Da rileggere: «Memorie di una sopravvissuta»

Doris Lessing dopo Donna Haraway. Giuliano Spagnul intervista Loretta Borrelli (*)

Giuliano Spagnul: Cosa ci può offrire oggi, in questo tempo di alterazione di tutto ciò che consideravamo consolidato dalle abitudini del quotidiano, la rilettura di un vecchio testo degli anni Settanta Memorie di una sopravvissuta di Doris Lessing?

Loretta Borrelli: – In Memorie di una sopravvissuta c’è una protagonista, di cui non conosciamo il nome, che ci racconta della propria esistenza in una società in cui è accaduto qualcosa che ha provocato la distruzione dell’ordine sociale in cui viveva, e questo qualcosa non viene mai svelato all’interno del romanzo. In questa situazione di disagio in cui la protagonista continua a vivere secondo una abitudinarietà e una quotidianità preimpostate (come se vivesse in una società prima della catastrofe), “la gente fa di tutto per adeguarsi a una ‘vita normale’, (…) gli aspetti più bizzarri e frenetici, orrendi, minacciosi, l’atmosfera d’assedio o di guerra… si combinavano con quelli più consueti, abitudinari, addirittura decorosi.” La protagonista in questa atmosfera inizia un proprio percorso, prima di tutto all’interno del proprio appartamento guardando ripetutamente una parete inizia a visualizzare, quasi come se fosse in uno stato onirico o allucinatorio, quello che c’è al di là della parete: altre stanze, altri mondi, che non sono altro che un espediente narrativo usato da Doris Lessing per raccontarci del mondo interiore della protagonista. E improvvisamente, la vita della protagonista cambia a causa di un evento particolare, l’arrivo in casa di una ragazzina di nome Emily con la quale instaura una strana relazione. A partire da questa relazione è interessante il romanzo di Lessing, perché ci riporta rispetto all’ultimo libro di Donna Haraway Chthulucene a quello che era un punto centrale della pratica politica che Donna Haraway propone: quella di creare parentela e non fare bambini. Costruire delle relazioni con i soggetti più diversi che possono aiutare a sopravvivere in una condizione di catastrofe, una situazione di disagio, che è la stessa che vive la protagonista del libro. Questa relazione comunque non è facile da costruire e quindi l’aspetto importante di questo romanzo sono tutte le difficoltà che si vengono a creare all’interno della relazione con la bambina. Più una serie di eventi che cambiano man mano la relazione e rendono anche la protagonista consapevole di un limite di visione che lei ha rispetto alle possibilità che questa bambina può costruire all’interno di una società diversa in cui l’ordine sociale costituito non esiste più. In particolare ci sono degli eventi specifici come l’incontro con un ragazzo più grande, adulto, di nome Gerald, che è un personaggio particolare e che si propone di costruire quasi una sorta di comunità di bambini dispersi che si basa su dei valori diversi, come l’assenza di proprietà privata, l’assenza di gerarchie e di regole,

GS: – Stai dicendo che Gerald è portatore di un’utopia vecchia, che appartiene al passato.

LB: – Sì, di quell’utopia che si costruiva pian piano, in un progetto rivoluzionario, ma che ben presto ha dimostrato l’incapacità di gestire i rapporti di potere in modo diverso dal vecchio mondo che voleva cambiare. Come nella realtà, così nel romanzo i bambini sentono la necessità di ricostruire un’autorità, un soggetto che gli dia delle regole, che crei l’ordine e la tranquillità all’interno di questa comunità. Ma questa comunità in via di nuova formazione si sfalda quando c’è un incontro ancora più scioccante: quello con altri bambini arrivati a uno stadio di vita selvaggia, che attuano pratiche di cannibalismo e che risultano assolutamente incontrollabili secondo quello che sono i dettami e i valori della società che si sta pian piano disgregando. Nel romanzo Lessing ci parla di tutti questi eventi esterni al suo appartamento, però ci parla anche di quello che è il mondo che trova al di la della parete. Questo mondo sono altre stanze, messe a soqquadro. Stanze che lei, in alcuni momenti, vive come impersonali, ambienti che non le appartengono, in cui sente la necessità di mettere ordine, come se ci fosse un qualche cosa da fare per rimettere in ordine la situazione. In altre rincontra e rivive delle situazioni familiari in cui lei può assumere anche l’aspetto della bambina, in una culla bianca che viene curata o maltrattata dai genitori. Condizioni familiari che forse appartengono alla vita della protagonista e questi frammenti di ricordi dell’infanzia si sovrappongono poi alle parti di vita della bambina Emily. In un qualche modo Lessing ci dice che la costruzione di queste relazioni passa attraverso l’indagine interiore, la comprensione di se stessa e di quello che è il rispecchiamento in questa bambina, lasciandola però libera di agire in un mondo che lei comprende solo parzialmente. Perché la protagonista non riesce ad afferrare la complessità di quello che sta accadendo all’esterno. Lo dichiara già dall’inizio, per noi il nemico era la realtà, l’aprire gli occhi su ciò che sta succedendo. Ma lo fa, pian piano, in questa relazione.

GS: – Lo spazio interiore, secondo te, è lo stesso immaginato da Ballard? Prefigurato come uno spazio che si contrappone allo spazio esterno, quello classico della fantascienza?

LB: – Lo spazio interiore di Lessing non si contrappone allo spazio esteriore, in realtà si pone in dialogo con esso. È sempre un interno/esterno quello che si vive, c’è sempre l’attraversamento di una soglia. Tutto quello che accade all’interno dello spazio immaginato al di là del muro non ha, a livello narrativo, delle ricadute immediate sullo spazio esterno, ma sicuramente possiamo vederne gli effetti nella relazione con Emily e poi anche con lo spazio esterno, con tutto quello che accade al di fuori dell’appartamento. La protagonista non guarda solo quello che c’è attraverso il muro, ma anche fuori dalla finestra e prende atto pian piano dell’odio sociale che sta disgregando tutto. Allo stesso modo in cui si disgrega la propria idea di identità. C’è quindi una sorta di inquietudine creata dal disgregarsi dell’ordine sociale, del proprio concetto di se stessi e del tipo di relazioni che si possono instaurare in un contesto catastrofico. Quindi non è oppositivo né separato ma è ibridato, qualcosa che si incrocia. Soprattutto non è né lineare né consequenziale né causale e si compone in maniera del tutto caotica, non c’è una soluzione, una direzione da prendere. La protagonista cammina senza uno scopo, facendosi incuriosire da degli oggetti o da delle presenze che percepisce. E la stessa cosa fa quando segue Emily nelle sue avventure all’interno della città o quando la segue all’interno della comunità dei bambini. La segue per comprendere, senza mai però influenzare il comportamento della ragazza.

GS: – Secondo te il finale di questo romanzo apre comunque a una nuova utopia, una speranza per un mondo diverso e migliore o no?

LB: – Questa è una domanda complessa che prevedrebbe che cosa si intende per utopia. Nel finale del romanzo c’è un’apertura a una possibilità. Verso la fine ci si trova di fronte alla creazione di comunità terribili proprio all’interno dello stesso condominio della protagonista con questi bambini che vivono ormai una condizione selvaggia, senza regole. I due protagonisti più giovani, Gerald e Emily, nel finale attraversano anche loro lo spazio interiore, quelle stanze che si aprono nell’appartamento della protagonista e lo fanno con questi altri ragazzini che abbracciano Gerald. Si ha la sensazione che ci sia un nuovo inizio, l’inizio di qualcosa di non definito, di cui non si sa cosa sarà, se positivo o negativo. C’è un’apertura alla possibilità. Questa apertura del possibile senza una direzione di valori o una progettualità prestabilita potrebbe essere interpretata come un’assenza di un progetto utopico. Per quanto mi riguarda penso che l’apertura alle possibilità, una possibilità non lineare, una possibilità che si basa su delle relazioni che non sono necessariamente positive o negative ma vissute sul momento, costituisce comunque uno scarto utopico, un qualcosa che ci dà una fiducia per un possibile. È comunque la costruzione di un futuro. Che non è solamente di sopravvivenza e di relazione strumentale, ma è anche costruzione di qualcosa di non definito. Lessing non dà delle regole, non ci dice quali sono le modalità per costruire delle relazioni, ci dice però in maniera chiara che costruire relazioni e parentele non è cosa semplice. È un percorso che prevede indagini complesse e anche la consapevolezza di una parzialità. La protagonista è consapevole di avere dei traumi, di avere una visione del mondo che appartiene al vecchio ordine e da quella posizione lì instaura la nuova relazione con Emily quasi in punta di piedi, a lato, prendendosi cura di questa bambina per vedere, anche lei, una possibilità in quella distruzione, in quella catastrofe.

GS: – Un finale aperto, che in quanto tale dà ancora una speranza.

(*) Loretta Borrelli Si occupa e scrive di arte legata allo sviluppo dei media e al femminismo. Da anni parte del progetto AHA (Artivismo, Hacking, Attivismo). È stata tra le fondatrici del progetto  aspirinalarivista.it  (adesso erbaccelarivista.org  e  erbacce.org). Ha curato con Fabio Malagnini la raccolta di saggi di Antonio Caronia, Dal cyborg al postumano, biopolitica del corpo artificiale (Meltemi 2020).

In “bottega” cfr «Memorie di una sopravvissuta» di Doris Lessing

 

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