Covid: densità abitativa e povertà fattori di diffusione

di Gianluca Cicinelli

Esistono una geografia demografica e una divisione per ceto precisi nella diffusione della pandemia da Covid, che c’inducono a ripensare al modello sociale che ha prodotto un’accelerazione così impressionante delle differenze di classe e della disuguaglianza. Gli ultimi dati sulla pandemia dimostrano che a pagare il prezzo più alto sono stati i poveri e le classi lavoratrici. Uno studio di Joel Kotkin e Wendell Cox, due ricercatori statunitensi di demografia e futuro urbano, ci permette di ricostruire i nessi sociali della crisi e le sue ripercussioni nelle città in base alle classi sociali. I due hanno elaborato i dati disponibili su scala mondiale, dimostrando che il virus ha causato danni maggiori nelle aree ad alta densità urbana. Un modello che si è rivelato valido sia a New York City che in Europa e in Asia. Il problema non è la densità di per sé, ma piuttosto il grave sovraffollamento associato alla povertà nelle aree ad alta densità. La vicinanza fisica sovraffollata spesso include spazi non sufficientemente ventilati come trasporti pubblici affollati, ascensori e luoghi di lavoro.

Secondo il professor Shlomo Angel, capo del progetto di espansione urbana della New York University, per intervenire sulla diffusione del virus è importante diffondere informazione sui risultati comprovati del rapporto tra virus e densità urbana, sovraffollamento degli alloggi, eventi di massa, circolazione delle automobili, affollamento presso bar e ristoranti per capire quanto la densità abitativa abbia contribuito ad aggravare la crisi. Il contesto in cui ciò è avvenuto non può prescidere dalle problematiche che prima del covid legavano il problema dell’alta densità urbana al processo dei cambiamenti climatici, a indicare che anche dopo la fuoriuscita dal Covid le città e la loro suddivisione demografica andranno comunque ripensate come modello insostenibile. Secondo Shlomo Angel la densificazione di cui avremo bisogno nel post-pandemia consiste quindi nel creare nuovo spazio per le persone nelle città.

Il sovraffollamento che favorisce la diffusione del virus ha portato i governi a imporre blocchi e misure di allontanamento sociale, ma non sempre questi sono risultati efficaci. Se il distanziamento e il lavoro a distanza hanno ridotto rapidamente la mortalità, l’economia ha subito un colpo altrettanto mortale. New York ha perso 500 mila posti di lavoro nel settore privato. I suoi edifici per uffici sono occupati solo al 15 per cento. Il 90% dei ristoranti non è riuscito a pagare l’affitto dello scorso dicembre e 5 mila esercizi hanno chiuso del tutto. L’occupazione nel settore delle arti e dell’intrattenimento della città è crollata del 66%. Infine 300 mila newyorkesi dei quartieri alti hanno cambiato residenza. Questo ha portato allo spostamento delle attività produttive nel modello “cloud”, la nuvola virtuale che ospita i dati delle organizzazioni aziendali, di finanza, affari, marketing tecnologia e consulenza. Il lavoro sul posto è diminuito in favore di quello a distanza con conseguenze sull’impoverimento della popolazione.

Eppure le cifre dimostrano che l’allontanamento e la dispersione sociale si sono dimostrati efficaci nel contenere la diffusione del virus. L’analisi dei due ricercatori mostra che, nell’aprile 2020, il tasso di mortalità nell’area statistica combinata di New York (31 contee economicamente collegate) era sette volte il tasso nazionale. A luglio 2020, il tasso locale era sceso al di sotto del tasso nazionale. Ma il prezzo pagato è consistito nello svuotamento di strade, marciapiedi, edifici per uffici, bar e ristoranti, tutti elementi essenziali per mantenere una città dinamica. La domanda è: cosa accadrà nel futuro delle città dopo la pandemia? Una delle poche certezze è che i lavoratori saranno molti meno rispetto a prima, quando i nuclei urbani inizieranno a tornare alla nuova normalità. I centri urbani, ci dice la ricerca, stanno riprendendo la loro attività molto meno rapidamente di quelli suburbani, extraurbani e di piccole dimensioni. I centri urbani di Londra, Parigi, Berlino, Melbourne, Sydney, Milano e molti altri, hanno subito enormi perdite di occupazione fisica e aumenti nel lavoro a distanza.

Tra settembre 2019 e settembre 2020, quasi il 10% dei posti di lavoro è andato perso nelle grandi città, secondo i dati analizzati dalla società American Communities, mentre le aree rurali hanno subito perdite del 6%. Fin qui i danni della diffusione demografica, ma premono ancora di più quelli relativi alle differenze sociali create dal virus. I quartieri più densi di Manhattan, San Francisco e Los Angeles, i quartieri più ricchi per intenderci, hanno subito tassi di infezioni e decessi notevolmente inferiori rispetto ai quartieri circostanti, altrettanto densi ma popolati da famiglie più povere, che spesso vivono in alloggi affollati e fanno più affidamento sui trasporti pubblici. A Manhattan, dove le famiglie sono più ricche e più piccole, i lavoratori con un reddito più alto avevano molte più probabilità di rimanere a casa e accedere ai servizi online rispetto ai lavoratori dei quartieri più poveri. Al contrario, i tassi di mortalità e ospedalizzazione erano più alti in luoghi periferici come East New York, Brownsville, Flushing e il Bronx. Questi residenti hanno subito la maggiore densità di esposizione: il tasso di mortalità nei poveri a Brownsville, ad esempio, è stato di due volte e mezzo quello di Yorkville nel ricco Upper East Side.

L’Oxfam ha descritto il covid come “il virus della disuguaglianza”. I miliardari sono diventati più ricchi e le disuguaglianze sono aumentate in tutti i paesi. La maggior parte degli economisti dell’Oxfam provenienti da 79 nazioni, prevede che la situazione peggiori, perchè le misure di allontanamento sociale non affrontano due problemi fondamentali legati al virus: il sovraffollamento degli alloggi e l’impossibilità per alcune categorie di lavoratori di lavorare a distanza. Secondo Kotkin e Cox non esiste una soluzione a breve termine che non consista nel ridurre la diseguaglianza sociale, perchè il sovraffollamento degli alloggi è una delle più grandi malattie della povertà. Le lunghe liste nei paesi occidentali legate all’edilizia popolare, a New York come in Europa, i programmi di alloggi a prezzi accessibili, hanno già liste di attesa di anni e non ci sono indicazioni per una rapida soluzione del problema. La carenza di alloggi a prezzi accessibili per le famiglie a basso reddito è peggiorata negli ultimi tempi, producendo una maggiore richiesta di alloggi pubblici. E i lavoratori a basso reddito sono proprio i più colpiti dalla crisi: il 25% dei lavoratori più ricchi ha subito perdite di lavoro trascurabili, mentre quasi il 30% dei lavoratori con salari più bassi ha subito grosse perdite. Un esperto in reti di sicurezza sociale come Martin Kulldorff, professore presso la Harvard Medical School, ha riassunto così l’impatto sociale: “I blocchi hanno protetto la classe dei “laptop”, cioè giornalisti, scienziati, insegnanti, politici e avvocati a basso rischio, mentre ha gettato sotto il bus tutti gli altri.”

C’è un’ultima chiave di lettura che rivela il carattere sociale del covid e riguarda le crisi sanitarie legate alla povertà. Malattie come l’obesità, il diabete e altri disturbi da povertà hanno rappresentato la causa di gran parte dei decessi. Uno studio ha rilevato che il 90% dei decessi mondiali per covid si è verificato in paesi con alti tassi di obesità. Un’ampia percentuale di coloro che sono stati ricoverati in ospedale o uccisi dal covid ha sofferto di “fattori di comorbilità” come diabete, malattie cardiache e abuso di droghe. L’Unicef calcola nel 15% in più la crescita della povertà infantile, dovuta anche al fatto che centinaia di milioni di bambini provenienti da famiglie povere sono stati esclusi dalla scuola in tutto il mondo. Sette milioni di bambini malnutriti rimarranno altamente vulnerabili alle malattie non solo a causa della mancanza di vaccini, ma anche per la mancanza di servizi igienici di base, compresa l’acqua calda per lavarsi le mani.

I ricercatori ci ricordano che storicamente le pandemie tendono a susseguirsi una dopo l’altra. L’affollamento urbano e la povertà pervasiva, in particolare nel mondo in via di sviluppo e nelle grandi città dell’Asia, dell’Africa e del Medio Oriente, rimangono terreno fertile ideale per la pestilenza, che può poi trovare la sua strada verso paesi a reddito più alto. Le pestilenze non uccideranno le città né porranno fine alle civiltà, ma potrebbero cambiare i loro dati demografici e scoraggiare l’urbanizzazione eccessivamente densa di cui abbiamo parlato sopra. Le preoccupazioni per i servizi igienico-sanitari, il sovraffollamento e lo sviluppo di migliori sistemi di fornitura di assistenza sanitaria devono diventare priorità sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati. La storia mostra che le pandemie lasciano impronte durature che sono in grado di invertire la crescita urbana per secoli. Come a Parigi, ad esempio, che impiegò 200 anni per recuperare la popolazione persa negli anni della peste del XIV secolo. Questo schema potrebbe ripetersi. Le aree geografiche che emergeranno dalla pandemia da covid dovranno essere più capaci di mantenere gli standard di salute e consentire il lavoro in contesti remoti o semplicemente meno affollati. Una sfida possibile cogliendo le opportunità tecnologiche liberate dalla crisi dentro cui stiamo vivendo.

ciuoti

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