Continuare… con Vittorio

Tenterò di parlare di Vittorio Arrigoni. Di amici e di pacifisti coglioni. Di Enzo, di Guido, di Sergio e Fabio. Di Rachel Corrie. E di censure. Soprattutto di cosa dovremmo cercare di fare oggi e domani: non per lui ma per noi che restiamo. Oltre il dolore… dobbiamo continuare.

Mi telefonano: “Lo conoscevi bene Vittorio Arrigoni ero? Ma eravate anche amici?”.

Se amicizia è ridere e soffrire insieme, avere esperienze comuni, abbracciarsi forte quando ci si incontra… sì Vittorio era un amico. Ma se oltre a questo c’è anche la voglia di cambiare il mondo, mettere in gioco se stessi per un ideale, avere la presunzione di dare un senso al vivere – perchè con altre/i si è protagonisti di un “pezzettino” della storia umana – allora la parola amico non basta; in altri tempi si diceva fratello, sorella oppure compagna, compagno… ci si intendeva subito. Oggi che le parole sono vuote è più difficile definirsi. Si può raccontare. Cercare di ridare il senso alle parole riempiendole di fatti invece che di fumo o di retorica.

Guardando ieri sera il video crudele che ostentava il viso ferito di Vittorio, io ho pensato subito a Enzo Baldoni che in Irak nelle mani dei sequestratori sorrideva, sembrava prendere in giro ancora una volte la morte in agguato. “Un coglione” come scrissero i giornalisti di destra. E coglioni ma soprattutto vigliacchi sono sempre i pacifisti perchè – così il ritornello, particolarmente ripetuto sul “Corriere della sera” a ogni s/proposito – non sono in prima linea. E se invece vanno al fronte disarmati e muoiono… di loro neppure si parla: la memoria pubblica cancellerà presto Vittorio, come Enzo Baldoni o come Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni che furono uccisi il 29 maggio ’93 in un’azione di pace in Bosnia con i giornalisti attenti per anni a non far capire quante armi l’Italia vendesse. E bisogna dimenticare in fretta o calunniare Rachel Corrie.

Rachel era millitante dell’ISM, come Vittorio e non aveva neppure 24 anni quando fu uccisa da un bulldozer israeliano il 16 marzo 2003 mentre cercava di opporsi all’abbattimento abusivo di una casa palestinese. Poco fa ho letto un messaggio di Cindy Corrie, la madre di Rachel, a Luisa Morgantini. Lo incollo qui, senza tradurlo (non so l’inglese).
Luisa,
My heart is breaking.  I met Vik in Gaza in 2009 and have had short correspondence with him.  I wrote to him last night, actually, before I knew he had been killed.  I had to hope that he would survive to see that we were thinking of him and willing him to safety.  From all I know, he was brave,
devoted, warm, gentle and wonderful.  I am so sad and so sorry.
I’m thinking of you this morning, of all of our Italian friends, and of all connected to ISM as I try to absorb this cruelty.
At the moment, reaching out to friends seems the only thing to do.  We are in Haifa for the trial in Rachel’s case and headed today to Bethlehem.  If there is any way for us to be of help, please let me know.
My love to you and to all who mourn,
Cindy

Dei “morti” per costruire la pace con giustizia non bisogna parlare. E ancor meno bisogna parlare di quelle/i che sono vive/i, donne e uomini che rischiano la vita in molte parti del mondo. Per i media sono “bravi ragazzi” e “operatori di pace” o persino “volontari” (anche se prendono davvero molto soldi) i soldati italiani in missioni dette umanitarie e che quasi mai lo sono; ma i media presunti grandi non hanno spazio per Beati i costruttori di pace, per le Pbi o per Operazione Colomba. E quelli di Freedom Flottilla poi… calunniati anche da morti. C’era una giornalista italiana, Angela Lano, sulla nave sequestrata dagli israeliani e ha pubblicato un libro (“Verso Gaza”) per raccontare altri fatti, mostrare altre evidenze, cercare un’altra verità. Silenzio e censura per lei come per “Restiamo umani”, il libro che raccoglie le testimonianze di Vittorio. Ma zitti pure sui premi Nobel per la pace se ogni tanto si permettono di recitare un copione non previsto dai media o fuori “format” (ci sono opinioni e persino fatti che si possono scrivere solo da pag 19 in poi e/o trasmettere solo dopo le 23). Oggi ascoltavo in radio i giornalisti che dovendo “classificare” Vittorio ripetavano che era un volontario o cooperante: evidentemente nonviolento o pacifista devono essere parolacce.

Chi ha conosciuto Vittorio ricorda il suo corpo muscoloso ma anche gli anelli, i tatuaggi. Ero con lui (e con altre 50 persone, più donne che uomini ma comunque tutti “coglioni”) a Padova nel 2006 durante una lunga formazione nonviolenta per andare nel Congo che cercava di uscire da una guerra…. costata 4 milioni di morti ma che i “grandi media” non volevano raccontare. Noi andavamo disarmate/i proprio nelle zone più pericolose perchè (come già nel 2001) lì eravamo stati chiamati dalla “società civile” congolese: sensato o folle, chissà. Comunque andammo. In una discussione, una nostra formatrice (forse era Anna) disse ridendo a Vittorio una frase tipo: “c’è un problema che ti riguarda, lo sai?”. Nei miei ricordi la faccia di Vittorio era serissima nel risponderle. “Sto lavorando su me stesso per essere più calmo, meno casinaro”. Ma ridendo di gusto Anna (o chi era) gli disse: “Lo vedo ma non è quello… Sei coperto di tatuaggi e di piercing. Andrai in una zona sperduta dove hanno visto pochi bianchi e dove forse i tatuaggi non hanno lo stesso significato di qui. Che si fa?”. Neanche un’esitazione: “Tolgo i piercing e copro i tatuaggi”. E Vittorio restò con le maniche lunghe, anche nei momenti più caldi. Perchè dietro l’aria scanzonata e il coraggio sapeva essere umile quando serviva.

Sentivo in radio oggi qualche imbecille dire che Vittorio a Gaza faceva il giornalista. No, era un volontario del’Ism (Movimento di solidarietà internazionale) che durante i bombardamenti prestava soccorso su un’ambulanza e poi – finita l’emergenza – scriveva le corrispondenze per “il manifesto”. E sempre in nome dell’imbecillità, della menzogna o della retorica qualcuno in radio ha osato dire che il suo lavoro, in prima linea, era “prezioso per gli altri giornalisti”. E invece, nell’informazione di regime (e comunque filo-israeliana oltre ogni decenza) non lo si poteva nominare Vittorio, era un testimone scomodo.

Questa mattina Donata, anche lei in Congo con Vittorio, ha scritto: “lo hanno ucciso. Diranno di tutto: che se l’è cercata, che è colpa di Israele, dei palestinesi o che dei musulmani non ci si può fidare… Vittorio non lo avrebbe voluto. Vittorio vuole, al presente, che restiamo umani nonostante tutto, che non diamo spazio alla vendetta ma – ed è un ma pesante, che ci diamo da fare concretamente per la giustizia (…) In questi giorni in cui la giustizia è calpestata continuamente, in cui sono troppo pochi quelli che hanno il coraggio della denuncia, mi mancherà Vittorio. Mi chiamava sorellina l’indomito Vittorio”.

Cosa avrebbe voluto, cosa vuole da noi, il nostro fratellino Vittorio? Non sono certo di saperlo. Ma credo che, oltre il dolore, ci chiederebbe di continuare e di riflettere – ognuna/o a suo modo perchè siamo persone diverse – cosa si può fare. Non solo per Gaza assediata e disperata o per la Palestina dimenticata dal mondo. Ma per capire come disinnescare le mille micce accese nei molti conflitti del cosiddetto Medio oriente. Mentre la guerra torna a essere l’unica “opzione” ovunque. Riprendo alcuni ragionamenti che avevo scritto (“Io che abito in Uccidente”) su codesto blog qualche giorno fa.

Non abbiamo neppure il coraggio di contare le guerre che si susseguono. Molte/i non le chiamano neppure guerre e così credono di avere risolto il problema. (…) Io ho la libertà, in Italia, di stare con Bersani, con Berlusconi, con Fini o con Casini. O con due-tre di questi per volta. O di scegliere quest’anno uno di loro e poi, fra 11 mesi, di votarne un altro. Mi è però vietato di dire (o forse pensare) che l’Italia potrebbe risanare il territorio oppure costruire scuole, ospedali, case popolari con i soldi che spende in armi; i 4 detti prima sono concordi nel non farmelo dire. Ancora più vietato è mettersi in marcia verso la verità che Gunther Anders espresse così: “L’industria non produce armi per le guerre ma guerre per le armi”. In queste riflessioni citerò un solo libro e mi piacerebbe che chi sta leggendo lo recuperasse: si intitola “Dizionario critico delle nuove guerre” e Marco Deriu lo ha scritto (per la Emi). In un paio di presentazioni ricordo di avere incontrato pacifisti arrabbiati con Deriu perchè il suo discorso di fondo – la guerra è un “fatto sociale totale” e noi siamo immersi nel suo immaginario come nelle sue regole – faceva risultare vano il loro quotidiano impegno.

Pochi giorni fa, sempre in blog, ho segnalato (“Armi, chi paga?”) che il 12 aprile è LA GIORNATA MONDIALE DI AZIONE CONTRO LA SPESA MILITARE.

Se la parola “azione” ha un senso…io chiedo a voi (e a me stesso): che cosa posso-possiamo fare il 12 o il 13 aprile? o cosa abbiamo fatto ieri? ci stiamo preparando per una azione? Può bastare (per chi lo ha già fatto) spostare i risparmi – pochi o molti – da una banca armata a un’altra che non sostiene export militare e/o dittature?

Ho scritto che nel mio personale bilancio ho pochissimo da inserire. In pratica solo un po’ di lavoro informativo e avere (da anni) i miei – pochi ahimè – soldi in Banca Etica e su Mag-6 invece che nelle banche (normalmente) armate. Purtroppo non posso aggiungere, come in passato, che “non dò il voto a partiti che sostengono operazioni militari travestite da missioni umanitarie” perchè in una delle ultime votazioni mi affidai a Rifondazione e, come sapete, è grazie alla maggioranza di quel partito – e ad altri “pacifi-N-ti” – se in Afghanistan i soldati italiani uccidono (e a volte sono uccisi).

Ritorno, dopo l’assassinio di Vittorio, con le stesse domande, rivolte a me e ad altre/i disposti ad ascoltarle e che le possono capire (dubito che per esempio il gruppo dirigente del Pd capisca di cosa sto parlando ammesso che abbia il tempo per occuparsi di “coglioni” come noi).

Se ci chiederanno “un minuto di silenzio” invece parleremo? Diremo in primo luogo che bisogna sostenere subito la Freddom Flottilla 2? E ci organizzeremo per farlo?

Diremo i nomi delle banche armate in Italia? E dei media, delle fondazioni, dei leader politici collegati a quelle banche e dunque a quelle armi? Diremo dove e chi in Italia costruisce strumenti di morte? E insieme ragioneremo su come sabotare armi, banche e politici annessi?

Restiamo umani, come ha sempre chiesto Vittorio. Ma per farlo davvero dobbiamo chiederci: cosa sto facendo e cos’altro posso fare?

Ciao Vittorio e grazie. Cercheremo di restare umani.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

24 commenti

  • Grazie, Daniele. Ti sei spiegato, per chi vuole intendere.
    Il mio grazie sempre a Vik.
    clelia

  • Grazie Daniele, un bellissimo e commovente ricordo di Vittorio Arrigoni. Continuiamo tutti assieme a sabotare chi produce strumenti di morte e politiche di guerra

  • veronica zegarelli

    grazie DB. Il minuto di silenzio può anche starci, ma non bisogna mai tacere sulle ingiustizie che avvengono e dobbiamo sostenere con forza la Freedom Flotilla 2. Il 14 maggio c’è la manifestazione a Roma.
    Un pensiero a Vik.
    Veronica

  • grazie grazie grazie

  • Devo aggiungere qualcosa. Mentre finivo di scrivere ho tentato di inserire il traduttore automatico (non so l’inglese) per tradurre questo messaggio di Cindy Corrie, la madre di Rachel – millitante dell’ISM, come Vittorio – che fu uccisa da un bulldozer israeliano il 16 marzo 2003 mentre cercava di opporsi all’abbattimento abusivo di una casa palestinese.

    Ma per un mio errore non ho tradotto il messaggio e anzi ho cancellato il punto in cui parlavo di Rachel e di sua madre. Ora vado sul testo e correggo ma volevo dar conto di questo mio errore e soprattutto dell’omissione del nome di Corrie che è invece importante… e non solo per parlare di coraggio ma anche delle censure dei sedicenti grandi media (db)

    Date: 2011/4/15
    Subject: Re: Vik
    To: luisa morgantini
    Luisa,
    My heart is breaking. I met Vik in Gaza in 2009 and have had short correspondence with him. I wrote to him last night, actually, before I knew he had been killed. I had to hope that he would survive to see that we were thinking of him and willing him to safety. From all I know, he was brave,
    devoted, warm, gentle and wonderful. I am so sad and so sorry.
    I’m thinking of you this morning, of all of our Italian friends, and of all connected to ISM as I try to absorb this cruelty.
    At the moment, reaching out to friends seems the only thing to do. We are in Haifa for the trial in Rachel’s case and headed today to Bethlehem. If there is any way for us to be of help, please let me know.
    My love to you and to all who mourn,
    Cindy

  • Giuliano Bugani

    Grande Daniele, bellissimo e puntuale quello che dici. No, non staremo in silenzio. Per Vittorio. E per tutti noi, che verremo dopo di lui.

  • In questi casi si resta davvero senza parole. Posso solo dire grazie a Daniele e Donata per i loro ricordi appassionati e grazie a Vittorio Arrigoni per averci raccontato su blog, libri e giornali la vita quotidiana dei palestinesi.

  • Grazie daniele. Ti abbraccio

  • E’ la prima volta che incontro un tuo scritto così, privo della benché ombra di “scherzo”. Il dolore che esprimi spezza le pupille di chi legge. Ma non è resa, no, è il contrario. Pochi, in questo nostro stolto Paese, oggi possono permettere all’aria di posare il nome di Vittorio sulle proprie lingue senza patina. Ti abbraccio, oggi tu tanto umano, costretto a coprire i tuoi sogni extraterrestri.

  • Milena Patuelli

    traduco il messaggio della madre di Rachel
    “Ho il cuore in pezzi. Ho conosciuto Vik a Gaza nel 2009 e ho avuto una breve corrispondenza con lui. Gli ho scritto la scorsa notte, prima di apprendere che era stato ucciso. Speravo sarebbe potuto sopravvivere per sapere che stavamo pensando a lui e lo volevamo in salvo. Vittorio era coraggioso, instancabile, appassionato, gentile, e meraviglioso. Sono cosi’ triste e addolorata. Il mio pensiero è con te, con tutti i nostri amici italiani, e tutte le persone legate all’ISM, mentre cerco di affrontare questa crudeltà.
    In questo istante, appoggiarsi agli amici sembra l’unica cosa che sia possibile fare. Siamo a Haifa per il processo di Rachel e siamo andati oggi a Betlemme. Se possiamo essere di aiuto in qualche modo, fammi sapere.
    Un abbraccio a te e a tutte le persone in lutto, Cindy”

    Con dolore, Milena

  • Ho scordato la parola “minima” prima dell’ombra. Non era necessaria, in fondo. “minima” è pochezza.

  • Abbiamo paura. Qui a Gaza abbiamo paura di essere incarcerati, picchiati, torturati, bombardati, uccisi. Abbiamo paura di vivere, perché dobbiamo soppesare con cautela ogni piccolo passo che facciamo, viviamo tra proibizioni di ogni tipo, non possiamo muoverci come vogliamo, né dire ciò che vogliamo, né fare ciò che vogliamo, a volte non possiamo neanche pensare ciò che vogliamo perché l’occupazione ci ha occupato il cervello e il cuore in modo così orribile che fa male e ci fa venire voglia di piangere lacrime infinite di frustrazione e rabbia! Non vogliamo odiare, non vogliamo sentire questi sentimenti, non vogliamo più essere vittime. BASTA!

    Basta dolore, basta lacrime, basta sofferenza, basta controllo, proibizioni, giustificazioni ingiuste, terrore, torture, scuse, bombardamenti, notti insonni, civili morti, ricordi neri, futuro orribile, presente che ti spezza il cuore, politica perversa, politici fanatici, stronzate religiose, basta incarcerazioni! DICIAMO BASTA!

    Così una testimonianza raccolta da VITTORIO ARRIGONI e intitolata “Siamo giovani dai cuori pesanti”. Andatevela a rileggere.

    Alcune persone mi rivolgono domande politiche (su quel che succede in Palestina) alle quali non so rispondere. Sono sicuro però che insieme alla solidarietà con chiunque sia oppresso la nostra lotta – alle fabbriche che producono guerre e dunque generano mostri – noi dobbiamo (dovremmo…) farla ogni giorno, nei luoghi dove viviamo. E in Italia purtroppo non mancherebbero fabbriche da sabotare e criminali da bloccare…. se decidessimo di organizzarci e farlo davvero. (db)

  • Fabrizio Melodia

    Mi unisco al dolore e allo sconcerto per Vittorio.
    Vi sono vicino.
    Con dolore

    Fabrizio

  • eugenio melandri

    Grazie, Daniele. Mi hanno chiesto una piccolissima testimonianza su Vittorio in Congo per il TG1. Ho raccontato proprio l’episodio dei piercing e dei tatuaggi. E’ indicativo del ripseeto con cui Vittorio si avvicinava alle persone. Resta un grande seme di olibertà gettato nel solco di questa storia difficile. Ma è proprio questo seme, come quelli gettati da tanti altri che hanno saputo dare la vita, a continuare a reggere la nostra speranza.

  • Cerco parole adatte, ma ancora non le trovo. Mando un abbraccio a chi l’ha conosciuto e per questo soffre doppiamente. Condivido il dolore di tutti gli altri che, pur sapendo di lui solo in questa tragedia, sono davvero in tanti a piangerne la scomparsa. Questa ultima cosa è una eredità che non possiamo sprecare.

  • Erminia, socia MAG6

    Daniele, grazie per quello che hai scritto su Vittorio e su quello che si dovrebbe fare in concreto per sostenere le nostre idee pacifiste. Martedì leggerò le tue considerazioni ai miei studenti di 4^ liceo ai quali oggi ho fatto “conoscere” Vittorio, attraverso il suo appello a Saviano sullo Stato di Israele (ottobre 2010).
    Sono convinta che possa essere una buona semina: hanno 18 anni e ancora la voglia di credere in un mondo migliore!
    Condivido in pieno le parole di Marco e vi abbraccio tutti.

    • ringrazio Erminia
      mi piacerebbe che qualcuna/o di questa quarto liceo dicesse la sua in codesto blog a proposito di quel che ho scritto: magari scrivesse “non capisco”, “ma così si perde la vita e basta” o “idiozie”; tutto è meglio del silenzio che ci opprime.
      Vado ogni tanto nelle scuole e, per quel poco che riesco a capire in così brevi incontri, trovo zombies e cinici (come ovunque) eovviamente ma anche ragazze/i con una gran voglia di capire, di essere felici e di un futuro. Capire, essere felici, sognare un futuro: quando ero piccolo (avevo 20 anni giusto nel ’68) tante/i di ogni età erano uniti intorno a questi tre desideri.
      Oggi poche/i.
      Ma la speranza non muore
      Continuo a crederlo
      Anni fa quando ero un giornalista (quasi) per bene, il mio direttore mi chiese un pezzo di prima pagina, insomma un editoriale; rimasti stupito perchè ero una “pecora nera” ma ovviamente lo scrissi. Dovevo commentare un delitto in Gran Bretagna. Dopo quasi 20 anni mi sfuggono i particolari della vicenda ma sicuramente si trattava di due minorenni (uno dei due addirittura undicenne, se la memoria non mi tradisce) che avevano ucciso – per motivi “futili”, come si dice – un bambino. Io scrissi che, come tante altre persone, ero inorridito ma che dovendo fare un commento e dunque cercando di riflettere mi sentivo di essere ottimista: perchè se davvero la natura di noi umani fosse crudele allora non una ogni tanto di queste tragedie dovrebbe succedere ma la regola sarebbe averne tante e ogni giorno: specie se si considera il quotidiano pessimo esempio degli adulti; sì certo troppa violenza in tv (come ripetono i moralisti) ma siamo educati anche in una pretesa normalità delle guerre e degli eserciti, della ingiustizia nei rapporti umani e sociali (i moralisti su questo si distraggono). E allora in un giorno così tragico mi sembrava che si potesse essere ottimisti. Un collega mi disse che avevo voluto fare “l’anticonformista” a ogni costo, scrivendo l’opposto di quello che tutti gli altri sentivano. Ma io la pensavo così. E nonostante tutto continuo a pensarla così. Il mondo potrebbe anche essere peggiore se non ci fosse così tanta gente che lotta conto le ingiustizie. Certo potrebbe essere MOLTO migliore se fossimo di più a impegnarci. (db)

  • Lo copio e incollo sul mio blog – non mi sento di aggiungere nulla a quel che dici.

  • RICEVO (da amici sardi) E INCOLLO QUI

    cari amici
    Pino Cabras chiede di non lasciare solo Giulietto Chiesa a difendere la memoria di Vittorio Arrigoni:

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/15/arrigoni-un-eroe-del-nostro-tempo/104705/

    La commemorazione dI Giulietto Chiesa su Vittorio Arrigoni nel suo blog su Il Fatto è stata sottoposta nei commenti a un attacco concentrico che mi appare in tutta evidenza organizzato, fra calunnie, menzogne, insulti, provocazioni, finti amici che dicono frasi antisemite, ecc. Certi apparati la guerra la combattono anche così, e vi dedicano risorse ingenti. Se potete, vi chiederei di intervenire, almeno per non dar loro partita vinta.
    Ciao, Pino
    HO LETTO QUELLO CHE HA SCRITTO GIULIETTO CHIESA E MI SEMBRANO PAROLE SAGGE, FUORI DALLE IPOCRISIE E MENZOGNE CHE CONTINUANO A CIRCOLARE. Segnalo che ieri su “il manifesto” la madre di Vittorio ha scritto: “questo figlio perduto ma così vivo come forse non lo è stato mai, che come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi”. Aggiungo che sta a ognuna/o di noi aiutare questi frutti a crescere. (db)

  • Fausto Spegni

    Quando muore qualcuno che si conosce, di cui si conosceva la passione per una causa, si soffre per la sua scomparsa. Sono pezzi di noi che se ne vanno e che non torneranno. Perché penso che viviamo non solo la nostra vita, ma anche attraverso quella di altri, pochi o molti che siano, con cui abbiamo condiviso momenti, ideali, passioni. Ognuna di queste morti, ma anche di semplici sofferenze, è un po’ una nostra stessa morte, una nostra stessa sofferenza. Ma questo non accade solo quando c’è una totale condivisione di ideali. Càpita anche quando la persona che soffre o scompare ha saputo comunque conquistarsi il nostro rispetto.
    Restare umani, anche di fronte al peggior comportamento umano. Il boia e la sua vittima sono comunque esseri umani. Fortunatamente, prevale il buon comportamento. Fortunatamente notiamo che la normalità non è la malvagità, il male, ma il suo contrario. Spiegare ad un bambino che le notizie giornalistiche informano sul male che accade perché fa eccezione di fronte alla normalità del bene. E’ vero che troppe volte abbiamo la banalità del male, ma è anche vero che questa è il frutto di continue, pervicaci e troppo spesso inosservate violazioni di quel vivere comune per cui la vita è umana nel miglior senso della parola.
    Il pensiero su coloro che se ne vanno o che se ne sono andati, quasi mai si sofferma sugli ultimi momenti vissuti in prima persona. Non nascondiamoci, abbiamo paura di queste riflessioni e non perché, giustamente, non possiamo impadronirci di supposti pensieri altrui, ma perché sono i nostri di pensieri che ci fanno paura.
    Tutti noi ci siamo trovati, per lo meno ad una certa età, di fronte alla possibilità di morire. Non so se è vero che si ripercorre tutta la propria vita, ma è vero che, se se ne ha il tempo e la coscienza, ci si domanda se ce ne andiamo in relativa pace, non solo per quanto riguarda affetti e per qualcuno, anche i debiti, ma in pace perché i propri obiettivi sono stati non dico raggiunti ( per chi ha ideali veri, gli obiettivi sono sempre ben lontani dall’essere raggiunti ) , ma almeno riconosciuti e rispettati.
    Se io fossi stato – e per fortuna non lo sono stato – nei panni di uno che si è battuto, e con che passione, per la gente di Gaza, trovandomi in quella indicibile situazione sarei stato frastornato tra l’essere visto addirittura come nemico tale da meritare la morte ad opera proprio di coloro dei quali pensavo di aver difeso la causa umana, con conseguente mia disperazione e la speranza di ascoltare da uno dei boia la rivelazione che si trattava in realtà di un complotto israeliano per eliminare un pericoloso testimone, un organizzatore di clamorose flottiglie. Complotto non impossibile come ci dice la storia di tanti complotti posti in essere da servizi più o meno deviati. Non impossibile, anche se io lo ritengo improbabile. Ma avrei avuto soprattutto il sospetto di morire, soffrendo anche fisicamente, senza che dietro ci sia alcuna razionalità. Una sconfitta atroce, dunque. E irrimediabile. A quel punto vorrei aver perso i sensi già prima di cominciare a pensare.
    E il pensiero mi va ora a quante volte non pesiamo le parole, i concetti, parlando con altri che possono anche essere, appunto, non abituati a pensare alla complessità delle cose, alle conseguenze delle parole, che sono sintesi di fatti.
    Sono molte, quindi, le ragioni, per cui vedo questa morte non solo come la fine di una vita, ma come una serie di sconfitte di molti di noi di cui occorre analizzare le cause. Sit tibi levis terra.

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