoriale di Limes del febbraio 2022, La Russia cambia il mondo

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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