Comunità urbane solidali

Una chiacchierata di Valentina Bazzarin con Luca Cumbo (*)

 

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Chiacchierare, poi fermarsi per riflettere, studiare, cercare, provare ad immaginare e infine scrivere qui – nella “bottega del Barbieri” – la chiacchierata con Luca Cumbo sull’attività di accoglienza della società cooperativa CRESM di Palermo mi ha portata a riflettere sul tema dell’immigrazione andando oltre la cronaca e il suo lessico fatto di emergenza, di differenza e di distanza o il freddo conteggio di spese sostenute e di vite spezzate. Per questo motivo ho lasciato il tema fuori dal titolo. Forse formulandolo altrimenti avrebbe attirato e spostato allo stesso tempo l’attenzione tracciando una linea retta fra il “problema” (l’immigrazione) e la buona pratica per la soluzione (il centro Sprar gestito dalla cooperativa nata dal Centro ricerche economiche e sociali per il Meridione (questo significa l’acronimo Cresm) ma il mio compito in questo dossier non è descrivere, piuttosto accompagnarvi o spingervi verso il tortuoso percorso fra burocrazia, Cie, Cara, Cpsa e soprattutto nella vita delle persone che lavorano in un centro Sprar che oggi a Palermo ospita 8 richiedenti asilo, rifugiati o potenziali tali.

Luca durante la nostra telefonata ha sempre cercato di evitare di utilizzare la parola “integrazione”, preferendole concetti come sviluppo locale, solidarietà e cooperazione con le fasce sociali e con i territori più svantaggiati. Il centro nasce come servizio di secondo livello circa un anno e mezzo fa. Le persone vengono assegnate allo Sprar da Roma, dal ministero degli Interni e dovrebbero essere selezionate in base al progetto specifico o almeno tra quelle che hanno iniziato la procedura di richiesta per il diritto di asilo e attendono di andare in commissione, oppure tra coloro che sono già stati intervistati dalla commissione. Nel progetto iniziale lo Sprar di Palermo doveva essere uno spazio per le donne (richiedenti asilo o le rifugiate che arrivano non accompagnate dai genitori, dai fratelli e dai mariti ed eventualmente i loro bambini) ma il servizio centrale del ministero degli Interni finora ha deciso altrimenti e quindi lo Sprar di Palermo accoglie anche uomini. Il ministero non presta attenzione ai progetti presentati, ma solo ai “posti letto” per calcolare la spesa pro-capite di 35 euro al giorno da assegnare alle strutture per ogni posto letto occupato. Nei servizi di secondo livello vengono attivati percorsi di studio della lingua italiana, di formazione, di quel che viene chiamato “integrazione”. L’obiettivo è di dare alle persone ospitate nel centro le competenze professionali necessarie a svolgere un ruolo attivo nella società. Trovarsi un lavoro dignitoso o scegliere quel che si vuole fare sembra essere una delle priorità dello Sprar di Palermo gestito dalla Cooperativa Cresm. Ogni richiedente asilo viene seguito da un team – composto da educatore, psicologo, mediatore, operatore networking e coordinatore – e a volte ci si avvale del supporto di un antropologo o di un appoggio esterno di supporto al servizio sperimentale di salute mentale che, però, non è legata direttamente allo Sprar. La squadra di lavoro ha, fra gli altri compiti, quello di comprendere le diverse storie di migrazione, provare ad alleviare il dolore delle ferite fisiche e psichiche, e costruire assieme al richiedente asilo un progetto di “accoglienza integrata”.

De facto, purtroppo il servizio è diventato un percorso di primo livello. Le persone che arrivano a Palermo spesso non hanno ancora formalizzato la richiesta d’asilo e passano per la prima volta in questura quando sono già ospiti dello Sprar. Per esempio i CARA (ufficialmente i centri di primo livello per l’accoglienza dei rifugiati) non offrono, ora come ora, nessun tipo di servizio se non il posto letto o i due o tre pasti al giorno: quindi chi viene assegnato allo Sprar di Palermo è a suo modo fortunato perché accede direttamente a un percorso personalizzato che comprende lezioni di italiano, aggiornamento delle competenze professionali, produzione di spettacoli teatrali e altre attività artistiche da realizzare coinvolgendo l’intera città (per altre informazioni potete chiedere l’amicizia su Facebook).

La questione del cibo come quella della scelta del vestiario sono dirimenti per distinguere fra il modello scelto dalla cooperativa e quello dei maxi-centri che accolgono centinaia di migranti e fra loro anche potenziali richiedenti asilo. Per la scelta del vestiario gli operatori accompagnano i richiedenti asilo a scegliere gli indumenti che vorranno acquistare e indossare. Nei centri invece esiste una sorta di catena di montaggio nella quale vengono messi a disposizione indumenti nuovi o usati fra i quali gli ospiti possono scegliere solo in base alla taglia e secondo le proprie preferenze. Per quanto riguarda i pasti invece al centro Sprar di Palermo le persone hanno a disposizione una cucina che possono utilizzare liberamente e possono consegnare una lista della spesa agli operatori per reperire gli ingredienti e fare la spesa assieme a loro. Nei maxi-centri di tutta l’Italia invece il servizio mensa viene dato in subappalto a società o cooperative che si occupano di catering. Ovviamente le gare per i subappalti si prestano a tentativi di corruzione e in generale alla distrazione di parte dei fondi destinati alle attività di accoglienza. La quota di 35 euro al giorno per ogni posto letto occupato infatti non cambia tra centro grande, medio o piccolo e non ci sono vincoli o criteri rispetto al numero minimo di persone o le competenze che dovrebbero avere per svolgere un progetto di “accoglienza integrata”. Pertanto i centri d’accoglienza con centinaia di ospiti incassano centinaia di migliaia di euro e offrono solamente i pasti del catering, a volte le pulizie e qualche servizio di emergenza e una sorveglianza svogliata (per un rapido paragone e un interessante racconto consiglio di leggere questo articolo scritto nel 2012 da Antonio Mazzeo su “Melting Pot Europe”  e il reportage curato da Giuseppe Pipitone nel 2014 pubblicato da “Il Fatto Quotidiano”).

La chiacchierata con Luca Cumbo, la passione che traspariva dalla sua voce, l’indignazione per le difficoltà da sostenere, la verità sulle condizioni dell’accoglienza nel “bel paese” mi hanno portata a riflettere sui tanti progetti che non si limitano a fare dell’immigrazione un affare redditizio ma provano a incidere positivamente nel tessuto sociale. Per qualche minuto con la mente sono volata in Sicilia, terra di generosa accoglienza e di solidarietà. Penso che alla prima occasione attraverserò questo Paese lungo e stretto fino ad arrivare al suo piede per condividere con loro una fra le tante attività organizzata dalle Comunità urbane e solidali. Spero che anche voi, arrivati fin qui, abbiate la curiosità di conoscere il progetto e diate la spinta a questa Italia perché alla visione del corpo di una bambina, che galleggia inerte con il viso immerso nell’acqua del mare nostrum, segua un’azione – meglio se collettiva – per chiedere una politica di gestione dell’immigrazione che non affondi o respinga, ma conosca e supporti chi ha diritto a trovare asilo in questo Paese.

(*) Venerdì 1 maggio la “bottega” dalle 7 in poi ha ospitato solo post – qui sotto trovate i link – legati alla guerra (non dichiarata) dell’Occidente a migranti e profughi. Questo post di Valentina Bazzarin, come il successivo, era previsto nel dossier ma per un disguido tecnico è rimasto fuori. Venerdì abbiamo chiesto e di nuovo chiediamo a chi ci legge di aiutarci ad approfondire questi temi; anche raccontando le storie di chi viene accolto e di chi viene respinto, di chi è dalla parte dei migranti e dei profughi e per questo viene “intimidito”(esemplare la vicenda di Radio Onda D’urto a Brescia), di chi nelle istituzioni alimenta il razzismo dei fascioleghisti. I media “di regime” – ormai quasi tutti – mettono il silenziatore alle voci, alle ragioni, alle buone pratiche di molte/i che in Italia si oppongono a razzismi e fascismi. In codesta “bottega” noi vogliamo tenere – come le tre scimmiette “a rovescio” della nostra testata – orecchie aperte, occhi attenti e disporre di megafoni per farci meglio sentire.

* Noi (migranti) saremo tutto
<https://www.labottegadelbarbieri.org/noi-migranti-saremo-tutto/>
* Migranti <https://www.labottegadelbarbieri.org/migranti-2/>
* Messico: gli indocumentados divorati da “La Bestia”
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* Immigrazione: smontiamo le bufale
<https://www.labottegadelbarbieri.org/immigrazione-smontiamo-le-bufale/>
* Con una mitragliatrice davanti ho dovuto prendere la barca
<https://www.labottegadelbarbieri.org/con-una-mitragliatrice-davanti-ho-dovuto-prendere-la-barca/>
* Il nemico vien dal mare
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* Vite in fuga e il tragico gioco dell’oca
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* Nuovi dati, vecchi schiavismi
<https://www.labottegadelbarbieri.org/nuovi-dati-vecchi-schiavismi/>
* Mare nostro che non sei nei cieli
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* Immigrazione: i numeri, le parole sbagliate e altri imbrogli
<https://www.labottegadelbarbieri.org/immigrazione-i-numeri-le-parole-sbagliate-e-altri-imbrogli/>
* Le vere ragioni della guerra contro migranti e profughi
<https://www.labottegadelbarbieri.org/le-vere-ragioni-della-guerra-contro-migranti-e-profughi/>

 

Valentina Bazzarin
Valentina Bazzarin lavora stabilmente come ricercatrice precaria (assegnista) all'Università di Bologna sin dal 2009, anno in cui ha ottenuto il Dottorato in Psicologia Generale e Clinica. Collabora in maniera saltuaria con la Bottega e con il Barbieri, scrivendo e descrivendo quel che vede e pensa durante i suoi numerosi viaggi.

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