Crovi, De Cataldo, De Giovanni, Lansdale…

… Manzini, Rinaldi e Tuti

7 recensioni (giallo-noir) di Valerio Calzolaio

Patrizia Rinaldi

«La danza dei veleni. Il ritorno di Blanca»

Edizioni e/o

220 pagine per 16,50 euro

Napoli. Autunno. Qualcuno da un camion lancia un cane in un’area di servizio della tangenziale. Mezzo morto viene portato a casa della bella sovrintendente 45enne Blanca Occhiuzzi, molto ipovedente e sempre innamorata del collega Liguori, madre adottiva della 20enne Ninì. Le due lo chiamano Guaio e cominciano a frequentare veterinari. Capita che vengano uccisi due di loro e pure una sgraziata negoziante, coinvolta nel contrabbando d’animali, morsa dal raro ragno Phoneutria. I casi forse sono connessi, però Blanca resta incerta se tradire o essere tradita; nel Commissariato dei Campi Flegrei urge investigare, anche sul personale. La filosofa, educatrice e scrittrice Patrizia Rinaldi (Napoli, 1960) impasta bella scrittura di donna e acume letterario in varie terza al passato e prima al presente. Con “La danza dei veleni” la selvatica protagonista giunge alla quarta ottima avventura, ha ben sviluppato gli altri sensi, è esperta di decodifica e di intercettazioni. Arriverà in tv nel 2020.

 

Ilaria Tuti

«Ninfa dormiente»

Longanesi

478 pagine per 18,60 euro

Borghi e monti (Musi) del Friuli Venezia Giulia. Primavera 2018. Di pregio e di suggestioni anche il secondo romanzo di Ilaria Tuti (Gemona del Friuli, 1976) in terza varia, stupendamente ambientato nel passato millenario e nel presente, con stile curato. La protagonista resta ancora Teresa Battaglia (20 maggio 1958) la commissaria diabetica (insulinodipendente) con a fianco il nuovo tremante aitante bell’ispettore metropolitano Massimo Marini e gli storici collaboratori. Non ha figli, viso duro e rugoso, corpo sfatto e capelli rossicci, doti di profiler; è esperta ed energica, scontrosa e determinata, sola con un’incipiente perdita di memoria, segreti e dolori sulle spalle. La “Ninfa dormiente” è il caso freddo di cui deve occuparsi, riassunto insieme da un quadro particolare ritrovato dal nipote del pittore Alessio Andrian e da un antico assassinio commesso nel 1945. Segnalo che due grammi al giorno di semi di cumino nero riducono il glucosio a aiutano l’insulina.

 

Giancarlo De Cataldo

«Quasi per caso»

Mondadori

254 pagine, 16 euro

Torino e Roma. Aprile 1849. Durante la guerra lampo del re Carlo Alberto contro l’Austria e la rapida (non indolore) sconfitta, il 29enne Emiliano Mercalli di Saint-Just, maggiore dei Regi Carabinieri, si era battuto con onore vicino Pavia, fianco a fianco con i bersaglieri; arresosi a un battaglione di cacciatori austriaci aveva scontato una breve prigionia prima di tornare a casa con tutti gli uomini che gli erano stati affidati. Il maggior generale Negri gli assegna una licenza di quindici giorni, solo che è complicato organizzare in un battibaleno e celebrare le nozze con Naide Malarò, avvenente canzonettista, già attrice di teatro e ora studentessa di medicina, il grande amore della sua vita. Manda ad avvisarla l’attendente valdostano Pierre, ma lei non c’è, è partita per Roma “dove si combatte per la libertà”, fra i seguaci di Giuseppe Pippo Mazzini. Che ci vada anche lui sembra proprio diplomaticamente impossibile, senonché Camillo Benso conte di Cavour, quarantenne basso e pingue, imprenditore economista politico, lo fa portare a Palazzo Reale: insieme allo stesso nuovo giovane re Vittorio Emanuele II lo autorizzano di persona. Gli danno tutti i lasciapassare e le autorizzazioni necessari e affidano l’incarico di ritrovare un antico compagno d’arme di sua maestà e di portare un riservato messaggio agli accoliti repubblicani insorti, proprio mentre Francia e grandi potenze stanno vedendo come scendere in campo a difesa del papa Pio IX e riconquistare Roma. L’amico del re, il conte Aymone Fleury si è innamorato della magnifica principessa Matilde, sposata con il nobile Ottaviani-Augusti e occorre riportarlo indietro a ogni costo. A Roma, tuttavia, è tutta un’altra vita, la priorità è rintracciare l’intrepida Naide e convincere anche lei a tornare. Senonché, a un certo punto, si trova il cadavere del principe marito, Aymone è il colpevole indiziato numero uno. Non sarà l’unico caso d’omicidio da risolvere né l’unica complicazione da sbrogliare per l’aitante Emiliano.

Un classico romanzo giallo storico per lo scrittore giudice Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956) che riprende e rilancia il protagonista del caso Diaul del settembre 1848. Siamo alla vigilia dell’attacco dell’esercito francese il 30 aprile alla Repubblica Romana, che resistette eroicamente fino alla definitiva caduta del 4 luglio. La classe non è acqua (forse Vermut), bella anche la copertina. Narrazione magistrale, in terza fissa su Emiliano: avvincente come avventura sociale, curiosa e frastagliata come mistero giallo, divertita e divertente sulla Roma dell’epoca. In quella concatenazione di eventi cospirano la perversione umana e il caso (da cui il titolo) mescolandosi come un composto chimico di rara perfezione, al fine di alterare la realtà, manipolarla, renderla incomprensibile. Il caso stesso finirà per dare una mano all’indagine, insieme alla bella personalità del solito amico Gualtiero de Lancefroid, sperimentatore di (varie) droghe e (pessimo) suonatore di violino. Ci s’imbatte in innumerevoli patrioti realmente esistiti, nella dialettica calotipi-daggherrotipi per il primo reportage fotografico di guerra dell’Ottocento, negli utili piccioni viaggiatori usati Da Mazzini per scambiarsi pizzini con Cavour, nei mitici locali l’Osteria della Lepre, i Caffè Greco e dei Crociferi, l’albergo Cesari, in pozioni e veleni, in condizioni del manto stradale che lasciano alquanto a desiderare, nella prima pasta alla carbonara (all’inizio con generici pezzi di selvaggina, poi col guanciale) e nella famosa porchetta di Ariccia, nel consigliere giudice Saraceni (a pag. 180), in un Riccetto “trasteverino der vicolo der Cinque” e in altri amabili abituali luoghi e modi (romani) di dire e agire. Con l’autentico Carpano (al gusto di artemisia), l’Elixir di China e il Rum d’importazione competono alla grande i bianchi vinelli dei Castelli Romani. Ormai s’intona Fratelli d’Italia (Mameli era lì) e si canticchia il Va’ pensiero!

Maurizio De Giovanni

«Nozze»

Einaudi

262 pagine per 18,50 euro

Napoli. Febbraio. Il cadavere è quello di una promessa sposa, trovata morta nuda sopra levigate rocce di tufo di una piccola grotta sul mare mentre il suo abito bianco pronto per il matrimonio, ampio e setoso, con merletti e veli, ondeggiava ancora lì davanti in acqua. Si chiamava Francesca Valletta, 28 anni, doveva sposarsi il giorno dopo, era previsto un grande ricevimento a Villa Smeraldo, in collina. Lavorava in una ditta di import-export, col marito avevano deciso che si sarebbero poi stabiliti a Milano da lui. La scena del crimine è in centro, arrivano i due più bei poliziotti del commissariato di Pizzofalcone, il Cinese Giuseppe Lojacono, ispettore imponente atletico asciutto calmo, zigomi alti e occhi a mandorla d’aspetto orientale, e la Rossa Elsa Martini, vicecommissaria da poco in forze tra i Bastardi, capelli rosso scuro e occhi verdi, asciutta flessuosa sostanziosa rabbiosa, appariscente senza trucco e senza vezzo. Chiamano subito la pm Laura Piras, che sempre li aveva aiutati in passato e che ha un’intensa riservata relazione d’amore con Lojacono. Il fatto è che, dopo due anni di fidanzamento, il promesso sposo era Giovanni Sorbo, terzogenito di Emiliano, 67enne presunto patriarca dell’omonimo clan, feroce e potente pregiudicato, con vari processi a carico in corso per molteplici delitti per i quali non è stata ancora dimostrata la diretta responsabilità e, dunque, a piede libero e sotto continua tenace osservazione dell’Antimafia, lì capitanata dal famoso telegenico Diego Buffardi, sostituto procuratore addetto alla specifica direzione distrettuale. Il vicequestore Luigi Gigi Palma mette al lavoro tutti i Bastardi, vengono interrogati colleghi e familiari, ognuno a suo modo scopre qualcosa, hanno poco tempo per trovare chi è stato prima che il caso passi di mano. Le donne hanno una marcia in più, come spesso.

Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) è giunto al nono romanzo della sua ottima e contemporanea serie; a inizio 2017 e fine 2018 i personaggi li abbiamo visti su RaiUno, ormai hanno anche quei volti posture dinamiche. Nel 2020 saranno ancora in prima serata televisiva, le riprese sono iniziate nel novembre 2019. La seconda stagione si era conclusa con l’esplosione di un’auto davanti al ristorante dove la squadra al completo stava festeggiando la conclusione di un’indagine complicata, avendo finalmente chiarito una vicenda oscura di traffici criminali che aveva fatto sospettare proprio dell’ispettore Lojacono. Che non sono stati sterminati lo conferma il nuovo bel romanzo, imperniato su una complicità non scontata fra le investigatrici che colgono l’occasione per riflettere con gli altri sulla loro personale vita di coppia (da cui il titolo). Elsa sola con una splendida intelligente matura ignara figlia 11enne, la gravidanza frutto del sesso di una sera con un padre che non sa nulla e che lavora nella stessa Napoli, lo incontriamo anche noi. Laura innamorata ma, delusa dall’antico triste passato, refrattaria a dare pubblicità e struttura alla coppia pur essendo entrata in sintonia con la figlia di lui, la quasi maggiorenne Marinella. Alessandra Alex Di Nardo contenta di aver avuto la forza di vivere per conto proprio e ancora incapace di spiegare ai genitori (soprattutto al padre generale) che ama appassionatamente persone del suo stesso sesso, ormai da anni la brava bizzosa Rosaria Martone, dirigente della polizia scientifica molto utile all’indagine. Ottavia Calabrese, vicesovrintendente grande esperta informatica, prigioniera di una vita casalinga assorbita dal figlio malato in compagnia di un eccelso marito che però non ama, mentre rimpiange di non potersene costruire una nuova con Palma essendosi entrambi sinceramente dichiarati amore. Un poco i maschi le aiutano, anche Francesco Hulk Romano e Marco Serpico Aragona (pensierosi sui propri affetti) e soprattutto il quasi pensionato convalescente sostituto commissario, il Presidente Giorgio Pisanelli: era compagno di scuola e calcetto di Emiliano Sorbo, le sue nozze (con la moglie ormai morta) sono senza fine. Jazz in sottofondo.

Antonio Manzini

«Ah l’amore l’amore»

Sellerio

340 pagine, 15 euro

Aosta. Fine 2013. Il 21 dicembre il vicequestore Rocco Schiavone è stato operato d’urgenza, hanno dovuto asportargli un rene dopo che aveva subìto una grave ferita durante la sparatoria di qualche giorno prima quando, all’alba insieme alla sua squadra, aveva arrestato la banda di falsari e rapinatori responsabili di un duplice omicidio a Saint Vincent. Nessuno sa da quale pistola sia partita la pallottola, la brava responsabile della Scientifica Michela Gambino non ha ancora potuto esaminare la questione, intanto lui è stato definito eroe e ha ricevuto encomi. Mentre è convalescente e insofferente in ospedale (fuma sigarette e canne al freddo sulle scale esterne, non mangia il vitto e va avanti con caffè e brioche o fette di panettone e tavolette di cioccolato, gira di continuo e tratta male molti), il giorno di Natale la stessa équipe effettua un’altra nefrectomia radicale ma un’improvvisa emorragia e un errore trasfusionale provocano la morte del paziente, Roberto Sirchia, noto e benestante industriale della zona. Schiavone riflette sui casi della vita, però ha conosciuto l’ottimo affidabile primario Filippo Negri, basso e cicciottello, naso grosso e capelli bianchi, pacato e sensibile, non è convinto di sue responsabilità nell’accaduto. Rocco è fuori servizio, dalla questura arrivano Antonio Scipioni (appena vincitore del concorso da viceispettore) e Ugo Casella, per indagare e sequestrare il materiale. Si fa informare circa i primi interrogatori e verifiche, butta là domande in giro, esplora metodi e percorsi dell’ospedale, vede confermati i suoi dubbi e informa il magistrato Baldi e il questore Costa. Mentre un uomo stanzia fuori nell’ombra, il pericolo Baiocchi resta aperto, neve e Capodanno incombono sugli affetti di tutti, sarà presto proprio Rocco a dirigere le indagini e a risolvere il caso. A suo modo.

Nono godibilissimo romanzo dell’eccelsa sospesa serie Schiavone per l’attore e regista Antonio Manzini (Roma, 1964), originale anche perché concepita come opera unica “alla ricerca del tempo perduto”. Dal 2013 finora ha narrato quindici mesi valdostani del suo personaggio romano, sempre con uno straordinario meritato successo (anche in tv, terza serie terminata nell’ottobre 2019). Tutto avviene in terza persona varia al passato. Accanto al dipanarsi noir vi sono le vicende d’amore dei vari personaggi, non a caso il titolo riprende la canzone di Luigi Tenco portata al successo quasi cinquant’anni fa da un album dal vivo di Ornella Vanoni: “Ah… l’amore l’amore, quante cose ti fa fare l’amore; ah… l’amore l’amore, quante parole ti fa dire l’amore”. Rocco ha ripreso a parlare spesso con Marina (l’amatissima moglie morta oltre sei anni prima) e ha qualche nuovo parziale palpito per la giornalista Sandra Buccellato, ex moglie proprio di Costa. Il 30enne Antonio è alle prese con le tre fidanzate 28enni che vivono sposate con altri a Senigallia, due sorelle e una cugina frequentate in parallelo (a fatica) senza commistioni (finora). Il pugliese Ugo s’arrovella rispetto al se e al come dichiararsi alla quieta pratica bionda Eugenia che vive ormai sola col figlio grandicello al piano di sopra (la figlia studia a Torino), da mesi donna dei suoi sogni diurni e notturni (che a tavola mette orecchiette e Primitivo di Manduria). Michela se la fa tra scienziati, con l’anatomopatologo Alberto, entrambi utili a scoprire la verità peraltro. Baldi toglie e mette di continuo la foto della moglie sulla scrivania. Italo Pierron è ancora innamorato del gioco, ludopatico senza remissione di peccati (come barare a poker con complici per spennare altri). Anche i provvisori coinquilini di Rocco hanno nuovi amori: il giovane Gabriele si sta invaghendo di una compagna di scuola, Marghi; la mamma Cecilia sta scegliendo di trasferirsi a Milano all’ufficio comunicazione del Fai (dove è andato a lavorare Maurizio Vento). D’Intino e Deruta poi… Non finisce qui. Nevica.

Joe R. Lansdale

«Elefante a sorpresa. Un’indagine di Hap&Leonard»

traduzione di Luca Briasco

Einaudi

202 pagine, 17 euro

LaBorde. Il gennaio scorso. Tempaccio in East Texas. Freddo, vento, tuoni, lampi, tanta tanta pioggia. Alberi divelti, strade inondate, corrente saltata, dai temporali a un diluvio, a una tempesta, finanche proprio a un uragano. Hap e Leonard hanno finito un lavoro di sorveglianza a San Augustine e stanno tornando a casa. Non c’è nessun’auto per strada, è buio fitto, d’improvviso i fari della loro Prius illuminano una minuta ragazza asiatica albina, a piedi nudi e in pigiama, gli occhi impauriti di un azzurro slavato. La fanno salire dietro, non parla, ha la bocca piena di sangue. Poi sbuca un Suv nero, esce un nero grande e grosso che solleva una pistola e spara. Scappano, vengono inseguiti, rispondono al fuoco, il Suv sbanda e finisce in un fossato pieno d’acqua sul lato della strada. Portano la ragazza in ospedale, qualcuno aveva cercato di tagliare la lingua della giovane, segata quasi a metà. In piena notte avvisano gli agenti di servizio, il Suv c’è ancora, vuoto e identificato come rubato. I nostri due eroi vengono interrogati alla stazione di polizia della piccola città, mentre un bravo poliziotto è piazzato davanti alla porta della ferita, Nikki è già sotto intense cure mediche. Hap avvisa la sua rossa Brett, rintanata a casa con Chance, Reba e Buffy. Le spiega cosa è accaduto, che non sanno niente della ragazza e che intuiscono non sia ancora al sicuro. Tornano in ospedale e fanno bene. Qualcuno la vuole presto morta, sono tanti e molto cattivi, hanno mezzi e coperture potenti, risulteranno disposti a uccidere chiunque si metta di mezzo. C’è poco da indagare, si tratta solo di tentare di salvarla e salvarsi fra le intemperie del pessimo tempo da lupi, senza saperne bene il motivo.

Un nuovo romanzo di botte sanguinanti e sparatorie letali, classico hard-boiled, arricchisce la divertente intelligente serie noir di Joe R. Lansdale (Gladewater, 1951). Gli allenati ma attempati Hap e Leonard vorrebbero stare tranquilli, rischieranno l’osso del collo e, come al solito, useranno varie volte non solo le arti marziali ma soprattutto il fattore sorpresa, violenza necessaria fatta virtù con l’ironia, trovate un po’ sceme ma piene d’energia, l’elefante come lo chiamano loro (da cui il titolo). Il narratore è ovviamente Hap, al passato. I capitoli sono brevissimi e i dialoghi la fanno sempre da godibili padroni, fra i due, fra i due e altri, fra i due e i cattivi, tenendo presente che il peggiore è questa volta Wilson Keith, il re del crimine di tutto il Texas orientale; più che al figlio si affida alla crema della crema, una squadra di sicari e delinquenti molto armata ed efficiente, forzuti e forzute della High Cotton Gang, pagati per far diventare LaBorde come Juárez all’apice delle guerre di droga. Per la somma giusta ammazzerebbero anche le loro madri. Mentre a loro volta i due si sono subito affezionati a Nikki che pure, forse, non è proprio uno stinco di santa. Sarà arduo contare i morti. Così Hap per tutta l’avventura mantiene il rovello delle sue regole da idealista ferito ed esitante, con un’anima “liberal” e una mira eccelsa: non c’è motivo di ammazzare una persona se non risulta proprio indispensabile, bene cercare giustizia senza agire per rabbia o vendetta e senza distruggere la speranza, meglio non usare sempre e solo pugni e armi per risolvere i problemi gravi. Peraltro un tempo ballava bene e la playlist di Brett merita morbido ascolto: Runaround Sue di Dion, Beach Boys, primi Beatles, Buddy Holly, Johnny Cash e tutti gli dèi del rhythm and blues.

Luca Crovi

«La storia del giallo in 50 investigatori»

Centauria

Pianeta Terra. 1841 (Dupin) – 2013 (Schiavone). Alcuni fanno risalire la figura del primo investigatore al Dio della Bibbia, altri citano i testi di Sofocle, Erodoto, Eliodoro o Le Mille e una notte (900 d. C.), altri ancora Shakespeare o Voltaire. Tutti gli studiosi concordano però che, se si deve trovare un padre nobile e consapevole del genere della detective story, il dito va puntato verso l’americano Edgar Allan Poe e verso il suo eccentrico Auguste Dupin. Dopo di lui un diluvio di personaggi mitici, espressione di tutti i continenti e di quasi tutti i Paesi e di molte lingue, uomini e donne (pure italiani ovviamente, una decina), singoli individui o coppie o squadre, narrati in prima o in terza persona, individuati in romanzi seriali o unicum, come (anche solo) nei fumetti e in televisione. Il bravissimo esperto, conduttore radiofonico e fumettologo Luca Crovi (Milano, 1968) ha selezionato cinquanta celebri investigatori, ne ha compilato una scheda essenziale (creatore, data della prima apparizione, descrizione in poche parole, eventuali soprannomi e attori chiamati a interpretarli), ne ha poi narrato sulla base delle fonti certe un godibile arguto ritratto condensabile in una cartella per ciascuno. L’elenco in ordine alfabetico inizia dall’87° Distretto (McBain, 1956) e termina con Nero Wolfe (Stout, 1934). Credo che vi siano solo due di loro che vanno attribuiti alla stessa penna, quella dell’immensa Agatha Christie (Miss Jane Marple 1927 e Poirot 1920). Dai fumetti vengono Batman 1939, Dylan Dog 1986, The Spirit 1940, Dick Tracy 1931; dalla televisione (americana e italiana) i tenenti Colombo 1960 e Sheridan 1959. Apprezzabile il notevole competente equilibrio nella scelta; ogni lettore potrebbe segnalare una propria ingiustificata presenza o assenza, però l’insieme tiene davvero bene conto dei quasi due secoli della articolata storia culturale di un genere di globali successo e diffusione, con protagonisti imprescindibili per quasi ogni letteratura nazionale.

Il volume è un buon regalo per tutti gli appassionati, divertente senza pedanterie. Nell’introduzione l’autore offre spunti curiosi innanzitutto di carattere storico e comparato, con paragrafi essenziali: chi è stato il primo e quali sono stati i primi veri passi; la nascita di Sherlock Holmes; la scuola francese e spagnola; i gialli scientifici, psicologici, a enigma; la semplice arte americana del delitto; l’arrivo dei serial killer; il cambio del mercato e i nuovi private eye; i neri di Goodis, Thompson e Himes; poliziotti indiani, russi e americani; ergastolani e mafiosi; legal e autoptic thriller; la scuola italiana; noir e thriller nordici; fumetto, illustrazione e televisione. Segue la disamina del gergo della suspense, ovvero un piccolo glossario dei termini giallo, hard-boiled, mystery, noir, pulp, thriller, spy-story, procedural, polar. Non poteva mancare prima dell’elenco un ironico originale decalogo delle regole del genere, partendo dalle venti individuate nel 1928 da Wright (S.S. Van Dine). Il tutto corredato da un’accurata grafica (gialla) e da belle illustrazioni a colori di Angelo Montanari; nelle stesse pagine dedicate ai magnifici 50 a destra c’è il testo, a sinistra un disegno specifico: il cappello degli agenti per l’87°, la nuca e la vestaglia con orchidee per Wolfe. Una (parziale) bibliografia completa il bel volume di feconda frequente consultazione, mentre manca l’indice dei nomi.

 

Redazione
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