Cuba: le contraddizioni di Trump e dei repubblicani

Riprende la guerra senza sosta degli Stati uniti contro l’isla rebelde

di David Lifodi

All’inizio dell’estate, all’interno del teatro Manuel Artime di Miami, Donald Trump ha pronunciato un discorso provocatorio nei confronti di Cuba. Di fronte ad un pubblico composto da veterani della Baia dei Porci, a cui il presidente Usa ha reso omaggio, e più in generale da gran parte degli esponenti della mafia cubano-americana, Trump ha utilizzato la peggior retorica della guerra fredda per sottolineare la sua volontà di cancellare il processo di normalizzazione con l’isola ribelle promosso da Obama.

Il percorso del precedente inquilino della Casa bianca verso Cuba, per quanto caratterizzato soprattutto da ragioni opportunistiche, aveva però avuto il merito di avvicinare due popoli, nonostante Obama si fosse guardato bene dal revocare l’embargo. Trump è partito proprio da questo punto, il rafforzamento del bloqueo, per ribadire la sua contrarietà al turismo statunitense a Cuba, riconoscendo all’isola soltanto il diritto alla sovranità, ma tornando di fatto a quelli che il governo cubano ha definito come “metodi coercitivi del passato”. Tra i provvedimenti di Trump, il divieto di turismo ordinario verso Cuba per i cittadini Usa, oltre alla restrizione dei viaggi già esigui autorizzati dall’amministrazione Obama. Non solo. Da parte di Washington saranno mantenute le sanzioni economiche e difficilmente si riproporranno le condizioni affinché gli Stati uniti si astengano, alle Nazioni Unite, nella votazione per il rafforzamento dell’embargo imposto a Cuba. Inoltre, per far capire che l’aria è cambiata, Trump ha reso omaggio a Bonifacio Haza, alla guida della polizia all’epoca della dittatura di Fulgencio Batista e responsabile dell’uccisione di Frank País, figura storica della rivoluzione cubana.

Tuttavia, la decisione dell’amministrazione Trump ha aperto più di una frattura all’interno della stessa mafia cubano-americana e dei settori più oltranzisti della destra repubblicana. Secondo il senatore repubblicano dell’Arizona Jeff Flake, autore di un progetto di legge destinato ad eliminare  le restrizioni dei viaggi a Cuba, tutte le misure volte ad impedire la possibilità di recarsi nell’isola per i cittadini statunitensi non fanno gli interessi degli Usa. Della stessa opinione un altro collega di partito di Flake, Mark Sanford, congressista repubblicano della Carolina del Sud, mentre il senatore Jerry Moran, anch’esso repubblicano, ha ricordato come Cuba rappresenti un mercato ideale per gli agricoltori statunitensi e per questo motivo ha espresso tutto il suo disaccordo nei confronti della linea dura di Trump. Addirittura, sempre all’interno dei repubblicani, c’è chi ha evidenziato come l’attacco di Trump verso Cuba non abbia nulla a che fare con la sua volontà di far rispettare i diritti umani nell’isola, perché  altrimenti non avrebbe venduto armi ai sauditi. Ad esprimere preoccupazione e disappunto per la chiusura di Trump anche la Camera di commercio degli Stati uniti, che raggruppa circa tre milioni di imprese e l’associazione American Farm Bureau, che ha accusato Donald Trump di pregiudicare il mercato per i prodotti agricoli statunitensi.

Al tempo stesso, va detto che la levata di scudi contro Trump interna al suo stesso partito non ha niente a che fare con un reale interesse degli Stati uniti verso le condizioni di vita del popolo cubano. Nessuno, infatti, ha messo in discussione la legge Helms-Burton, firmata dall’allora presidente Bill Clinton nel 1996 con lo scopo di ampliare il bloqueo già imposto dall’odiosa legge Torricelli nel 1992. È stato grazie anche alla solidarietà con Cuba espressa da gran parte degli stati latinoamericani e caraibici che Obama, alla fine, è stato costretto a stabilire delle relazioni diplomatiche con Cuba che, fortunatamente si è abituata comunque a  difendersi da sola. Il ministro degli Esteri di Cuba, Bruno Rodríguez, ha denunciato il vergognoso elogio di Trump dei cubano-americani di Miami, mentre, a proposito dei diritti umani, da L’Avana Cuba ha ricordato come gli Stati uniti non abbiano alcuna autorità morale per ergersi a paladini in questo campo. Come non poter abbassare lo sguardo, in effetti, di fronte ai numerosi omicidi degli afroamericani, ai morti causati dalla diffusione scellerata delle armi da fuoco, ai milioni di persone abbandonate a se stesse perché prive di assicurazione medica, al disprezzo delle politiche ambientali e ai casi di esecuzioni extragiudiziali e di tortura, alcuni dei quali avvenuti nello stesso territorio cubano nella base navale di Guantanamo.

In definitiva, il proclama di Trump lanciato dal teatro Manuel Artime della Piccola Avana, così viene definita Miami, ha finito per rivelarsi un boomerang all’interno dello stesso vasto fronte anticubano, anche perché ha evidenziato la contraddittorietà del presidente Usa del suo staff. Solo pochi mesi fa, il 20 aprile 2017, sedici militari di alto grado inviarono una lettera aperta al generale MacMaster, delegato da Trump alla sicurezza nazionale, invitandolo a tutelare la stabilità economica di Cuba e a riconoscere il valore strategico del paese all’interno del contesto politico latinoamericano. Ad uscirne a testa alta, come sempre, finora è solo quell’isola ribelle che ancora oggi rappresenta una guida ed un esempio per tanti paesi che non intendono sottostare ai diktat di Washington.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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