Così disse Tuono Che Rotola Dalla Montagna

Un ricordo di Capo Giuseppe (dei Nasi Forati) come forse lo proporrebbe lui se potessimo intervistarlo nei pascoli di Manitù

  «Sono stanco di combattere, i nostri capi sono tutti caduti, Looking Glass è morto, Toolhulhulsote è morto. Tutti gli anziani sono morti. Ora i giovani diranno sì o no. Quello che guidava i giovani è morto. È freddo e non abbiamo coperte. I bambini muoiono di freddo. Alcuni della mia gente sono fuggiti sulle montagne e sono senza coperte e senza cibo. Nessuno sa dove questi siano, forse stanno morendo di freddo. Vorrei aver tempo per cercare i miei bambini e vedere quanti ne posso ancora trovare. Forse li troverò fra i morti. Ascoltatemi, capi! Sono stanco, il mio cuore è malato e triste. A cominciare da dove ora è il sole, io non voglio più combattere». Con queste parole, mi arresi al generale Howard, dopo essere stato inseguito da 4 divisioni dell’esercito USA per quasi tremila chilometri. Alle porte del Canada, dove siamo stati massacrati, contai 87 guerrieri, 184 donne e 147 bambini. Era il 30 settembre 1877. Mio padre, conosciuto come Giuseppe il Vecchio, si era convertito al cristianesimo e, oltre a prepararmi come guerriero, mi insegnò la pazienza e il rispetto per gli altri. Quando lui morì e io diventai il capo dei Nasi Forati, nonostante il mio vero nome fosse Tuono Che Rotola Dalla Montagna, tutti mi chiamarono Giuseppe. Avevamo concluso un trattato con i bianchi per stare in una riserva ma, come al solito, i capi USA cambiarono idea e vollero mandarci in un’altra parte, per permettere a gruppi di senza legge, che loro chiamavano coloni, di rubarci la terra. Mi ribellai: con 300 guerrieri, donne e bambini cercai di raggiungere il Canada, dove non saremmo più stati merce di scambio. Volevo essere un uomo libero: libero di viaggiare, libero di fermarmi, libero di lavorare, libero di commerciare, libero di scegliere i miei maestri, libero di seguire la religione dei miei padri, libero di pensare, di parlare e di agire da solo.

Noi abbiamo inventato l’asilo nido e la scuola dell’infanzia. Infatti, il bambino appena svezzato veniva affidato alle donne della tribù. In questo modo imparava, da subito, a vivere in gruppo. Da noi essere il capo o lo sciamano non genera onori ma soprattutto oneri. A chi mi chiede perché sia contrario alla costruzione di scuole, rispondo che esse portano poi all’edificazione delle chiese, dove si insegna a litigare su Dio, come i cattolici e i protestanti. Anche noi, nativi americani, litighiamo ma su problemi di questa terra, mai su Dio. Anche noi, nativi americani, facciamo le guerre e succede che siamo crudeli, ma è sufficiente che il nostro nemico si metta “a pancia in su” perché cessino le ostilità.

Da noi, non esiste la proprietà privata, la terra è madre di tutti e ama tutti nello stesso modo. Ma ci è stata sottratta con la forza, l’inganno, i trattati non mantenuti e l’annientamento.

Per noi non c’è giorno della memoria, non serve, perché siamo stati cancellati. Dalle verdi praterie di Manitù osservo, con tristezza e impotenza, che i nostri carnefici sono considerati i paladini della libertà, anche se continuano nel loro sporco gioco di distruggere le differenze che trovano sulla loro strada. Adesso hanno scoperto l’espediente della guerra umanitaria. Raccontano le fiabe dei ghiacciai in fiamme, degli angoli segreti delle case rotonde, dei venditori di ghiaccioli ai poli e dei commercianti di pellicce all’equatore. E tutti ci credono, nessuno ha il coraggio di gridare che gli Stati Uniti d’America sono l’unica nazione al mondo che sia nata dal genocidio di un intero popolo.

Sino alla fine della mia vita ho cercato la mediazione, la pace e la pacificazione e ho parlato al Presidente dei bianchi dicendo: «Se non mi è permesso tornare nella mia patria, fatemi vivere in un Paese dove il mio popolo non muoia così rapidamente. A causa dei bianchi, non possiamo continuare a vivere come abbiamo fatto finora. Chiediamo solo di avere la possibilità di vivere come le altre persone. Pretendiamo di essere riconosciute come persone. Chiediamo che la stessa legge sia applicata nello stesso modo per tutte le persone. Se un indiano infrange la legge, la legge lo punisce; se è un bianco a infrangere la legge venga ugualmente punito! Lasciate che io sia un uomo libero, un uomo che si possa muovere liberamente». Non c’è stata nessuna risposta fino alla mia morte.

Dalle verdi praterie di Manitù, ho visto centinaia di film in cui siamo descritti come brutti, sporchi e cattivi, come bestie ululanti che non sono in grado di parlare, stupratori di donne. Noi ostacolavamo il progresso. Non era stato sufficiente distruggerci fisicamente ma bisognava sputare anche sulla nostra immagine, dissacrare la nostra storia, perché solo in questo modo “l’umanità” sarebbe andata avanti cioè i carnefici e i loro figli si sarebbero illusi di aver fatto il giusto e che l’eliminazione delle nostre donne e dei nostri bambini era una cosa necessaria. Tutto questo in nome di un progresso che si è espresso con le bombe su Nagasaki e Hiroshima, con i defolianti nel Vietnam, con le carceri segrete in cui la tortura è consuetudine quotidiana, con i colpi di Stato contro i nostri fratelli dell’altra America, con…

Povero uomo bianco, non hai ancora capito che è tuo tutto ciò che chiunque può prenderti senza portarti via nulla, e non tutto ciò che deve essere difeso con recinti, filo spinato e armi. Povero uomo bianco non hai ancora compreso che noi siamo spiriti viandanti, che stanno compiendo un viaggio nel mondo materiale.

L’IMMAGINE qui sopra è di Energu: apparve in bottega – qui Scor-data: 21 settembre 1904 per ricordare la morte di Capo Giuseppe. La copertina (sotto) rimanda invece al bellissimo romanzo “L’ultima frontiera. La lunga marcia dei Cheyenne” di Howard Fast, recentemente ristampato da Odoya: racconta una “lunga fuga” simile – ma persino più tragica forse – a quella tentata da Capo Giuseppe. Per questa s/cor/data grazie a un altro Giuseppe cioè Giuseppe Gallegari il quale però – da tempo – preferisce firmarsi, anche qui in bottega, proprio Chief Joseph. [db]

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega


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