Corcovado
Corcovado (*)
regia
Luigi De Angelis
coreografia
Michele Di Stefano
interpreti
Lorenzo Gleijeses
Manolo Muoio
Spettacolo surreale, iperreale, graffiante, a tratti demenziale, a tratti sorprendente e imprevedibile dove l’imprevisto strappa la risata malgrado la situazione potrebbe essere tragica: un umorismo amaro alla Magritte. È tutto questo la performance di cui stiamo parlando e forse molto di più.
Sul palco è montata una falsa parete su cui si apre la bocca sfrangiata della buca da cui escono i bagagli negli aeroporti dopo l’atterraggio.
Sul nastro trasportatore che si srotola lungo lo spazio scenico vengono riversati, vomitati, i troller prontamente raccolti da un addetto che si alza dalla sua sedia collocata di lato e li sistema disordinatamente in un angolo. Entra un passeggero (interpretato dallo stesso regista), aspetta di veder arrivare la sua valigia, la prende e se ne va.
A questo punto sbuca dall’apertura un uomo
in canottiera e pantaloncini, ginocchiere e scarpe da atleta, dalla figura avvitata su stessa; una posa a spirale, le braccia aperte, la testa rivolta in direzione opposta a quella del corpo, lo sguardo stralunato:
è stato sputato fuori sul nastro però quando arriva alla fine del percorso invece di rovinare sul pavimento, viene risucchiato all’indietro e sparisce dietro l’apertura da cui era stato sospinto. E poi escono ancora disordinatamente valigie ma si aggiungono oggetti di ogni tipo. A un certo punto dalla buca vengono lanciate decine di palle e palline insieme a una palla a forma di mondo, degli ananas, skate, sci e ancora l’uomo-viaggiatore che ha cambiato foggia e ora indossa giacca, camicia e pantaloni; poi resta risucchiato di nuovo, bye bye. Arrivano le valigie, l’inserviente le raccatta; e poi l’uomo-viaggiatore stavolta di nuovo in canottiera e pantaloncini con in mano una specie di piumino-scettro del comando,
o bacchetta da direttore d’orchestra,
che presenta al pubblico scorrendo lungo la passerella
lasciandosi poi docilmente risucchiare come per una vecchia e irrinunciabile abitudine.
Si potrebbero avanzare varie ipotesi sul significato simbolico di questi rovesciamenti e risucchi: potrebbero rappresentare l’uscita dall’utero e quindi il trauma della nascita, i gorghi in cui ti trascina a volte la vita, ma innanzitutto la bocca dell’inferno che sono ormai gli aeroporti, con i loro rituali sempre uguali, che ingurgitano e rigurgitano merci di ogni tipo fra cui anche gli esseri umani. È emblematico infine il riferimento al Corcovado e al Cristo Redentore, al quale rimanda in modo dissacrante la figura piumata nelle cui spoglie si presenta Gleijeses verso il termine della performance accanto al piumino-scettro-bacchetta: le nuove grottesche divinità.
A conclusione della performance l’addetto ai bagagli – che finora sembrava una figura rassicurante e fuori dalla mischia – nel tentativo d’imitare il viaggiatore che gli sembra rappresenti il potere viene inghiottito anche lui inesorabilmente dalla buca sputa-risucchia infernale.
(*) Si chiama Corcovado la montagna situata al centro di Rio de Janeiro, nel parco nazionale, nota in tutto il mondo perché sulla sua cima si trova la statua del Cristo Redentore.
https://triennale.org/eventi/corcovado
Susanna Sinigaglia