Coop: lavoro a turni, distress e diritti negati

di Vito Totire (*)

«La Coop sei tu»? Si delinea il rischio dello sdoppiamento di personalità?

Uno degli slogan storici più riusciti della Coop va in crisi. se «La coop sei tu» ci troviamo di fronte a una proposta masochista o a uno sdoppiamento di personalità definitivo fra padron-cooperativa e lavoratore-socio. Cosa ha provocato questi gravissimi “disturbi” ?

Ovviamente per comunicare e per intenderci dobbiamo andare al nocciolo del problema che è rappresentato dalle recenti proposte in materia di «organizzazione del lavoro».. Le motivazioni della Coop sono certamente economiche e politiche così la risposta sistemica e definitiva che spetta a lavoratori e lavoratrici.

Secondo fonti attendibili (il blogger ecologista Davide Fabbri e la Filcams Cgil) Coop vorrebbe proporre alcune significative modifiche nella organizzazione del lavoro. Gli effetti di ognuna di questa modifiche sono pesanti sul piano fisico, relazionale e psicosociale e ricadrebbero in maniera nettamente negativa su lavoratrici e lavoratori come sulle loro famiglie. In condizioni di distress non solo i lavoratori subirebbero un danno ma gli effetti negativi ricadrebbero anche sui soci/clienti: non solo per la pretesa di certe organizzazioni che chi lavora “affetti e offra le fette di prosciutto sorridendo” (lo abbiamo sentito dire in questi anni bui del lavoro precario) ma perchè al di là dei sorrisi – più o meno stereotipati – è chiaro che i clienti (dai quali ci aspettiamo una spontanea solidarietà contro la “riforma”) si rapporterebbero con lavoratori e lavoratrici in condizioni di distress e demotivazione fino al burn out. Per inciso ricordiamo che è inquietante constatare che ormai assistiamo a una “offerta psichiatrica privata” per la gestione del burn out lavorativo.

Lavorare sotto stress rende comunque più difficili e complicate le relazioni. Si tratta di condizioni che facilitano sia la compromissione dello stato di salute che i rischi di infortunio e di errore. Come sottolinea la «Dichiarazione del Lussemburgo» una forza lavoro “motivata” è la migliore premessa per difendere la prevenzione della salute: se chi lavora non è sereno tutto può evolvere molto negativamente.

Le proposte avanzate da Coop giungono nel momento peggiore possibile: i lavoratori sono reduci da due anni di sofferenza particolarmente intensa per le condizioni che hanno dovuto subire.

Tempo fa abbiamo lanciato alcune proposte (ancora valide) inascoltate dai vertici e dal “palazzo”. A fronte di cippi commemorativi, monumenti, cerimonie religiose, ipotesi di premi Nobel, concerti alla memoria eccetera (iniziative rispettabili e spesso sincere espressioni di sofferenza) abbiamo fatto altre concrete proposte: ergonomia, AUMENTO DELLE PAUSE (ALTRO CHE ELIMINAZIONE DELLA RETRIBUZIONE), miglioramento degli spazi, del ricambio d’aria e della illuminazione. Ma anche maggiorazione pensionistica perchè lavorare otto ore al giorno con la mascherina aumenta fortemente il peso dello “spazio morto respiratorio” dunque provoca più fatica e distress. PER QUESTO RITENIAMO CHE AI LAVORATORI DEBBA ESSERE RICONOSCIUTA UNA MAGGIORAZIONE PENSIONISTICA (2 ANNI COVID DIVENTEREBBERO TRE ANNI). E’ lo stesso iter che fu adottato nel 1992 per l’amianto; in quel caso con la barriera minima di tre anni.

 

Veniamo alla questione odierna.

Le ipotesi avanzate dal padrone-Coop dismettono le vesti amichevoli di una organizzazione “amica” dei lavoratori – o del datore di lavoro olivettiano (ci sarebbe molto da dire!) – per mostrarsi come un padrone tradizionale:

  • Programmazione e prevedibilità dei turni a breve scadenza (solo una settimana): una simile scelta complica la vita e le relazioni sociali in quanto impedisce la programmazione e la gestione delle attività extralavorative oltre l’angusto termine settimanale
  • Turni di notte anche nei reparti chiusi: il lavoro notturno è stato classificato dalla IARC un fattore di rischio cancerogeno (Iarc 2 A) con numerosi organi bersaglio sia per gli uomini che per le donne; un lavoro a turni che includa anche le notti è considerato dalla comunità scientifica un fattore di rischio che favorisce o concausa il diabete di tipo 2; in verità le prime rivendicazioni della abolizione del lavoro notturno “per ragioni umanitarie” coincidono con la nascita delle leghe operaie alla fine dell’800! Vi è, a questo riguardo, una significativa storia che riguarda i fornai di Bologna
  • Turni minimi di tre ore massimo di 8; questo è un punto che, in termini di consensualità, può essere gestito
  • Se “spezzati” turni per minimo 6 ore e massimo 10: proposta altamente critica anche perché occorre valutare l’entità della pausa intermedia coatta e comunque 10 ore sono sempre troppe (vogliamo tornare indietro persino rispetto al 1800?)
  • Eliminazione pause retribuite: proposta assurda in generale, “provocatoria” in questa fase di long covid. Le pause sono un indispensabile rimedio organizzativo rispetto ai carichi (differenti qualitativamente e quantitativamente da comparto a comparto) e una valvola di sfogo fisiologica per attenuare il peso fisico e psichico del lavoro, tanto più se monotono, ripetitivo, alienante o pesante fisicamente. Nella storia l’unica esperienza lavorativa senza pause è quella schiavistica. La pausa deve essere retribuita perché oltretutto migliora le performaces lavorative. Abolire la retribuzione delle pause significa collocarsi non più nel campo della gestione delle risorse umane ma nel campo dello sfruttamento. Le pause retribuite entrano nella dinamica della prevenzione del distress che si fonda sul buon equilibrio carico-autonomia-ricompensa (le pause retribuite rientrano in questa terza “voce”: abolendole va a rotoli l’equilibrio fra i tre fattori citati)
  • Obbligo di turni domenicali: proposta grave che negherebbe il diritto a serene relazioni familiari e sociali con effetti negativi indubitabili, che sono stati purtroppo misurati; in Germania, nel corso di una grave crisi industriale dalla quale si ritenne possibile uscire con l’imposizione di turni di lavoro continuati (24/24 ore) i sociologi elaborarono la immagine della «famiglia in cui si comunica attraverso i bigliettini attaccati sul frigorifero»; la desincronizzazione di orari e turni causò gravi disturbi e difficoltà nella comunicazione tra coniugi e fra genitori e figli; dobbiamo contrastare il ripetersi di simili eventi dolorosi e negativi per tutti
  • Orario spezzato: con proposta 5.30-8.30 e 11.30-15.30; decenni fa a Bologna le commesse di negozi del centro manifestarono in strada con un cartello – vedi qui sotto – che diceva «orario spezzato, vita spezzata»; una denuncia più chiara di tante analisi sociologiche o sindacali; gli orari proposti “spezzano la vita” a tutti e in particolare a chi ha carichi sociali e familiari (i famosi caregivers a cui tutti paiono pronti a concedere medaglie simboliche); dover poi raggiungere il posto di lavoro due volte in un giorno comporterebbe un impatto anche ambientale ed economico in termini di trasporti e sarebbe quindi nocivo per tutti e non solo per lavoratori e lavoratrici.

 

Nasce il sospetto che per elaborare simili proposte Coop abbia utilizzato un manuale per la prevenzione del distress lavorativo proponendo punto per punto quello che bisogna EVITARE.

Occorre guardare con attenzione a quello che si muove nella coscienza dei lavoratori: da molti mesi ormai sociologi ed economisti fotografano un nuovo fenomeno che è stato definito quitting. Lo possiamo considerare una ridotta tolleranza a cattive condizioni di lavoro con tendenza a licenziarsi anche se si hanno prospettive occupazionali incerte. Si ritiene che questa tendenza sia stata condizionata anche dalla riflessione collettiva sulla precarietà della vita che la pandemia ha generato.

Oggi burocrati e istituzioni promettono “una logistica etica” o una “economia turistica etica” … ma l’etica non doveva da sempre essere alla base del modo di lavorare invece che essere invocata solo a fronte di ricorrenti stragi e a fenomeni diffusi di schiavismo?

DIRE ETICA DEL LAVORO E SALUTE PSICO-FISICA SIGNIFICA – E SIGNIFICHERA’ SEMPRE – LA STESSA COSA.

La resistenza di chi lavora in Coop è in perfetta sintonia con altre iniziative dei lavoratori come lo sciopero dei ferrovieri della CARGO previsto per il 5-6 maggio (è il terzo nel corso del 2022) che verte essenzialmente sulla rivendicazione di una organizzazione del lavoro che rispetti la “fisiologia umana normale” e non usi i lavoratori come macchine da usurare senza remore.

Solo i lavoratori uniti possono difendere la salute contro il profitto a tutti i costi.

QUESTO DOCUMENTO E’ STATO ELABORATO A SEGUITO DEL “GRIDO DI DOLORE” DI DAVIDE FABBRI – cfr Se anche Coop calpesta i diritti – BLOGGER INOSSIDABILE DI CESENA

(*) Vito Totire, medico del lavoro e psichiatra, portavoce della «Rete europea per la ecologia sociale»

BIBLIOGRAFIA MINIMA

– Guida europea per la prevenzione del distress lavorativo , UE 1999

– Vito Totire, Lavoro a turni e salute, comunicazione al convegno ORSA ferrovieri del 2018

Altri contributi di Totire su ergonomia ai tempi del Covid sono reperibili in questo blog.

LE DUE VIGNETTE – scelte dalla “bottega” – SONO DI MAURO BIANI.

 

Redazione
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