La morte di Dag Hammarskjold: incidente o complotto?

di Stephanie Hegarty – BBC World Service – (http://www.bbc.co.uk/news/magazine -14913456) . 17 settembre 2011

Esattamente 50 anni fa, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjold, morì in un incidente aereo mentre era in missione per prevenire la guerra civile in Congo, da poco tempo indipendente.

I sospetti che l’aereo sia stato abbattuto, mai completamente sopiti, ora aumentano di nuovo.

Dopo la sua morte, Hammarskjold fu definito dal Presidente degli USA, John F. Kenne­dy, “il più grande statista del nostro secolo”. Era un uomo che vedeva le Nazioni Unite come uno “strumento dinamico” per organizzare la comunità mondiale, un protettore delle piccole nazioni, indipendente dalle grandi potenze, che agiva solamente nell’inte­resse della pace. Unica persona ad essere insignita del Premio Nobel per la Pace postu­mo, istituì la prima missione armata di peacekeeping dell’ONU in seguito alla crisi di Suez.

Poco dopo la mezzanotte del 18 settembre 1961, si stava dirigendo a negoziare una tre­gua con una regione secessionista e ricca di minerali del Congo, dove un’altra delle sue missioni di peacekeeping si stava impantanando, tra le complesse questioni della decolo­nizzazione e le rivalità della Guerra Fredda. Ma il suo DC6 si schiantò nelle tenebre poco prima dell’atterraggio, in una foresta presso Ndola nella Rhodesia Settentrionale – l’attuale Zambia.

Knut Hammarskjold, suo nipote, visitò il luogo dell’incidente diversi giorni dopo.

I pezzi dell’aereo erano sparsi dappertutto” – racconta – “Io non vidi nessun corpo, penso che fossero stati rimossi prima”.    Ricorda le reazioni in patria, in Svezia, dove suo zio era un eroe nazionale.  Erano tutti molto scossi. Posso dire che l’intera Svezia si sentì colpita. Tutti i negozi avevano la sua fotografia nella vetrina, ed ebbe un funerale di stato, cosa molto inusuale per una persona del ministero degli Esteri”.

Volontà di ferro

Otto anni prima, quando i membri del Consiglio di Sicurezza nominarono segretario generale quel modesto svedese, non potevano immaginare l’ardore con cui avrebbe condotto il suo lavoro.

 “Era un uomo molto spirituale, di grandi doti intellettuali, molto colto e tutto ciò faceva parte del suo approccio mistico alla vita”, ricorda Dame Margaret Anstee, il primo sottosegretario donna alle Nazioni Unite, che allora stava incomincian­do una quarantennale carriera nell’organizzazione. “Era di un indiscutibile riservatezza di una dignità senza eguali”

Ma ben presto acquistò fama per la sua indipendenza e la sua audacia. Invece di rimane­re nel suo ufficio di New York, l’agire in prima persona divenne il suo marchio di fab­brica. Negoziò personalmente il rilascio di 15 aviatori americani che erano stati impri­gionati in Cina, quando la Repubblica Popolare non era ancora rappresentata all’ONU. “Possedeva capacità di persuasione e di mediazione combinate con una quasi ferrea de­terminazione ad arrivare dove voleva” – continua Margaret Anstee. “Ma naturalmente, proprio per questo motivo, entrò in conflitto con coloro che volevano usare le Nazioni Unite per i propri scopi”.

In Congo, una delle questioni in gioco era chi avrebbe controllato la provincia meridio­nale del Katanga, ricca di rame,uranio e stagno. Il Belgio, l’ex-potenza coloniale, appog­giava un movimento secessionista guidato da Moise Tshombe, come facevano l’Inghil­terra e gli USA, che avevano interessi minerari nella regione.

Ma sin dall’inizio Hammarskjold sostenne le autorità centrali, regolarmente elette, prima il governo del primo ministro Patrice Lumumba, appoggiato dai sovietici, e in seguito, dopo che Lumumba fu deposto e assassinato, il primo ministro Cyrille Adoula. Ham­marskjold voleva arrivare ad una soluzione negoziata tra Tshombe e il governo centrale, un obiettivo che divenne ancor più pressante dopo che i peacekeepers dell’ONU si erano trovati in inferiorità di armamento, durante un’offensiva per spingere i mercenari stra­nieri fuori del Katanga.

Tshombe stava aspettando di parlare con lui a Ndola, la notte in cui morì.

Foto truccate

La caduta del suo aereo non é mai stata completamente spiegata.

Due indagini avviate nella Federazione del Centro Africa, governata dai britannici, che includeva la Rhodesia del Nord, furono seguite da una inchiesta ufficiale da parte delle Nazioni Unite che concluse che un atto criminale non poteva essere escluso. Così non si si é mai smesso di proporre nuove spiegazioni e di fare nuove domande.

Circa 30 anni dopo l’incidente, nel 1992, due uomini che avevano servito come delegati dell’ONU in Katanga, subito prima e subito dopo la morte di Hammaskjold – Conor Cruise O’Brien e George Ivan Smith – scrissero una lettera al Guardian affermando di avere le prove che l’aereo era stato abbattuto, accidentalmente, da mercenari. Nella loro versione, uno sparo di avvertimento volto a deviarne la rotta, verso colloqui alternativi con degli industriali in Katanga, di fatto colpì il velivolo e ne causò la caduta.

Nel 1998 in Sudafrica, la commissione Verità e Riconciliazione, guidata da Desmond Tutu, pubblicò otto lettere che alludevano all’implicazione della CIA, del MI5 e dei ser­vizi sudafricani nel sabotaggio dell’aereo. Funzionari britannici risposero che si trattava di falsi prodotti dai sovietici.

Nel 2005, il capo del servizio di informazione militare dell’Onu in Congo nel 1961, Bjorn Egge, rivelò al giornale Aftenposten di aver notato un foro rotondo nella fronte di Hammarskjold, quando vide la salma nella camera mortuaria. Disse che avrebbe potuto essere un foro di proiettile e che era stato misteriosamente cancellato nelle foto ufficiali.

Durante gli ultimi quattro anni, un cooperante svedese, Goran Bjorkdahl, ha effettuato ampie ricerche e una accademica britannica, Susan Williams, questo giovedì (il 15 set­tembre n.d.t.) ha pubblicato un libro – Chi uccise Hammarskjold?

Entrambi concludono che probabilmente l’aereo fu abbattuto.

Bjorkdahl iniziò le sue indagini dopo aver ereditato dal padre, che aveva lavorato in Zambia negli anni 70, un pezzo della fusoliera dell’aereo che inspiegabilmente recava dei piccoli fori. Egli individuò 12 testimoni, nei cui resoconti di quella notte tre punti sembrano ripetersi: il DC6 volteggiò due o tre volte prima di cadere; un aereo più picco­lo gli volava sopra; una luce intensa balenò nel cielo sopra l’aereo più grande prima che cadesse.

Sei testimoni inoltre ricordano di aver visto uomini in uniforme presso il luogo dell’inci­dente quella mattina, sebbene i rapporti ufficiali affermino che esso non fu localizzato che dopo le 15 di quel giorno.

Anche le inchieste ufficiali svolte all’epoca contengono dichiarazioni di testimoni che fanno riferimento ad un secondo aereo in volo. Uno degli interrogativi cruciali che Williams pone nel suo libro é perché questa ed altre imbarazzanti osservazioni non furo­no tenute in considerazione, o in alcuni casi falsificate, nel corso dell’inchiesta ufficiale rhodesiana. Secondo la sua opinione si trattò chiaramente di un insabbiamento. Su tre delle sue scoperte pone particolare enfasi:

 le foto del corpo di Hammarskjold furono prese in modo da nascondere la zona vicina all’occhio destro o, dove l’occhio é visibile, mostrano segni di essere state ritoccate, forse per nascondere una ferita;

l’unico sopravvissuto al disastro, Harold Julien, disse che ci fu un’esplosione prima che l’areo precipitasse – la sua testimonianza non fu tenuta in considerazione col pretesto che stava male ed era sotto sedativi, ma Williams ha trovato la dichiarazione di un medi­co che affermava che al momento era lucido (morì alcuni giorni dopo a causa delle feri­te);

un agente di intelligence americano presso una stazione d’ascolto a Cipro, dice di aver ascoltato una registrazione di cabina da Ndola, in cui un pilota dice di essere sempre più vicino al DC6 – si sentono le armi sparare – e poi le parole “L’ho colpito”.

Non c’é nessuna “pistola fumante” ma una massa di prove che puntano nella direzione dell’abbattimento da parte di un secondo aereo.” – ha dichiarato Williams alla BBC – “Questa é una spiegazione molto più convincente e convalidata di qualunque altra”.

C’era uno schieramento, che comprendeva i bianchi rhodesiani e le compagnie minerarie belghe e britanniche, “che si sentiva in guerra con l’ONU e il nazionalismo africano”, spiega, e che aveva un motivo per impedire che Hammarskjold e Tshombe riuscissero a negoziare un accordo.

Diplomatico modello

Il principale consigliere di Hammarskjold all’epoca, Brian Urquhart, dice che é “vera­mente sbagliato” pensare che “di notte, senza una radioguida da terra, si potesse abbatte­re o anche solo localizzare un aeroplano”. Ma secondo gli esperti interpellati da Wil­liams, il DC6 in procinto di atterrare all’aeroporto di Ndola, in una notte illuminata dalla luna, era come “un’anatra seduta”.

Williams argomenta che é giunto il momento di aprire una nuova inchiesta e Knut Ham­marskjold, dopo aver saputo delle nuove prove di Williams, ne ha fatto richiesta egli stesso.

Cinquant’anni dopo, suo zio é ancora un modello per chi lavora alle Nazioni Unite, rac­conta Knut. “Sono in molti, mi é stato riferito, ad avere ancora la sua foto sulla scrivania e Kofi Annan (ex-Segretario Generale) dice di chiedersi sempre quando c’é un proble­ma: Cosa avrebbe fatto Dag in questa situazione?’”.

Secondo Dame Margaret Anstee, Hammarskjold aveva il coraggio di sostenere con forza i propri princìpi e di opporsi agli stati membri più potenti, cosa che é mancata ai suoi successori.

Ci fu un tacito accordo per non aver mai più un segretario generale così risoluto”, con­clude. “Penso che si possa dire che non lo hanno più avuto”  

Traduzione di Massimo Lambertini

Massimo Lambertini

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