CON FORMULA PIENA

CON FORMULA PIENA
dal Mille Lire “Storie Malsane”
di Mauro Antonio Miglieruolo

Sin dall’inizio l’esito del Processo, che procedette nel migliore dei modi, apparve a me favorevole. Approdò infatti agli epiloghi previsti e dovuti. Il giudice non si lasciò influenzare dai clamori femministi, né da altre considerazioni stragiudiziali;


lo stesso Pubblico Ministero smarrì spesso la determinazione accusatoria a cui l’obbligava il suo ufficio (naturalmente era dalla mia parte); né la Stampa mi fu del tutto avversa; e non essendo propriamente inetto quale avvocato di me stesso, avendo l’evidenza delle circostanze dalla mia parte, ne uscii fuori libero come il vento.
– Portava un gonnellino fin qui! – testimoniai senza esitare, mostrando con le mani l’altezza esatta a cui giungeva il gonnellino, un’evidente esagerazione. – Si vedevano anche le mutande…
Si vedevano, e come!
La circostanza, valutata con severità, pregiudicò le possibilità della parte avversa. Pose in imbarazzo l’avvocato della querelante, il quale stupidamente argomentò, non aveva altro, attorno ai “diritti della donna” e sul “rifiuto della legge della giungla”. Lo obbligai al silenzio con alcune foto, scattate in tempi non sospetti, a comprova delle mie modeste affermazioni. La loro esibizione in-fluenzò favorevolmente l’intero Tribunale.
– Non faceva altro che ridere, risate argentine come solo le femmine leggere, con volontà di provocazione, sanno emettere. Rideva per attirare l’attenzione, Signor Presidente! Conosceva già molte civetteria, e ne usava generosamente. Cosa dovevo fare?
L’interrogativo, e il tono accorato, mi guadagnarono ulteriori simpatie. Molti uomini si erano trovati nella mia medesima, sofferta condizione; ognuno di loro si identificò col mio dramma, e mi rifornì di credito. Non c’era che una risposta da dare. Ogni buon padre di famiglia presente me la diede, senza riserve.
Rincarai la dose con una conclusione che, pur peccando di banalità e ridondanza, espresse perfettamente l’opinione di tutti, quella stessa a cui m’ero appellato:
– Impossibile resistere, dovete credermi! Si sa, l’uomo è ladro, spetta alla femmina stabilire le barriere opportune. Ora, se essa non provvede, nessuna Norma potrà mai riuscire a reprimere la car-ne, quando quest’ultima accampa i suoi propri diritti!
Un applauso scrosciante, come solo se ne vedono, e sentono, nei telefilm americani in ana-loghe occasioni, segnò la fine dell’arringa. Ma in verità avevo vinto ben prima. Lo capii nel momento stesso in cui la madre della presunta vittima, rossa di vergogna, mi lanciò uno sguardo supplichevole.
Accolsi favorevolmente l’implicita preghiera. Non infierii. Omisi perciò di effondermi sulla facilità con cui avevo portato a compimento l’impresa; non sottolineai come la figlia non si fosse praticamente difesa; e come nessun graffio, nessun segno sulla mia persona potesse testimoniare di momenti concitati, in cui la piccola avesse tentato di opporsi adeguatamente alla profferte amorose. La disparità di forze per altro non contava. Se una non vuole, è impossibile imporle l’amplesso; e in verità, solo occhi sgranati e stupefatti, erano stati opposti alle mie insistenze.
Le lacrime successive contano ancor meno. Sono parte del corredo abituale delle Signore e acquisiscono senso solo se accompagnati a altri ripudi con senso più preciso.
Non mancai però di volgermi, con tragica eloquenza, verso il pubblico accalcato, ancora mu-to, sentendolo indeciso; per cautelarmi riaffermai la debolezza della natura umana, e il possibile provvidenziale comprovato andirivieni della follia; sottolineai inoltre in tono sprezzante la scarsa cautela con cui una merce tanto preziosa veniva affidata alla pubblica fede (con gli inevitabili risul-tati che si sapevano); ribadendo infine come la denunciante avesse mantenuto nel coso dell’intera vicenda un comportamento da soggetto di facili costumi, e che come tale andava, ed era stato, trattato.
Mi si diede l’intera soddisfazione che chiedevo. Fui assolto con formula piena. La parte soc-combente subì l’onta della disfatta totale, che l’obbligò al pagamento integrale delle spese di giudi-zio.
La stizza dei genitori si manifestò nello strattone con cui il padre, uscendo, si trascinò dietro la bambina, e la palese confusione della famiglia, che lasciò in fretta, ad occhi bassi, l’aula.
Avevano avuto quel che s’erano cercati. Il discredito e la pena pecuniaria. Così imparavano. E imparava anche la piccola, quattro anni il prossimo mese, una vera impudente! ché non ci si attarda impunemente sul marciapiedi, non si cantano canzoncine, non si saltella sulla corda lasciando sfarfallare il gonnellino già troppo corto; e soprattutto non si permette fiduciose a un uomo di avvi-cinarsi, ma si scappa a gambe levate non appena uno di essi compare all’orizzonte!

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