Cremona: scene di squadrismo

Al via il processo per i fatti del gennaio 2015

di Saverio Ferrari (*)

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Inizierà mercoledì 12 ottobre a Cremona, davanti al gip Letizia Platè, l’udienza preliminare per i diciotto imputati, dieci di Casa Pound e otto del centro sociale Dordoni, coinvolti a vario titolo nei gravissimi fatti del 18 gennaio 2015, quando nei pressi dello stadio, a seguito di un violento scontro, un aderente al centro sociale, Emilio Visigalli, rimase a terra colpito quasi a morte.

PREPARATIVI E MINACCE

Era una domenica sera. Già il giorno precedente un aderente del Dordoni era stato inseguito da alcuni fascisti fino all’ingresso del centro sociale che si affaccia sul piazzale prospiciente allo stadio. Nel corso della stessa giornata del 18, quasi un avvertimento, alcuni adesivi di Casa Pound erano stati provocatoriamente attaccati sul portone del centro, chiuso la domenica anche per evitare momenti di tensione con la tifoseria della Cremonese, apolitica ma non di rado infiltrata da esponenti dell’estrema destra. E proprio questo accadde. Quelli di Casa Pound, provenienti anche da fuori, si erano infatti dati appuntamento in curva. In campo si affrontavano Cremonese e Mantova e non casualmente si erano registrati battibecchi tra alcuni gruppi di ultras locali e i fascisti per i tentativi messi in atto da questi ultimi per caratterizzare politicamente la curva, ma sembrerebbe anche per le intenzioni manifestate per il dopo partita. Le voci di un’aggressione al centro sociale erano nel pomeriggio corse velocemente arrivando fino alle orecchie dei ragazzi del Dordoni. Da qui la decisione di un gruppo di accorrere a difendere la sede, portando con sé anche qualche casco.

IL TENTATO OMICIDIO

Lo scontro fu violentissimo. Verso le 18.30, provenienti dal bar vicino allo stadio, abituale ritrovo della tifoseria, si mossero in direzione del centro sociale una dozzina di militanti di Casa Pound (tra loro Gianluca Galli, il capo, candidatosi a sindaco nelle precedenti elezioni comunali del 2014), mentre di fronte alla sede si ritrovarono non più di otto del Dordoni.

Dietro ai fascisti, forse solo per assistere allo spettacolo, si radunò anche un nutrito gruppo di tifosi. Emilio Visigalli, cinquant’anni, senza casco, da sempre militante di sinistra, fu ripetutamente colpito al capo e poi ancora a terra su tutto il corpo con un asse di legno che inizialmente impugnava lui stesso per difendersi e che gli fu sottratto. Se non fosse intervenuto un ragazzo del Dordoni con un estintore a disperdere chi si accaniva su di lui, con ogni probabilità sarebbe morto. A spiegarlo, lo stesso referto medico, che riscontrò «un trauma cranico-encefalico con frattura dello splancnocranio» (ovverosia della faccia) e relativo «interessamento delle orbite», «contusioni cerebrali multiple bilaterali», contusioni anche «polmonari bilaterali» con la «frattura di due costole» seguite da «penumotorace destro». Un vero e proprio tentato omicidio che ha reso Emilio Visigalli invalido permanente, costringendolo a sottoporsi a ripetuti interventi chirurgici.

LA RABBIA E GLI ARRESTI

Le manifestazioni di risposta del sabato successivo videro per le strade di Cremona almeno diecimila antifascisti. La rabbia che era montata nei confronti di Casa Pound portò addirittura questi ultimi a far circolare la notizia, poi rivelatasi falsa, di chiusura immediata della loro sede. L’insegna fu comunque a bella posta rimossa. Un espediente dettato dalla paura e dalla necessità di nascondersi. Più che scontri con le forze dell’ordine vi fu un lungo fronteggiamento da parte dei manifestanti giunti da tutto il nord d’Italia con il lancio di fumogeni e petardi. Nulla più. Alcune vetrine andarono in frantumi, di una banca in particolare e di alcuni uffici della vigilanza urbana. Le critiche agli “antagonisti violenti” da parte del sindaco e dell’intera giunta, come di tutte le forze politiche presenti in Consiglio comunale, non si fecero attendere, da destra come da sinistra, Sel compresa. L’attenzione si spostò sulle vetrine rotte, dimenticando la violenza dei fascisti. Nel frattempo in sedici, tra Casa Pound e Dordoni, furono arrestati, quattro in carcere, due per parte.

Per la manifestazione antifascista quattro furono i mandati di cattura e quattro gli anni di carcere per “devastazione” comminati a ciascuno di loro lo scorso gennaio dal gup Pierpaolo Beluzzi. A contraddirlo una seconda sentenza in luglio per altri tre imputati per gli stessi fatti emessa da un altro gup, sempre di Cremona, Christian Colombo, che dopo aver rigettato il reato di devastazione, ha assolto uno degli imputati e condannato gli altri due per «danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale» a pene ben più lievi, a nove e dieci mesi. Si attendono gli appelli.

L’UDIENZA PRELIMINARE

Il 12 ottobre, come detto, si deciderà in tribunale se rinviare tutti gli imputati, sia di Casa Pound che del Dordoni, per rissa, ma soprattutto se portare a giudizio i due neofascisti Guido Taietti e Gianluca Galli per tentato omicidio nei confronti di Emilio Visigalli. Il 12 si scopriranno anche le intenzioni di quelli di Casa Pound per l’eventuale ricorso a riti abbreviati o a patteggiamenti con l’inevitabile scorporamento del processo in più tronconi. L’intenzione del collegio difensivo del Dordoni (composto dagli avvocati Sergio Pezzucchi, Manlio Vicini, oltre che dagli avvocati Biagio Borretti e Benedetto Ciccarone per il solo Visigalli) è invece già delineato: andare al dibattimento per fare emergere in tutta la sua gravità quanto accaduto.

«STOCCAFISSO»

Casa Pound Cremona fin dalla sua nascita nel maggio 2013 si è scelta il nome di «Stoccafisso». Apparentemente un gioco. Nella città che fu del Ras Roberto Farinacci, gran organizzatore di squadracce, questo particolare è tutt’altro che innocuo. La storia racconta che sul finire del “biennio rosso”, quando i fascisti della bassa val Padana si videro recapitare da alcune prefetture il divieto di detenere i manganelli, ricorsero all’uso di pezzi di baccalà, stecche dure sotto sale lunghe più di un metro e mezzo da utilizzare come bastoni. Da qui la scelta del nome che ispirandosi al primo movimento fascista cerca di esaltare l’epopea dello squadrismo dei primordi.

Dalle file di Casa Pound sono usciti in questi anni Gianluca Casseri che a Firenze nel dicembre 2011 assassinò a colpi di pistola due ambulanti senegalesi, ferendone gravemente un terzo, e Giovanni Ceniti, ex responsabile di Novara, uno dei killer di Silvio Fanella ucciso a Roma nell’estate 2015 nell’ambito di un fallito sequestro di persona. Un’organizzazione che la Cassazione, il 27 settembre 2013, nell’ambito di un procedimento a Napoli contro i suoi dirigenti locali, ha giudicato «ideologicamente orientata alla sovversione del fondamento democratico del sistema». La sua vera natura sta anche nei numeri diffusi nel febbraio scorso dal ministero dell’Interno in risposta a un’interrogazione parlamentare: un arresto ogni tre mesi di suoi esponenti, dal 2011 al 2015, e una denuncia ogni cinque giorni nello stesso periodo, quasi esclusivamente per fatti violenti. La domanda è d’obbligo: perché Casa Pound, nata ostentatamente a imitazione e incarnazione del primo violento movimento fascista, non è stata ancora sciolta?

Milano, 6 Ottobre 2016

(*) Una versione ridotta di questo articolo è uscita il 12 ottobre sul quotidiano «il manifesto»; nel frattempo il processo si è aperto e se Saverio Ferrari ne racconterà gli sviluppi ovviamente lo riprenderemo. Come sa chi passa spesso in “bottega” Saverio Ferrari è il massimo esperto italiano di gruppi neo-nazifascisti; se andate in “cerca” e ne digitate il nome trovate molti dei suoi articoli, recensioni ad alcuni dei libri che ha scritto ma anche la storia di una “congiura” – fortunatamente fallita, probabilmente grazie alla sua tempestiva denuncia – contro di lui. Nell’immagine, scelta come sempre dalla redazione della “bottega”, Gianluca Galli, ovviamente in camicia nera: si presentava così per le elezioni amministrative 2014 a Cremona. [db]

 

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