Cultura di morte, allons enfants

di Bozidar Stanisic

A dodici anni dalla fine dell’intervento “umanitario” nell’ex Jugoslavia, attraversando gli interventi nell’Iraq e nell’Afganistan, un semplice mortale – che non ha investito neppur un centesimo nei titoli del petrolio e in banche guerrafondaie che accreditano la produzione delle armi – addormentatosi sul meledetto divano e nelle maledette pantofole credo riesca a dire, fra sé e sé: la stessa meta, la stessa distanza. Forse il tempo post-Muro e dell’agonia del tutto post-post-Moderno davvero non esiste? Può essere che sia vero, ma, passati dodici anni dalle bombe su Belgrado e venti da quelle di Bush senior sull’ Iraq, noi – ancora pensanti, aldilà della saggezza guadagnata del sonno “giusto” dei mortali che si svegliano presto per lavorare dalle 8 alle 17 (dopo siamo liberi a fare la spesa e pagare le bollette, incluse imposte militari, non visibili ma comprese, almeno che si sappia) – possiamo, prima dell’ultimo profondo sbadiglio, dichiarare: l’Onu è morta in Bosnia e Ruanda; il diritto internazionale è morto sui cieli della Serbia ma è resuscitato, in veste americana, nel Kosovo, in quella base quasi uguale a quella di Aviano (sotto l’egida del cadavere dell’Onu); le prove Iraq-Afganistan erano sufficienti per porre la domanda: “chi è il prossimo’”; guidati dai petrolieri (multinazionali e non) insaziabili siamo bipedi con le marmitte delle macchine o esseri con cuore e cervello?

Poi, sogni d’oro a tutti. Ora sta toccando la Libia.

Ecco, di nuovo è il mese di marzo. Non è bombardata Belgrado, né Bagdad (gli obiettivi in Iraq ormai sono scarsi, quale matto vorrebbe distruggere mete già distrutte?). Il nuovo obiettivo è Tripoli del colonnello Gheddafi (che non può godere delle simpatie di nessuno convinto che un passaggio al meglio nella storia di questo Paese debba essere messo in conto). Le potenze occidentali per ora non sono in 19 contro 1, come nel caso Belgrado, ma abbastanza numerose. Con un po’ di caos nello stato maggiore che non sa sa se è a Parigi o a Bruxelles , forse al Pentagono; Norvegia sì, Norvegia no. E nessuno si chiede cosa collega i fiordi scandinavi e il deserto libico ma pure gli ammalati di mente direbbero: il petrolio, è giusto che ogni sciacallo venga a prendere un pezzo dell’animale moribondo… Le potenze occidentali guidate da un guerrafondaio di nome Sarkozy (allons enfants), il 18 marzo, alle 17.45, neppur finito il summit sull’intervenire o no, hanno cominciato raid aerei contro la Libia ma, bisogna aggiungere, anche contro i civili: donne, bambini, vecchi, ammalati. Dalle navi di guerra americane finora sono sparati 110 missili, ovviamente tutti “umanitari”, per la protezione dei civili.

Oggi sono passati 12 anni dalla pubblicazione sul Messaggero Veneto della lettera, scritta insieme all’amico don Pierluigi Di Piazza, responsabile del Centro “Eernesto Balducci” di Zugliano (Udine), intitolata La cultura della morte. Allora si trattava dell’intervento della Nato contro Belgrado del 1999. Abbiamo scritto anche altri articoli, ovviamente di protesta, contro gli interventi militari. Oggi, ascoltando i rumori dei caccia della base di Aviano in allerta bellica, noto con amaro piacere che anche se in molti (comunque non sufficientemente numerosi), siamo di nuovo impotenti, anzi impotentissimi di fronte alla questione cruciale dei nostri tempi: perché alle oligarchie, solo in apparenza democratiche, offrire l’assegno in bianco di chi li ha votati? Per ricordare, solo per ricordare: sono quelle oligarchie che, serve dei più ricchi del mondo, con il nostro assegno in bianco (la formazione dei Parlamenti, inclusi i Larussa, i Dalema, i Casini…) aiutate dei servi dei mezzi mediatici, ci presentano il futuro a loro misura. Quando pronunciano “libertà” noi leggiamo…? Che cosa? Ci vuole molta fantasia?

Ma siamo davvero impotenti, noi, tutti? Senza il nostro contributo (in tasse e imposte) quei caccia sopra i cieli della Libia, con denti di squalo disegnati sulle lamiere, avrebbero potuto mandarci i loro sorrisi beffardi?

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