Con i proletari (di Pabuda)

Non so neppure bene

il perché ma

da quando ragiono

colla testa mia

sto coi proletari:

da piccolo

ci stavo nei libri

e negli slogan

nei cortei:

studiavo e gridavo

molto più forte

degli anni

che avevo.

Da allora ad adesso

c’è tutta una storia

in mezzo

che non provo

neanche a dirne un pezzo,

tanto è lunga

e noiosa e complicata.

Fatto sta che adesso

sempre coi proletari

sto.

Però ci sto diversamente:

al bar, per esempio,

ascoltando il compagno operaio

con quei piercing incredibili

tutto contento

per la colossale mangiata

domenicale

alla prima comunione

della figlia del collega

chissà dove

ma l’hotel ci aveva

quattro stelle brillanti

e dei camerieri in tiro

col farfallino nero.

Ci sto, in un certo senso,

sentendomi

salutare col mio nome vero

dalla commessa del fornaio

anche quando passo di corsa

senza comprare né pizza né pane.

Ci sto, sempre in un certo senso…

e questo è un senso molto speciale,

un senso unico, totale

quando sto a letto

con un’esperta d’erpetologia

che il proletariato

non sa quasi cosa sia

 

Redazione
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