Connelly, Di Giacomo, Mishani, Nygårdshaug, Robecchi …

… Seishi e Swanson

7 recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio

 

Dror Mishani

«Tre»

traduzione dall’ebraico di Alessandra Shomroni

Edizioni e/o

252 pagine, 18 euro 18

Holon (Israele) e Bucarest. Da fine marzo. Orna, insegnante di liceo sulla quarantina, abbandonata col figlio Eran dal marito Ronen, e il 42enne avvocato Ghil si conoscono su un sito d’incontri per divorziati e qualche giorno dopo s’incontrano in un caffè di Tel Aviv. Progressivamente inizia una relazione. Lui la invita a Bucarest. In parallelo, Ghil conosce Emilia, una badante lettone che gli chiede consulenza sul permesso di soggiorno; dopo un po’ anche a lei propone un viaggio insieme. Mesi dopo Ella, la terza donna che Ghil incontra, cercherà da lui qualcosa di diverso. “Tre” è il nuovo bel romanzo del bravo scrittore israeliano Dror Mishani (Holon, 1975) distinto in parti cronologiche ma intrecciate, narrate in terza fissa sulle tre donne. Qui abbandona la premiata serie dell’ispettore Avi Avraham (in parte presentata in italiano da Guanda, adattata anche per il cinema) e indaga pensieri femminili alle prese con la complicata quotidianità e con un maschio criminale.

 

Gert Nygårdshaug

«Inferno verde»

traduzione di Andrea Romanzi; originale «Mengele Zoo» (1989)

SEM edizioni

430 pagine, 20 euro

Amazzonia. Anni ottanta. Mino Aquiles Portoguesa ha sei anni e vive in un villaggio della foresta pluviale sudamericana. Si è specializzato nelle farfalle, trova con maestria quelle splendide, che saranno poi fissate con spilli e vendute in città. Il pericolo viene dall’arrivo di gente armata al servizio di una grande compagnia petrolifera interessata a sfruttare quel territorio. Un giorno, quando ormai ha dieci anni, torna in paese e lo trova distrutto e fumante, massacrati tutti gli abitanti compresi i genitori. Fugge solo, si industria a sopravvivere, anni dopo diventa biologo e fonda il movimento Mariposa che terrorizza i poteri costituiti, complici dallo sviluppo insostenibile. Comincia un’altra storia. Il poliedrico scrittore militante norvegese Gert Nygårdshaug (Tynset, 1946) fu inviato da un quotidiano in Amazzonia dopo l’assassinio di Chico Mendes, vi scrisse sopra pure un bel romanzo che risulta ancora attuale: basta pensare al triste recente omicidio di Homero Gómez González!

 

Alessandro Robecchi

«I cerchi nell’acqua»

Sellerio

398 pagine, 15 euro

Milano. Settembre 2020. Carlo Monterossi, portatore sano di blues dylaniano e di autentici guai (pur avendo orrore della violenza) vivacchia ancora con il programma Crazy Love (che lo ha reso famoso e benestante) e frequenta con crescente affetto Bianca Ballesi, la carina spigliata produttrice televisiva, ormai 41enne. Una sera d’autunno ha lasciato libero creativo spazio culinario alla moldava religiosissima Katrina, vivandiera governante assistente chef, e invitato la sua fresca e fragrante compagna (o congiunta che dir si voglia) e la meno giovane coppia di Tarcisio e Rosa Ghezzi, il sovrintendente (59 anni e 84 kg) con cui spesso ha simpaticamente collaborato e la sua casalinga dolce signora Rosa. S’inizia con gamberi e champagne, poi si prosegue alla grande con tante portate già pronte, fino al caffè. I due uomini si spostano su divano e poltrona dello studio piccolo. Si danno del lei. Monterossi si scusa per non aver saputo aiutare Ghezzi, pur avendo provato, per un torto da raddrizzare tramite tv. Il poliziotto comincia a buttar là qualcosa. Non smette più. «Che ne sa… di quello che c’è là fuori… Parla di ingiustizie e miserabili come se li avessi visti davvero. Ma non è così. Lei ne fa caricature… la sua causa nobile non la capisco. Io ho solo storie ignobili con cui sporcarmi le mani». Carlo è sorpreso ma interessato, resta seduto e ascolta, il racconto è lungo, riguarda due vicende parallele. Poche settimane prima, un’attempata attraente prostituta faceva la posta a Tarcisio sotto casa, il compagno era sparito; lui se lo ricorda, nel 1990 il Salina era stato il primo arresto da agente, un ladro incappato nel doppio allarme della gioielleria; dopo la sentenza del processo si era impegnato ad andare a trovarla per proteggerla prima che lui uscisse per buona condotta; ora deve assolutamente ritrovarlo. Però è scomparso anche il solitario collega 43enne Pasquale Carella, in cerca di un vero violento delinquente appena uscito di galera, lo odia per vari soprusi e vuol fargliela pagare.

Il giornalista e autore televisivo Alessandro Robecchi (Milano, 1960) continua la serie metropolitana di alta qualità, inventando ogni volta ottimi romanzi con impasti culturali e sociali differenti, densi e appassionanti, emotivamente tesi e ben stesi. La narrazione è in terza varia al presente, qui il contesto è la casa di Carlo, chi racconta con lucida mestizia è Ghezzi, l’affettuoso coprotagonista è Carella visto che i due poveri dolenti colleghi sono legati nella lotta al crimine, senza carrierismi, diversamente perbene leali stanchi, e i casi finiscono per sovrapporsi. Il filo delle storie è riassunto nel malinconico titolo: il sassolino nell’acqua ferma produce un cerchio, poi un altro, poi un altro, i cerchi si allargano; cerchi concentrici di dolore, delle perdite, delle nostalgie, delle ingiustizie, tutti li abbiamo; che fatica, che pena! All’inizio il caso di Ghezzi è più un giallo investigativo privato, il caso di Carella un noir hard-boiled privato; il primo è spinto da un’antica pudica attrazione e da indizi misteriosi, il secondo dalla rabbia cieca per non aver potuto salvare una o più delle donne ferite dal feroce possente magnaccia. Quasi subito, però, il vicequestore incarica il buon riservato Ghezzi di trovare il Carella messosi sulla cattiva strada, tutti gli altri poliziotti della questura sono impegnati nel clamoroso caso ufficiale, in prima pagina sulla stampa, l’inspiegabile delitto di un rispettato incensurato restauratore e antiquario, Amedeo Crodi, trovato morto, picchiato forte nel suo magazzino-laboratorio, con tanti soldi e ricchi oggetti lasciati lì, non un furto comunque. Ci penseranno loro, scarpinando per la grande biodiversa Milano, non senza amarezze. Ovviamente siamo accompagnati da meno Dylan del solito, Carlo sceglie a caso dalla playlist del computer che comanda lo stereo, qualcosa di sottofondo per riempire le poche pause del racconto: esce la voce di Nina Simone, Memphis in June.

 

Michael Connelly

«La fiamma nel buio. Il nuovo thriller con Bosch & Ballard»

traduzione di Alfredo Colitto

Piemme

Hollywood, Los Angeles. Marzo 2019. Il mancino Hieronymus Harry Bosch è ormai in pensione da oltre tre anni, da sei settimane ha subìto l’operazione al ginocchio e si sposta col bastone anche quando decide che vuole assistere a distanza al funerale del suo mentore John Jack Thompson, quarant’anni nel Los Angeles Police Department, capace di insegnare il mestiere e in particolare a riconoscere i bugiardi. Da novellino, più di tre decenni prima, Bosch si era trovato a lavorare in coppia con Thompson e lo ricorda con ammirazione e affetto. La vedova Margaret avvisa Harry di avere a casa qualcosa che il marito ha lasciato proprio per lui, il fascicolo antico (venti anni) di un irrisolto omicidio di un ragazzo in un vicolo frequentato da spacciatori. Se lo porta a casa, lui prende ogni caso sul personale, quella stessa notte cerca di capire perché il “quaderno” sia stato preso dall’ufficio e tenuto occultato, soprattutto se ci siano elementi per trovare ora il colpevole. La giovane Renée Ballard è da tutt’altra parte, sulla scena dell’incendio di una tenda di nylon che contiene il cadavere bruciato di un giovane senzatetto. Forse non è una morte sospetta, arrivano dall’Unità Incendi Dolosi e la allontanano visto che se ne occupano loro. Lei finisce il turno (sempre quello di notte) poi torna nella tenda in spiaggia dove dorme con Lola, mezza boxer e mezza pitbull. Bosch, la mattina dopo, prima chiede una mano all’amica detective in carica che accetta subito aggiornandolo in parallelo sulle proprie indagini, poi va a trovare Mickey Haller, il fratellastro ottimo avvocato, per chiedere consiglio legale sulla diagnosi appena ricevuta di leucemia mieloide cronica, che è stata contratta sul lavoro e merita forse un risarcimento, anche per lasciare abbastanza dollari alla cara figlia Maddie se cure e chemio non dovessero funzionare. Nell’attesa segue il processo in corso e la difesa del reo confesso (di aver ucciso un bravo giudice di corte d’appello), c’è qualcosa che non gli quadra, i casi si accavallano.

Il magnifico scrittore ex giornalista Michael Connelly (Filadelfia, 1956) continua a seguire l’eccelsa epopea Bosch (in solitario o con altri) ben consapevole che autore e mitico personaggio (pure in apprezzata serie televisiva) stanno invecchiando insieme e che, per l’azione, serve ormai una coprotagonista; così la terza persona della pulsante narrazione alterna i due, anche quando s’incontrano e, nel sottotitolo, la nuova serie è riferita a entrambi. Le vite di Bosch & Ballard tornano a incrociarsi dopo i positivi risultati dell’anno precedente (e del relativo romanzo); i due hanno quasi due generazioni di distanza ma, per varie autonome ragioni, sono ossessionati esclusivamente dall’attività investigativa. Siamo pienamente nel campo del romanzo noir filone police procedural, Connelly è maestro nel tener conto di regole, riti, gergo del mestiere di poliziotto nella città dello spettacolo e della corruzione, e soprattutto nella Divisione Hollywood. Questa volta particolarmente alto è il numero di casi investigati, alcuni connessi come loro stessi scoprono con accorte incrociate personali indagini. E tanti altri casi vengono accennati, evocati, sintetizzati, a esempio il maniaco nel quartiere di Maddie alla Chapman o la ragazza inspiegabilmente scomparsa e uccisa nel 1982 (di cui presto si occuperanno se sopravvivono), tanti spari nel buio (da cui il titolo) o cose così, come fa un ottimo esperto cronista per richiamare analogie culturali, metafore letterarie e distrazioni narrative delle esistenze e della vita umana. Utili informazioni sui disturbi schizoaffettivi, sui portapranzo per scolari, sulla gang Rolling ’60 Crips e sul fuoco che non si accende per (eventuali) figli gay. La bottiglia di vodka serve anche a rintracciare una possibile killer, mentre Bosch converte Ballard all’uso frequente e competente del jazz, anche se lei, per mantenere la concentrazione quando ha appuntamento con l’avventura, preferisce ascoltare i Muse, i Black Pumas, i Death Cab Gour Cutie.

 

Yokomizo Seishi

«La locanda del Gatto Nero»

traduzione di Francesco Vitucci (originale 1973)

Sellerio

Giappone, sobborghi di Tokyo. Primavera 1947. Una lettera dell’investigatore privato Kindaichi (cognome) Kosuke (nome), un trasandato circa 35enne non molto alto con fitta chioma di capelli, viene recapitata a Okayama presso l’abitazione di Y, scrittore di gialli, lì sfollato qualche anno prima. Si erano incontrati nell’autunno 1946, mentre era iniziata la pubblicazione a puntate su un’importante rivista di un bel romanzo di Yokomizo sul celebre caso del koto (strumento musicale dal suono ruvido) e dell’uomo con tre dita, con protagonista proprio Kindaichi. Erano restati qualche giorno insieme a chiacchierare, elucubrando sul genere giallo. Il delitto narrato era della tipologia della camera chiusa e l’autore stava pensando di scriverne altri con differenti tipologie classiche di omicidi. Kindaichi raccontò di quanto gli era accaduto sull’isola di Gokumon, accordando il permesso di scriverne in futuro e riconoscendo di fatto Yokomizo come biografo ufficiale. Mesi dopo arriva la lettera e, tre giorni dopo, pure un plico di documenti relativo a un caso occorso poche settimane prima all’investigatore in un distretto remoto della capitale, tra febbraio e marzo 1947, ai margini di una linea ferroviaria periferica. Finalmente si è cimentato in un caso con un cadavere senza volto, tipologia ambita. Dalla storia vera vien fuori un altro discreto romanzo. Tutto inizia fra il piccolo giardino della Locanda del Gatto Nero in un quartiere a luci rosse e l’adiacente cimitero del tempo buddista Rengein situato più in alto. Il giovane bonzo rinviene un corpo di donna, il volto è irriconoscibile causa putrefazione di quasi un mese, c’è anche un’accetta nel fango. Arriva l’agente Nagatanigawa che conosce bene la zona, una settimana prima la coppia che gestiva il locale aveva venduto e si era trasferita, il nuovo proprietario lo stava ancora ristrutturando e di sera era chiuso. Non sarà facile per i poliziotti ricostruire chi è la donna morta e cosa è davvero successo, almeno finché non giunge l’aiuto dell’ eccentrico investigatore privato sollecitato con affanno da amici.

La necessità di conoscere meglio le storie nazionali del genere di matrice occidentale mystery, detective story, crime, thriller, noir, policier riguarda anche il Giappone. Il genere giallo è entrato progressivamente a far parte di tutte le letterature nazionali, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo. Ogni cultura e ogni autore aggiungono qualcosa di proprio, anche se vi è sempre una fase, perlopiù iniziale, dove il genere viene rivisitato da molti autori nella propria lingua, ripercorrendo tuttavia la sua evoluzione storica anglosassone di regole e strappi alle regole, trucchi e tipologie per una continua sfida col lettore. In Giappone, uno dei propulsori fondatori, come editor prima e come grande scrittore poi, fu Yokomizo Seishi (1902-1981), anche premi letterari sono a lui dedicati. Scrisse decine di romanzi, molti divenuti film o serie tv, quasi tutti attorno a un personaggio, celeberrimo in patria e in vario modo resuscitato dopo la morte dell’autore. In italiano fu pubblicato un romanzo nel Giallo Mondadori negli anni ottanta. Prima con “Il detective Kindaichi” (2019), ora con “La locanda del gatto nero” (2020) Sellerio sta opportunamente riproponendo i classici esordi investigativi di Yokomizo (originali del 1973) divertenti e godibili, per quanto sembrino datati alcuni espedienti letterari o anche piantina e mappa della scena del crimine. Originale ovviamente è l’ambientazione storica, gran parte dei personaggi protagonisti della vicenda risentono della seconda guerra sino-giapponese: il quartiere si era ingrandito grazie a un’imponente fabbrica di munizioni e aveva poi risentito dei poco puliti commerci e traffici connessi; i gestori della locanda erano tornati dalla Cina, costretti a rimpatriare a conflitto iniziato, e si erano dovuti adattare in vario modo. Il titolo fa riferimento al gatto preesistente alla locanda, protagonista anche nella macchinazione. L’epilogo del romanzo è una nuova lettera all’autore di commento dell’investigatore. Segue un breve glossario che spiega alcuni oggetti tipici, meno abituali per noi lettori non giapponesi. La birra è sfiatata, meglio il sakè caldo.

 

Silvia Di Giacomo

«Il corpo del peccato»

Foschi editore

268 pagine, 14 euro

Bologna. Aprile 2017. Il commissario della squadra mobile Claudio Degli Esposti, separato sessodipendente, alto e robusto, capelli neri ondulati, sta facendo giochi di ruolo con la sua amante Mary – lui dominante, lei schiava, bassa e magra, forme perfette e viso incantevole, ucraina sposata col Nano (ora in carcere) – quando la giovane bionda ispettrice Giulia Nanni lo chiama perché i dottori Zorbi hanno trovato morta l’anziana madre Maddalena Costa, una delle famiglie più potenti della città, amici soprattutto delle alte sfere ecclesiastiche. Sono stati rubati due preziosi orologi svizzeri e il caso si rivela più complicato del previsto. In “Il corpo del peccato” sono tanti i corpi che peccano. La creativa scrittrice e professionale gemmologa Silvia Di Giacomo (1974) intreccia noir ed erotismo in un romanzo che alterna narrazione in terza varia al passato, momenti in prima (sia di Claudio che di Mary) e il racconto terribile di Eva in corsivo, una ragazza in catene da 42 anni.

 

Peter Swanson

«Una perfetta bugia»

traduzione di Letizia Sacchini

Einaudi

322 pagine per 18,50 euro

Maine, maggio. Tra meno di una settimana Harry dovrebbe festeggiare la laurea a New Chester (Connecticut): tesi pronta, esami finiti, formalità espletate, si sente concentrato e preoccupato. Improvvisamente lo chiama Alice Moss, la seconda moglie del padre: Bill è morto cadendo dalla scogliera, era sull’alto sentiero dove andava a camminare quasi tutti i giorni. Harry parte subito per Kennewick dove la coppia viveva in una vecchia magione vittoriana (ribattezzata la Signora in grigio), un poco restaurata subito dopo la sua partenza per il college. Il padre amava i libri, soprattutto i gialli; prima possedeva una libreria antiquaria col socio Ron nel West Village a New York, poi un tumore aveva ucciso la prima moglie Emily, lui aveva aspettato il diploma del figlio e, poi, pur mantenendo alcuni legami, si era trasferito a nord, nella zona in cui era nato (il Maine); lì aveva conosciuto la bella Alice (di 13 anni più giovane) che lavorava in un’agenzia immobiliare, mai sposata e senza prole, e aperto un negozio di libri per i villeggianti, i turisti e i pochi cittadini. Non si capisce proprio come mai sia caduto, ben presto però la polizia si orienta sull’ipotesi di omicidio, Bill aveva preso una gran botta in testa mentre camminava. Harry è sempre più inquieto, la morbida prosperosità di Alice lo turbava già prima, ora lei è ancor più accogliente e seduttiva, eppure dubita che sia completamente sincera. Inoltre, al funerale vede Grace, una graziosa ragazza 25enne che sembra aver condiviso tempo e interessi con Bill, forse addirittura una relazione amorosa, e che comunque gli nasconde qualcosa. Scopre così di non aver ben compreso le storie sentimentali dell’amatissimo padre e di essere a un punto di svolta delle sue. Ombre e ossessioni, cadaveri e segreti riguardano pure il passato e ora s’infittiscono, molti mentono, tutti sentono il pericolo e qualcuno ha in programma nuovi omicidi.

Il bravo scrittore americano Peter Swanson (Concord, Massachusetts, 1968) ha forse due costanti finora: Old e New England, vari protagonisti a incastro con tranelli dietro l’angolo, sempre nuovi. Conferma qualità di fantasia e abilità di scrittura, anche il nuovo libro è avvincente e compatto, un torbido noir. Il romanzo ha due parti, ognuna con differenti protagonisti, si alternano Harry e Alice nella prima, Caitlin (la sorella gemella eterozigote di Grace) e Jake (l’uomo legato ad Alice adolescente) all’inizio della seconda, vari per il resto. La narrazione è tutta in terza persona al passato ma affronta e alterna due periodi temporali distanti, le odierne luttuose avventure di Harry e i lontani trascorsi affettivi di Alice. Tutto funziona in modo abbastanza oleato e realistico, le bugie possono essere sia belle che brutte. Non è uccidere il problema, casomai cambiare sé stessi e le vittime. Sono ovviamente continui i riferimenti ad autori e opere di genere giallo: sulla scia del padre (ucciso nemmeno 50enne) Harry appena può sceglie il police procedural di Ed McBain, anche se poi deve far quasi tutto da solo per capire se e come cavarsela. Bill spiega così il piacere assoluto per il genere: «Non sono mai riuscito a fidarmi di un libro che non si aprisse con un cadavere», una regola stilistica che per decenni molti hanno mantenuto (compresi McBain e, pure qui, l’autore). Segnalo il Phone Finder per localizzare cellulare e persone tramite computer. Nelle relazioni a due l’indifferenza conferisce potere, a futura memoria, meglio archiviare tale dinamica prima possibile. Riempire il vuoto con le domande è sintomo di egoismo. Si beve tanto e in ogni occasione, mini e superalcolici, ognuno con gusti variegati e legati al momento; il buon vino non si smentisce mai, Primitivo per festeggiare in barca. Jake e Alice ascoltavano i Genesis; Bill preferiva Frank Sinatra e Bob Dylan.

 

Redazione
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