Covid: i danni di una guerra non dichiarata

di Vito Totire (*)

Un’analisi della situazione (a Bologna ma non solo) con 13 punti su cui concentrare attività ed energie

IL POST COVID SARA’ PEGGIO DEL PRE COVID? TOCCA SOLO «LECCARCI LE FERITE» O POSSIAMO FARE DI MEGLIO?

Dalle crisi storicamente si è usciti in avanti o indietro. Mai alla crisi ha fatto seguito il ripristino dello status quo ante. Al fine di ragionare sul presente/futuro è utile fare un bilancio dei danni di “guerra”… perché di guerra – ancorché non dichiarata – si è trattato.

I morti – ovviamente si tratta di numero approssimato per difetto – a fine ottobre 2021 erano 131.954 , i contagiati “ufficiali” 4.752.368.

Poco e male ci si è interrogati sulla abissale differenza in termini di mortalità fra l’Italia e altri Paesi come il Giappone e altre nazioni asiatiche (o anche africane) ma soprattutto una magistratura “poco competente” e subalterna al ceto politico e al potere economico ha deciso che l’epidemia è stata una calamità naturale, ineluttabile e non correlata a omissione di misure di sicurezza e prevenzione. Su questo è mancata da parte nostra (intendiamo da parte del movimento di base per il diritto alla salute) la necessaria capacità di coordinamento a sostegno delle vittime e dei loro familiari. Non siamo stati in grado di costruire reti e sinergie così moltissimi tentativi di affermare la verità materiale della strage si sono arenati in archiviazioni inaccettabili. Al momento noi siamo impegnati a resistere contro una istanza di archiviazione proposta da un pm (tribunale di Cesena) e supportata dalla perizia medico-legale di una esponente della università di Bologna; siamo in attesa ci conoscere (a giorni) l’esito dell’opposizione all’archiviazione e abbiamo modo di ritenere che la “inconsistenza” delle motivazioni del pubblico ministero siano le stesse che hanno portato alle improvvide archiviazioni in tutta Italia.

Abbiamo più volte denunciato pubblicamente la prassi della “archiviazione precoce” preannunciata dal procuratore generale di Bologna PRIMA ANCORA DELLA CONCLUSIONE DELLE INDAGINI NELLE QUALI, IN UNO STATO DI DIRITTO, VENGONO SENTITE TUTTE LE PARTI, PRIMA DI PROCEDERE E CONCLUDERE E NON E’ CONSENTITO (IN UNO STATO DI DIRITTO) ANNUNCIARE A MEZZO STAMPA CHE «ABBIAMO APERTO TRENTA FASCICOLI MA LI CHIUDEREMO TUTTI» come se la “giustizia” consistesse in una noiosa pratica pro forma connotata da orientamenti precostituiti.

I “danni di guerra”

Nel tessuto sociale in senso lato

Un peso enorme è ricaduto sulle persone più fragili dal punto di vista sanitario ma soprattutto socioeconomico. Abbiamo riflettuto in un documento – cfr Covid-19: comunque è «morire di classe»su questo tema; grandi e piccole lobbies hanno cercato di fornire o di rivendicare risarcimenti o servizi (da risarcimenti “funerari” a esami di sierologici prima gratuiti poi scontati). Ma a parte questi “pannicelli caldi” (comunque su base corporativa e di classe) i militi ignoti della guerra biologica non dichiarata e i loro familiari duramente colpiti negli affetti paiono destinati a non ottenere nessun risarcimento per i danni materiali e morali subìti. Ovviamente quello che vogliamo sottolineare non è l’aspetto venale-economicistico della questione quanto l’effetto negativo psicosociale del sentirsi ed essere di fatto abbandonati dalle istituzioni. Come abbiamo detto siamo in attesa, a giorni, di una decisione del tribunale di Cesena su un esposto di familiari che sostengono, con la loro difesa, la fattispecie di «omicidio colposo con previsione» a proposito della morte di un loro congiunto, ipotesi che preluderebbe alla necessità se si prenderanno in considerazione gli altri “casi” di ragionare sull’omicidio colposo plurimo.

Lontana da noi ogni intenzione di “accanimento” contro la gestione di quella singola casa di riposo. Un risultato congruo del procedimento riproporrebbe la riapertura della discussione su tutti gli altri casi e porrebbe le basi per una futura maggiore attenzione nel valutare e gestire i rischi per la salute, compreso quello biolgico, nei luoghi di lavoro.

Nei diversi comparti lavorativi

Assolutamente nebuloso appare il quadro dei danni alla salute subìti dai lavoratori. Da molti mesi è cresciuta l’attenzione degli operatori sanitari su quello che ormai viene definito «long covid», una sindrome che chiarisce come non sempre il contagio o la stessa malattia si identifichino in un “semplice” e breve infortunio con totale restitutio ad integrum. L’Inail ha affrancato a priori i datori di lavoro (sua sponte) da aumenti dei premi assicurativi da pagare come effetto degli infortuni covid riconosciuti. Al momento non ci soffermiamo su questo ma su:

  1. riconoscimenti in caso di valutazione discorde del datore di lavoro; abbiamo sostenuto una discussione “collegiale” su un “caso” con Inail; mai conclusa in quanto Inail ha richiesto alla Ausl dati epidemiologici non arrivati.2) dati di mortalità con eziologia occupazionale: buio (quasi) totale a livello locale come nazionale con l’aggravante che pare essere rimasto del tutto occulto il problema di contagi intervenuti a danno di persone con sistema immunitario compromesso a causa di pregresse esposizioni professionali; ovvia l’esigenza di tornare a chiedere dati e massima trasparenza all’Inail e alla Ausl. 3) nell’ambito del post covid occorre considerare sia i postumi del già citato long covid sia l’evidente e diffusa condizione di burn out che non solo è molto pesante ma certamente è alla base del fenomeno osservato negli Stati Uniti (in Italia si arriva di solito “il giorno dopo”) e definito job quitting: consiste nell’abbandono del posto di lavoro alla ricerca di condizioni più umane (tra aprile e giugno 484.000 dimissioni “volontarie” in Italia, certamente in buona parte sintomo di una forte ondata di burn out). La questione si intreccia col tema relativo al rapporto fra reddito di cittadinanza e occupazione alternativa; il ceto politico che tuona contro il reddito di cittadinanza rivendicandone la abrogazione finge di non comprendere che l’alternativa non deve essere un «lavoro di merda» (più elegantemente bad job) magari a 100 km da casa tanto per inquinare e spendere il 20% del reddito in carburante)

La “ripresa” delle attività produttive è stata connotata da numerose stragi sul lavoro come se si fosse manifestata una corsa all’accumulazione di profitti dopo la crisi di astinenza della pandemia. Una ripresa connotata dalla massima deregulation e dalla criminale diffusa omissione delle misure di sicurezza; a partire dal tragico omicidio sul lavoro a Pistoia di Luana D’Orazio abbiamo assistito impotenti ad una orribile catena di sangue.

Dopo l’ennesimo omicidio sul lavoro nella provincia di Bologna – vittima Yaya Yafa, un immigrato africano in turno di notte (**) – le istituzioni hanno inventato la parola d’ordine della «logistica etica» che ovviamente è di là da venire. Ma le istituzioni “ignorano” l’esistenza di vaste aree di lavoro schiavistico nella logistica anche in provincia di Bologna? Pensano che lo schiavismo sia attecchito “solo” in alcune regioni del Sud e in agricoltura? Evidentemente hanno trascurato le denunce e i cortei in particolare dei migranti.

A pochi giorni dall’omicidio di Yaya Yafa si è consumato, nella stessa area della logistica, un ulteriore gravissimo infortunio con l’amputazione di sei dita delle mani per lavori di manutenzione (secondo quel che hanno riportato i giornalisti) su una macchina accesa: siamo nell’era della robotica, dell’industria 4.0, dell’intelligenza artificiale, del logaritmo e del turismo spaziale ma all’anno zero della prevenzione.

Il “tavolo” sulla sicurezza di chi lavora avviato dal Comune di Bologna – gestito quasi privatisticamente, egemonizzato dall’Inail e trascinatosi per qualche anno e senza la partecipazione del servizio di vigilanza ispettiva della Ausl – evidentemente non ha percepito l’attecchimento del lavoro schiavistico.

 

In sostanza si reitera la tragedia della strage della Mecnavi di Ravenna del 13 marzo 1987 quando i “sensori” dei servizi di vigilanza non avevano percepito la situazione di rischio e rimasero uccisi 13 operai.

Riteniamo che il “tavolo” sopra citato debba essere convocato ma rifondato su basi del tutto diverse.

I giovani

Oggetto di numerose osservazioni sociologiche, psicologiche e psichiatriche, i più giovani hanno subìto un impatto enorme dalla deprivazione sociosensoriale che la pandemia ha determinato: vanno riallacciate le fila di una nuova socialità per la quale non si parte da zero, vista l’intensa attività di movimenti che lottano contro la catastrofe climatica.

Prospettive

Nasce un sentimento di rammarico nel constatare come le istituzioni si siano mostrate impermeabili alle istanze avanzate dai movimenti di base e fra questi dalla «assemblea per la salute» bolognese. Nel momento maggiormente favorevole (ma il momento favorevole permane) non si è riusciti a ottenere la sospensione della attività libero professionale intra ed extra moenia al fine di abbattere le “code” in sanità pubblica; i decisori politici non hanno respinto la proposta, semplicemente non la hanno nemmeno messa all’ordine del giorno.

Su un’altra questione abbiamo assistito a una chiusura totale: la «assemblea per la salute» ha lanciato (o meglio rilanciato) l’ipotesi del medico di base come operatore a tempo pieno inserito nel Sistema Sanitario Nazionale; questa proposta non ha fatto passi avanti ma prima ancora di essere messa all’odg (se mai lo sarà) ha registrato la levata di scudi drastica e preventiva dell’Enpam cioè l’Ente nazionale di previdenza e assistenza medici.

Per quel che riguarda la trasparenza e l’accesso ai dati analitici ed epidemiologici nonostante la “propaganda di regime” (l’attesa messianica dei big data che saranno accumulati in capannoni di via Stalingrado e le promesse dell’Europa sul ruolo proattivo delle istituzioni nella diffusione) permane la situazione di grave illegalità di cui la Ausl è responsabile nel negare l’accesso ai dati sull’acqua potabile e sulla situazione nelle carceri di Bologna: illegalità segnalata anche alla prefettura che a sua volta non ha dato riscontri.

Potrebbero/dovrebbero essere questi i punti su cui è il caso di concentrare attività ed energie:

  1. Approfondire le residue possibilità di rivendicare e ottenere risarcimenti per le vittime della pandemia
  2. Cominciare a risarcire i lavoratori di tutti i comparti in cui si è dovuto svolgere la propria attività con l’uso permanente di ddppii (dispositivi di protezione individuale) accordando ai lavoratori un computo pensionistico, in analogia a quanto è accaduto per l’amianto, che porti a far pesare per tre i due anni di covid (fattore di moltiplicazione 1.5); ovviamente occorrerà la massima determinazione nel garantire copertura assicurativa agli effettivi postumi da covid
  3. Garantire percorsi adeguati di ricollocazione a chi ha abbandonato per condizioni di burn-out; in questi mesi abbiamo constatato una situazione di grave disagio e costrittività dei lavoratori dell’aeroporto di Bologna; è emersa una grave conflittualità sia in group che out group, cioè sia all’interno delle coorti dei lavoratori che fra lavoratori e utenti; nel secondo caso addirittura è stato proclamato uno sciopero per la difesa dei lavoratori dalle aggressioni ma ovviamente il problema doveva essere affrontato prima in termini di valutazione dei carichi di lavoro, aumento del personale e riorganizzazione ergonomica delle attività ; in questo caso non è che la pandemia abbia “dato alla testa” ma purtroppo che le costrittività organizzative non sono state affrontate per tempo o prevenute;
  4. Alla fonte dell’ondata di burn out sono individuabili anche le assurde costrittività che non si è voluto attenuare, per esempio con un aumento delle pause e con l’alleggerimento dei turni; abbiamo dedicato alcune osservazioni a questo tema: constatando e denunciando che azioni di miglioramento ergonomico, sia pure minimi, sono stati introdotti non in relazione all’entità dei rischio, come sarebbe stato ovvio in una società civile, ma in relazione ai rapporti di forza tra le parti sociali; i metalmeccanici hanno ottenuto (con le lotte, non ricevuto per magnanimità) più pause dei lavoratori ospedalieri; questo dato di fatto induce una successiva riflessione: il labile incremento del personale ispettivo e delle sanzioni varato dal governo dei “migliori” non ci trova certo contrari ma il problema principale restano i rapporti di potere all’interno dei luoghi di lavoro
  5. Il tema ambientale in particolare nei rapporti con la salute umana e animale continua a essere rimosso dalle istituzioni: il tema pesante dell’impatto acustico e sanitario dell’aeroporto di Bologna è stato agitato paradossalmente dalla destra “bucando” sui media anziché in Consiglio comunale: il problema va affrontato ma è paradossale (anche se siamo ormai abituati a tutto) che venga rappresentato sulla stampa locale da un candidato del centrodestra (un personaggio peraltro significativo per delineare il quadro degli orientamenti della classe medica locale); sta di fatto che non solo la potenza morbigena della attività aeroportuale non viene messa in discussione ma le istituzioni sono unanimi nel sostenere l’incremento del traffico e quindi il peggioramento delle condizioni di salute della popolazione residente nell’area la cui sofferenza non solo è evidente ma persino documentata dall’incremento dell’uso di farmaci per patologie organiche e patologie da distress psicofisico!
  6. SALUBRITA’ AMBIENTALE E ACQUA “POTABILE”; una risoluzione europea del 20.10.2021 sull’amianto, pur lacunosa e contraddittoria, dice: RIMUOVERE LE TUBAZIONI IN AMIANTO! Ci consola poco l’averlo detto e rivendicato a chiare lettere almeno dal 199 ; in questi 22 anni i cittadini bolognesi hanno bevuto e inalato amianto “evitabile” grazie anche alla copertura e alle insinuazioni garantite dalle istituzioni pubbliche, della serie “l’amianto ingerito è innocuo” oppure “se è poco …non fa male”; in verità negli ultimi 20 anni Bologna non ha avuto sindaci perchè il vero sindaco su questo tema è HERA…comprendiamo il disagio dei movimenti per l’acqua pubblica (sosteniamo l’acqua pubblica senza se e senza ma) TUTTAVIA OCCORRE COMPRENDERE CHE ORMAI LE DECISIONI NON SONO NELLE MANI DEL CETO POLITICO MA DEL POTERE ECONOMICO
  7. Continua ad essere rimossa la necessità di mettere in discussione non solo il modo ma anche l’oggetto della produzione; abbiamo parlato di una azienda che ha inventato il concetto di merce «ad impatto sanitario potenzialmente ridotto»; un concetto sconosciuto dalla comunità scientifica e che si identifica con la speranza popolare del “io speriamo che me la cavo”; occorre un lavoro di indagine e approfondimento su tutte le produzioni nocive e di morte (armi, emissioni climalteranti ecc.) comprese quelle – in rapida crescita – nel campo del greenwashing (ceramiche “anticovid” o vernici “assorbi inquinamento” e tanto altro); va messa in discussione tutta la produzione di merci destinate a diventare rapidamente rifiuto, non riciclabili e programmate per evitare una lunga vita a causa della indisponibilità di pezzi di ricambio; tema “antico”, quest’ultimo ,visto che compare nelle pubblicazioni del movimento studentesco della fine degli anni sessanta del secolo scorso.
  8. Il tema della sanitarizzazione-vaccinazione-dipendenza tecnologica permanente della popolazione; Big Pharma evoca scenari da vaccinazione permanente, “necessaria” a vita, intanto per fronteggiare le possibili future varianti del covid-19 e poi per eventuali nuovi virus completamente diversi; la gestione delle emergenze sarebbe sempre e sempre più autoritaria e gerarchizzata , non sorprendentemente, se ora siamo affidati a un generale degli alpini; lavoratori e cittadini sarebbero sempre ridotti a esecutori passivi e controllati con annessi anatemi e scomuniche nei confronti dei no vax già indicati in molti dibattiti parlamentari come “disertori”; a proposito di no vax riteniamo incongruo il silenzio sulla questione del rifiuto dei vaccini , un silenzio diffuso anche in settori che dovrebbero approfondire meglio la contraddizione; al vaccino si deve arrivare per convincimento personale e non con ricatti; è contraddittoria la situazione che vede la “caccia al non vaccinato” in Italia e il solo 15 % di vaccinati in Bosnia dove certamente il basso numero non dipende dalla presenza di un movimento no vax; né pare adeguato tacere sui pericoli della contiguità fra le varie correnti non vax con i neofascisti che hanno usato la contestazione dell’obbligo della vaccinazione e del green pass per perseguire altri fini; i lavoratori no vax vanno difesi, e stiamo cercando di farlo, da ricatti e abusi (anche apertamente dichiarati come quello annunciato dal direttore generale della Ausl di Bologna) come abbiamo detto qualche mese fa in un incontro pubblico alla ex centrale del latte.
  9. ISTITUZIONI TOTALI: CARCERI E PSICHIATRIA; anche qui siamo all’anno zero: rimozione e immobilismo; abbiamo già citato le carceri; la psichiatria istituzionale ospedaliera, pubblica e privata, va rivoltata come un calzetto puntando all’abolizione dei Trattamenti Sanitari Obbligatori e dei posti letto sia privati che pubblici, alla messa al bando dei trattamenti neurolettici (almeno quelli di lunga durata) e degli antidepressivi che sono inutili su piano “terapeutico” e forieri sempre di gravi effetti collaterali;
  10. Il carcere di Bologna va demolito mentre la sede del minorile va riconvertita ad altro uso socialmente utile (a esempio per formazione professionale) ma viceversa l’ultimo “cambiamento” attuato è un aumento della recettività: una decisione di estrema gravità visto che è coerente con una politica per i giovani che prevede un aumento dei tassi di carcerazione); occorre trovare una sede per le madri con bambino private della libertà e non può più essere la Dozza … e non solo perché chiediamo la demolizione dell’immobile ma perché il nido di infanzia in un carcere (pur se ispirato ai criteri dettati dalla Costituzione, e non è il caso della Dozza) rimarrebbe una grave e inaccettabile incongruenza sia sul piano umano che su quello pedagogico
  11. MIGRANTI: le politiche di inclusioni restano scarse e fortemente lacunose: ogni giorno centinaia di persone percorrono strade urbane ed extraurbane o, peggio, stazionano ai semafori; a chi è in età e condizione lavorativa devono essere offerte “borse lavoro” con reddito di cittadinanza; a tutti va garantito reddito e accoglienza
  12. Nell’ambito di una politica di vera inclusione e di contrasto alle discriminazioni sociali, etniche, di orientamento sessuale ecc. OCCORRE GARANTIRE ABITAZIONI SALUBRI ED ECONOMICAMENTE ACCESSIBILI A TUTTI: LA CASA E’ UN BENE PRIMARIO INDISPENSABILE PER LA SALUTE PSICOFISICA; NON DEVE GRAVARE PIU’ DEL 10% DEL REDDITO ED ESSERE ASSOLUTAMENTE GARANTITA ANCHE A CHI NON HA REDDITO; abbiamo aperto con il Comune di Bologna un contenzioso per l’escomio tramato dai cosiddettu “servizi sociali” di una famiglia di origine rom espulsa e confinata nientemeno che in un Comune della Lombardia, senza acqua potabile… SE E’ REATO OCCUPARE UNA CASA NON E’ REATO TENERLA VUOTA DOPO AVERNE ESPULSO GLI ABITANTI?
  13. Il Comune di Bologna deve smettere di cercare, organizzare ed occupare il tempo libero dei cittadini che hanno il diritto (e devono dunque avere facoltà) di gestire in autonomia il proprio tempo libero anche accedendo a risorse economiche pubbliche; il Comune di Bologna deve smettere di bruciare il vecchione il 31 dicembre una “usanza” sorta in periodo fascista e una boiata da eliminare.

Grazie per l’attenzione, per le critiche e per le eventuali sinergie.

Bologna, 7.11.2021

(*) Vito Totire è portavoce della Rete per la ecologia sociale (AEA, circolo “Chico” Mendes, Centro “Francesco Lorusso”, Lega animalista, Associazione “antropologia in movimento”)

(**) vedi Crimini di pace: a Bologna come…

 

NELLA FOTO: sotto un albergo di lusso (giovedì 21.10.2021) presso la stazione ferroviaria di Bologna.

 

Redazione
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Un commento

  • Mariano Rampini

    Sono d’accordo praticamente su tutte le istanze contenute nel lungo e dettagliato elenco proposto dall’amico Vito Totire. L’azione contro una sanità mal gestita forse anche per indurre a scelte privatistiche (l’esempio della Lombardia è eclatante in questo senso) è necessaria e il nostro Ssn va sostenuto in ogni modo. Non parlo delle mie personali esperienze che spesso mi hanno visto contrapposto a esponenti delle varie categorie professionali i cui comportamenti non erano propriamente encomiabili, preferisco piuttosto ragionare sulla generalità degli assistiti che hanno diritto sempre e comunque a un’assistenza di qualità. I cosiddetti centri di eccellenza sono sì “fiori all’occhiello” del Ssn ma, al tempo stesso sono anche indicatori di come quel tipo di assistenza non sia disponibile per tutti e in tutto il Paese. Il male peggiore – ammetto che a suo tempo ho votato a favore della regionalizzazione ma mai e poi mai mi sarei aspettato la frammentazione negativa dei servizi che ne è derivata – è proprio la differenziazione dei servizi su scala nazionale. Ricordo una questione su tutte: quella dei farmaci oncologici che spesso venivano messi a disposizione dei cittadini di una Regione mentre quelli delle Regioni limitrofe venivano esclusi per scelta dei vari Comitati regionali più attenti alla spesa che alla salute dei loro concittadini. Su due punti della lunga ed esaustiva raccolta di proposte di Totire ho però qualche dubbio. Il primo: il considerare la vaccinazione come un meccanismo “necessario a vita” e quindi capace di costringere a una sorta di dipendenza tecnologica la popolazione. Non contesto l’idea in sé ma il fatto che per molte altre patologie i vaccini sono sostanzialmente necessari sul piano medico (big pharma di cui ben conosco i meccanismi ne trae comunque un profitto ma sostanzialmente non esistono alternative, cioè strutture pubbliche capaci sia in termini di dimensioni, sia in termini di dotazioni tecnologiche di sostituirsi alla ricerca e allo sviluppo farmaceutico privato) e non si tratta di “spezzare una lancia” in favore dell’industria che pure al momento sta alacremente lavorando a farmaci a uso personale (altra immane fonte di guadagno: anche costassero un solo euro, la platea dei fruitori sarebbe di centinaia di milioni di soggetti). Come contrastare questa pandemia con altri mezzi? La domanda è legittima e apre il campo al secondo dubbio. E’ quello che riguarda i no-vax. Un movimento che non nasce oggi (si parte dalla metà dell’800 circa) e che ha via via preso piede nei Paesi più industrializzati spesso basandosi non su criteri di analisi scientifica dei fenomeni ma piuttosto sul “sentito dire” o su “miracolose” rivelazioni di personaggi che, alla fine della fiera si sono rivelati portatori di interessi “altri”. Che i farmaci possano essere pericolosi (qualsiasi farmaco) è purtroppo vero. Ma nessuno ha il diritto di mettere a repentaglio la salute degli altri quando può farne a meno e senza particolari problemi. Chi nasconde sottoterra rifiuti tossici inquinando le falde acquifere ha forse meno responsabilità di chi rifiuta un vaccino senza motivi ragionevoli e mette così in pericolo la salute degli altri? Comprendo le ragioni dei timori verso l’uso intensivo dei medicinali: la “panacea” per tutti i mali non esiste e ogni farmaco ha in sé la capacità di nuocere. Ma occorre allora diffondere una cultura scientifica senza giustificare chi si rifiuta di ascoltare qualsiasi richiamo anche solo al buon senso. In questo senso posso essere d’accordo con Totire: la gestione dei no-vax come emarginati ha reso solo più facile a elementi di una destra eversiva infiltrarsi tra le fila degli spaventati. Come agire sulla paura? Questo è un quesito al quale non so dare risposte ma potrebbe essere utile aprire un dibattito sulla questione…

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