«Cosmoanticapitalismo»

Giuliano Spagnul sul libro di Cobol Pongide

Nel suo recentissimo libro Cosmoanticapitalismo (Novalogos editore, ottobre 2021: 130 pagine, 12 euro) Cobol Pongide cita l’editoriale del primo numero della rivista Un’Ambigua Utopia in cui si afferma che «qualunque proposta di un mondo, di una vita alternativa, è fantascientifica» [nota 1] e a riprova di ciò aggiunge: «altrove, ho sostenuto che Il manifesto del partito comunista è (anche) un libro di fantascienza».

In questo libretto pungente di «critica e conflitto nel tempo della conquista dello spazio» – come recita il sottotitolo – l’autore scienziato, musicista e ufociclista fa un uso della letteratura fantascientifica «in termini di artefatti cognitivi esemplificativi, per ciò che concerne le varie forme di pensiero anticapitalista analizzate». Usare la fantascienza e non esserne soggiogati è un buon punto di partenza per riuscire a vedere quello che, essendo sotto gli occhi di tutti, rischia di passare inosservato, e cioè che le magnifiche sorti e progressive legate alle altalenanti riuscite dell’impresa spaziale si sono rivelate per quello che sono sempre state: impresa, appunto. Una corsa imprenditoriale che guarda allo spazio e al futuro prossimo, ma che ha come obbiettivo immediato nel “qui ed ora sul nostro pianeta” la creazione «di un modello di vita e di lavoro transumanista e multiplanetario».

Difficile non leggere in tutta la miscellanea di esperienze stralunate (ma di certo non più strampalate di tutte le altre esperienze che accettiamo nella nostra quotidianità come logiche e normali) descritte nei vari capitoletti del libro, la costante indicazione assertiva del “qui ed ora”. È di ciò che sta succedendo adesso e proprio qui, nel nostro travagliato mondo, in cui anche «le trasformazioni climatiche e ambientali (Antropocene) che annoveriamo come sciagure coincidono perfettamente con i piani dell’intelligenza collettiva capitalistica accelerazionista e transumanista».

Da qui anche i piani per l’eventuale terraformazione di Marte ricadono nella terraformazione effettiva che ha luogo «qui sulla Terra attraverso mutamenti climatici, virtualizzazione dei rapporti sociali, confinamento della dimensione privata, sviluppo delle IA sociali, svuotamento dei centri urbani, implementazione generalizzata dell’unpleasant design» [nota 2] e così via.

Se «la costruzione di un nuovo mondo somigli davvero all’impresa di insediarsi su un pianeta alieno» è la domanda necessaria da porsi di fronte alla capacità raggiunta di una reale espansione spaziale possibile. Ed è necessaria proprio perché questo “possibile” è compiutamente operante nel nostro arrangiarci a vivere in un mondo sottoposto a un’interazione fra essere umano e ambiente sempre più soggetto a un cambiamento che coinvolge l’uno e l’altro a un ritmo esponenziale sempre più difficile da governare, a livello individuale quanto sociale.

Da qui il continuo interrogarsi dell’autore sui più disparati tentativi che nell’arco dell’ultimo secolo, fino ad oggi, la storia ha bollato come perdenti, falliti o marginali, nel tentativo di cogliere quel qualcosa che riveli possibilità altre da quelle che fino ad oggi ci hanno guidato verso quel muro a cui tutti, anche senza volerlo ammettere apertamente, siamo convinti ormai di andare inevitabilmente a schiantarci.

Per dirla con Primo Moroni, che parlava dal bordo di un «finale d’epoca e di esperienze», non abbiamo più «un “passato” di cui fare risorsa e non ci sono più quindi i “luoghi” della formazione, dell’esperienza che sono stati distrutti, o resi inservibili uno ad uno. C’è invece la tensione verso un altrove, verso nuovi spazi e luoghi che, questa volta, andranno costruiti, inventati senza far ricorso a quanto di già è stato consumato e distrutto». E se conclude osservando quanto sia stato «un compito forse troppo grande per una breve stagione di “movimento”» [nota 3] ora questo stesso compito dalla difficile quanto improbabile riuscita deve doversi considerare possibile, perché impossibile è qualunque altra soluzione che accetti lo stato di cose presenti.

Fantascienza è, allora, leggere al contrario e da altra prospettiva, una storia che si vuole unidirezionale. Rimapparla e risignificarla in un nuovo percorso collettivo umano quanto non-umano come in quel romanzo di Philip K. Dick in cui il protagonista si trova a discutere, per un’impresa da farsi collettivamente, con varie specie aliene tra cui anche esseri dei quali si era cibato in qualche ristorante nel proprio pianeta Terra [nota 4].

Allora con tutti gli alieni possibili – alieni noi stessi – non possiamo che tentare questo grande viaggio che dal «cosmoanticapitalismo critico» ci porti al «cosmoanticapitalismo rivoluzionario» rendendoci cittadini dello spazio. In definitiva: terrestri consapevoli di un cosmo che non ci appartiene ma di cui dobbiamo cercare di essere ospiti graditi.

Nota 1: http://archivio-uau.online/archivio.html

Nota 2: «Detto anche design ostile, è una forma d’architettura, generalmente dispiegata in spazi pubblici, studiata per essere inospitale e scongiurare qualsiasi forma di stanzionamento sia umano che animale».

Nota 3: Intervista a Primo Moroni di Tiziana Villani https://moroniecaronia.noblogs.org/territori-della-trasformazione-e-collasso-dellesperienza/

Nota 4: P. K. Dick, «Guaritore galattico».

Cfr Crew Dragon, Marte e noi con la recensione di Sandro Moiso e alcune riflessioni di db al precedente libro di Cobol Pongide ovvero «Marte oltre Marte. L’era del capitalismo multiplanetario»

 

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