Compiti a casa mai più?

di Daniela Pia

Quando ero alle elementari invidiavo

un mio compagno di scuola che avendo i genitori entrambi maestri era, a mio modo di vedere, molto avvantaggiato nello svolgere i compiti a casa. Io li facevo in solitudine, consapevole di non poter chiedere aiuto perché nessuno me lo avrebbe potuto dare. Ignoravo che probabilmente anche per il mio compagno dovesse essere così: forse svolgeva pure lui i compiti da solo nonostante avesse chi poteva aiutarlo. Comunque facevo quasi sempre i miei compiti – male, bene o così così – senza averne traumi irrisolvibili.

dani-COMPITI

So di genitori che sono stati ultra-premurosi e spesso si sono fatti prendere da ansia da prestazione, alcune volte sostituendosi del tutto ai loro figli nello svolgimento delle incombenze scolastiche. Una volta il nonno di una mia amica aiutò il suo figliolo a fare una traduzione dal latino all’italiano. Fu un lavoro intenso – o così si narra – che gli richiese molte energie: quando lo finì ne fu davvero soddisfatto. Non vedeva l’ora che il professore di latino correggesse quel compito.

«Beh! te lo ha detto il voto?».

«No babbo non ancora».

L’ ansia lo attanagliò per un paio di giorni.

Al terzo giorno il ragazzo tornò a casa e mise il quaderno con la versione sul tavolo: «il compito del padre» aveva meritato 1. In rosso. Al cospetto di un simile affronto il padre pare sbottasse: «Unu a mie?» (uno a me?) non poteva capacitarsi che l’insegnante avesse osato valutarlo con 1.

Ho rispolverato questo aneddoto, che amo molto, per dire che certi compiti possono fare più male ai genitori che ai figli. È di questi giorni una crociata contro i compiti a casa definiti “inutili, dannosi, discriminanti, prevaricanti e malsani”; vedi

<http://comune-info.net/2015%0A%20/01/basta-compiti/>

Seguire i figli nei compiti a casa, soprattutto nella fase della scuola dell’obbligo spesso può essere inteso come aggravio delle incombenze genitoriali. È faticoso certo, ma accompagnare il rinforzo delle competenze dei propri figli, senza sovrapporsi a essi non significa forse promuoverne l’autonomia e l’autostima? Non è vero che i compiti, anche quelli assegnati per casa, possono consolidare le loro abilità e, perché no? Insegnare a fare i conti con le inevitabili difficoltà. Il tempo-scuola da solo non è sufficiente, è necessario il dialogo con genitori: che però non facciano “tutto loro” o all’opposto che non finiscano per covare sensi di colpa insensati se non si riconoscono “all’ altezza”. Mi pare di poter affermare che nessuna/o di noi abbia avuto conseguenze nefaste dalla mole di compiti che è stato chiamata/o a svolgere a casa nel suo iter scolastico. Eppure anche questa “fatica” ora vuole essere evitata ai pargoli; non sia mai che possa essere all’origine di qualche trauma. Spianare le difficoltà e ridurre lo stress pare imperativo. Anche quando ciò potrebbe voler dire lasciare i figli dinanzi alla tv o agli innumerevoli passatempi informatici. Di questa difficoltà “da genitori” si sono occupati anche alla University of Texas e alla Duke University riscontrando una relazione inversamente proporzionale fra coinvolgimento genitoriale e performance dei figli: «The broken compass – Parental involvement with children’s education» (La bussola rotta – coinvolgimento parentale nell’educazione dei bambini). L’ analisi ha messo in luce il fatto che vi siano sempre più padri e madri che si sentono costretti a tornare loro malgrado, sui banchi di scuola, anche se metaforicamente, per essere accanto ai loro figli passo passo, nelle attività assegnate a casa. Questa ansia di facilitare ogni cosa, può finire per ritorcersi contro i figli, sempre più volubili e dipendenti: «Corriere della Sera» ne ha parlato qui: http://www.corriere.it/scuola/medie/14_novembre_30/i-genitori-spazzaneve-spianano-strada-figli-ma-li-danneggiano-a95c6922-786a-11e4-9707-4e704182e518.shtml.

Ciò detto, verrebbe da chiedersi se il punto dirimente della campagna «basta compiti» non sia proprio questo: è risaputo che essere iper protettivi non coincida con l’operare necessariamente per il bene di ragazze/i. In ballo anche il tentativo di limitare una ulteriore riflessione: quella che può scaturire dal confronto solitario con i pochi libri che gli scolari ancora maneggiano. E questo può far sì che la memoria delle nuove generazioni rischi di essere sempre meno stimolata, dipendente da altri e da altro. Forse accettare di prendere 1 anche da grandi è il primo passo per ricominciare a cercare “la sufficienza” e, qualche volta, anche 9 o 10.

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

Un commento

  • Ottima sintesi di un pensiero che siamo in tanti a condividere…soprattutto insegnanti! La perdita del senso della realtà è forse il problema principale che riscontro tra i miei alunni della scuola media, i cui genitori sono la fotocopia di quelli che tu hai ben descritto. Posso dire che sono proprio loro, mamme e papà, a protestare per i compiti a casa; i ragazzi li accettano e anzi, nella giusta quantità, li richiedono, perché avere una consegna da svolgere li rassicura.
    Buon lavoro!
    Ambra Prearo, Roma

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