Dal profondo Sud degli Usa – 2

di Marco D’Eramo (*)

Deramo-KAMAU

MARCO D’ERAMO INVIATO A JENKINSVILLE (SOUTH CAROLINA)

La casetta unifamiliare in legno, bianca col tetto verde, sorge un po’ scrostata proprio accanto alla strada provinciale che si snoda tra boscaglie solitarie ad appena 30 km da Columbia, la capitale della South Carolina (S-C).

Kamau Marcharia mi aspetta davanti alla porta di casa, occhi vivaci dietro gli occhiali, maglietta a maniche corte sulle nere braccia muscolose, cappellino senza tesa, medaglione al collo.

«Andiamo al lago, prendiamo la mia macchina» mi dice. Rischiamo d’investire enormi uccellacci: «Noi li chiamiamo gli avvoltoi tacchini, si nutrono delle bestie falciate dalle auto sulla strada. Ma il vero pericolo sono i cervi: ce ne sono tantissimi da quando è cominciato il ripopolamento, appaiono all’improvviso contro l’auto, causano almeno due o tre morti l’anno nella contea, e centinaia di migliaia di dollari di danni». Mentre guida, mi parla della contea (provincia) Fairfield, di cui lui è consigliere provinciale e in cui abita. Una contea rurale, mentre sfilano davanti a noi mobile homes sgangherate: «Al telefono ho detto che abito a Jenkinsvile perché noi chiamiamo così quest’area, e così è segnata sulle carte, ma il paese di Jenkinsville vero e proprio ha solo 8 abitanti». La contea si estende su quasi 2.000 kmq, con solo 24.000 abitanti, di cui due terzi neri, ma nel consiglio provinciale ci sono quattro bianchi e tre neri. «In Alabama, su 46 contee, 15 sono a maggioranza assoluta nera e altre 5 hanno almeno il 30% di votanti nero». Passiamo davanti a un chiesa, e Kamau nota en passant: «Qui i bianchi continuano ancora a bruciare le chiese dei neri».

Arriviamo al lago, ci sediamo su una panchina ombreggiata vicino alla riva. Il paesaggio idilliaco è deturpato dalla centrale nucleare sulla riva opposta, a 4 km: «Mica ce l’avevano detto che doveva essere nucleare la centrale. E poi, dei 18 milioni di dollari di tasse che porta alla contea, solo poche centinaia di migliaia vanno a noi neri, alle nostre scuole, ai nostri distretti. La quasi totalità va ai distretti bianchi». Già, perché anche all’interno della contea vale la segregazione residenziale».

Cominciamo dall’inizio, gli dico, dall’età, e dal perché di questo suo nome curioso. «Ho 59 anni» mi dice con una curiosa reticenza «e il mio nome da schiavo, il nome che mi avevano dato i bianchi, era Robert John Lewis. Kamau Marcharia è il nome che mi dette mio nonno quando avevo 14 anni: in swahili vuol dire “guerriero nero”, ma io non l’ho usato fino a trent’anni quando sono uscito di prigione».

Già, perché Kamau è finito all’inferno, quello del sistema carcerario americano, ed è riuscito a uscirne fuori. La sua famiglia discendeva da schiavi e viveva ancora sulla terra che aveva comprato alla fine della guerra civile nella Saluda County (South Carolina). Ma poi si era trasferita a Philadelphia, la cui parte est è uno dei ghetti più tremendi di tutti gli Stati uniti. Qui l’adolescente Robert John Lewis divenne capo di una gang: «Mi avevano buttato fuori da scuola perché mi ero battuto con il preside». Furono anni di risse, coltellate, battaglie di strada. Aveva 18 anni (ma forse 16: la sua data di nascita non è mai chiara) quando fu accusato di aver partecipato al rapimento e allo stupro di una ragazza bianca. E il 9 luglio 1964 fu condannato a 57 anni di reclusione da scontare nel carcere di massima sicurezza di Trenton (New Jersey). Il magistrato lo aveva giudicato colpevole di «sequestro, stupro, porto d’armi abusivo nonostante la stessa vittima avesse testimoniato che lui non era tra gli accusati che l’avevano rapita e violentata; nonostante la testimonianza dell’agente che aveva compiuto gli arresti, secondo cui Lewis non era con gli arrestati e non si trovava neanche nelle vicinanze, nonostante il fatto che “l’arma abusiva” fosse stata trovata nell’auto degli altri accusati mentre Robert Lewis non era presente, e nonostante le osservazioni durante il processo dello stesso pubblico ministero che tendevano a discolparlo piuttosto che a coinvolgerlo» (da un articolo apparso sulla «New England Law Review», volume 9, n. 1, autunno 1973). «Io non avevo commesso il crimine», dice Kamau, «ma il giudice mi disse: Siete tutti un branco di bestie e io ti condanno insieme agli altri».

Così invece della scuola pubblica Robert Lewis frequentò la scuola di vita della prigione, con l’isolamento, il regime duro, i contatti con la Nation of Islam, la politicizzazione, il conseguimento della licenza liceale studiando da solo.

Per fortuna di Kamau, il suo caso fu notato da un giovane avvocato, Andrew Vachss che andò a visitarlo in carcere all’inizio del 1970. Visto che era impossibile ricelebrare il processo, Vachss s’impegnò, insieme a uno studente in legge di Harvard, Ramon Jimenez, a ottenere la libertà provvisoria. Ma, dice Kamau, «gli psichiatri in carcere sono più potenti degli aguzzini, come i giudici sono più potenti dei poliziotti: una loro parola e ti facevano l’elettroshock. La chiamavano “modifica comportamentale”. Io ero capo della Commissione dei detenuti e il dottore mi prescrisse l’elettroshock: avevo visto uomini solidissimi diventare dei sedani dopo il trattamento. Ma, su iniziativa di Andrew e Ramon, in due giorni furono spedite più di 1.000 lettere di protesta. Così riuscii a evitarlo. Ma era lo stesso totale arbitrio che presiedeva alla concessione della libertà condizionale».

«All’inizio non capivo perché Andrew si desse tanto da fare: che cosa voleva da me? Mi è stato difficile accettare che lo facesse solo per aiutarmi. Che quel che auspicava per me è che io non rifiutassi mai più il mio aiuto a chi ne aveva bisogno. Mi ha fatto capire che la fraternità va oltre il colore, il bianco e il nero». Infine il 18 settembre 1973 Robert Lewis, ormai Kamau Marcharia, uscì dal carcere di Trenton.

I primi anni di libertà furono duri, col rischio di cadere nell’alcolismo. Ma con l’aiuto della sua (ora ex) moglie intraprese quella che da allora è stata tutta la sua vita: l’attivismo politico, la dedizione alla causa dei neri e dei prigionieri neri negli Stati Uniti. Tornò in South Carolina, nella Saluda County di cui era originario. Riuscì a mobilitare i neri e a vincere una prima battaglia: desegregare una piscina fino ad allora riservata ai soli bianchi. Entrò in contatto con la gente di Jenkinsville, quando venne a sapere che la squadra di baseball di un paese accanto (Norway) rifiutava di giocare con loro perché c’erano giocatori neri. Il capo della polizia di Norway aveva emesso un avviso di ricerca, un poster con un nero raffigurato e la scritta «Wanted, 100 $ Live (vivo), 500 $ Dead (morto)». Quando i neri protestarono, lo sceriffo rispose «Ma non avete senso dell’umorismo?».

Kamau ha anche ricevuto premi (il Petra Foundation Award nel 1991, il Charles Bannerman Award nel 1993, e il Public Citizien of the Year Award dal S-C Chapter of the National Association of Social Workers nel 1999) come community organizer, espressione quasi intraducibile, visto che community è un concetto diverso da comunità. Mi parla del suo lavoro con i sindacati, dell’anno sabbatico che ha preso andando in Orissa (India): «Lì ho capito che dovevo imparare tutto da capo». Infine nel 2000 è stato rieletto per la seconda volta consigliere provinciale di Fairfield. Ma è un consigliere scomodo e quest’anno i bianchi l’hanno denunciato dicendo che lui si era fatto eleggere senza dire che era stato condannato a 57 anni di carcere, richiedendogli indietro tutti i soldi che ha preso in due mandati. «Io non ho mai nascosto di essere stato condannato, non andavo a gridarlo in giro. E comunque, appena hanno cominciato con questa storia, mi sono rivolto ai giornali, ho fatto pubblicare la notizia e ci sono dei bianchi che si sono schierati con me».

Mentre parliamo, arrivano due adolescenti, un ragazzo nero dal bel viso quasi ancora infantile, con il capo racchiuso in un copricapo che assomiglia a quello che portano i ragazzi sikh prima di mettersi il turbante. La ragazzina, grassoccia, ha in braccio una bambina di un paio di anni, Zeyzey è il diminutivo del suo nome. «Lui è Ramon, mio figlio, ha 18 anni» (anche se ne dimostra meno). All’inizio penso che la bimbetta sia la figlia più piccola di Kamau, ma poi capisco che è sua nipote: lei è figlia di Ramon e della ragazza. «Ramon ha interrotto la scuola, adesso ha trovato un lavoro in fabbrica, ma io voglio che riprenda a studiare, è un pazzo se non prende il diploma. Lei continua invece ad andare a scuola». La ragazza ha 15 anni. Chiedo perché non hanno usato contraccettivi. «In quel gruppo di case» mi indica al di là del lago, «ci sono otto ragazze incinte, la più vecchia ha 14 anni e la più giovane 10. Non sanno neanche cosa sia un contraccettivo. Qui nella contea c’è il 47 % di analfabetismo. Famiglie che vivono in case senza bagno, nella miseria».

Parliamo del suo lavoro di consigliere provinciale: mi mostra fiero il sentiero che corre lungo il lago: «Siamo riusciti a ottenere il sentiero da jogging anche qui per noi neri (in giro non si vede traccia di bianchi, a parte me): finora non avevamo niente per l’esercizio fisico». Ma la maggior parte del tempo la passa nella campagna sulle prigioni, viaggiando in Alabama, Georgia, Mississippi. «Non c’è praticamente nessun maschio nero in S-C che non sia stato arrestato almeno una volta, più spesso parecchie volte. Questo Stato spende in prigioni più che in scuole. E per i neri le scuole sono diventate surrogati di prigioni minorili, sono carceri di minima sicurezza. In questa contea, come ovunque, sono segregate».

Si rivolge alla nuora studentessa: «Quanti bianchi ci sono nella tua classe, uno, due?». Lei risponde che in tutta la sua carriera scolastica non ha mai avuto un compagno di classe bianco. «Vedi?» mi dice.

«Il massimo dell’ironia è il reato di linciaggio, definito in S-C come “ogni atto di violenza di due o più persone contro altre”. Per noi neri il linciaggio è la nostra storia, neri bruciati, impiccati, trascinati dalle Ford Modello T fino a morire. Adesso i bianchi della S-C dicono che linciaggio è ogni lite che coinvolge più di due persone. Se tre ragazzi fanno a botte, vengono accusati di linciaggio. Mio figlio è stato accusato di questo reato a 13 anni. I neri sono il 30% della popolazione ma sono il 67% degli accusati di linciaggio. Così adesso il linciaggio qui in Carolina (pronunciata Calàina) è un delitto di neri».

«Il New South? È un nuovo nome, ma è il vecchio gioco. Come le prigioni che ora si chiamano Centri correzionali: nuovo nome, vecchia realtà. La segregazione è peggiore ora di quel che era 50 anni fa, e parlo dell’intera nazione, non solo della S-C.».

Mi e gli chiedo sempre perché i neri non si ribellano. «Il passato schiavista, la subalternità, l’ignoranza, la mancanza di tradizioni politiche». E qual è il ruolo della «borghesia nera» di cui tanto si parla? «I neri istruiti sono le persone più pericolose di questo Paese. Appena possono, cercano di stare coi bianchi, di prendere distanza dalla comunità, e quando si arriva ai privilegi, la pensione, gli stipendi, per loro è meglio non avere nulla a che vedere con noi».

E il ruolo della religione? «Anche i pastori contribuiscono alla sottomissione. Hanno una incredibile funzione conservatrice. Ci sono tre Chiese: una Chiesa dell’Intrattenimento − canzoni, balli, cerimonie −, una Chiesa del Contenimento − che ti controlla e ti sorveglia − e una Chiesa della Liberazione (come Martin Luther King) ma quest’ultima rappresenta solo il 5 % del totale. E intanto i neri costruiscono chiese. Solo in questa contea di 24.000 abitanti ci sono più di trecento chiese. I bianchi costruiscono case e noi costruiamo chiese, loro costruiscono strade e noi costruiamo chiese, loro costruiscono fabbriche e noi tiriamo su chiese». Già, perché la rurale Carolina del sud è diventata un paradiso industriale per le grandi multinazionali straniere: ma di questo nella prossima puntata.

(2-continua)

(*) NELLA FOTO  Kamau Marcharia. I tre reportages che Marco D’Eramo ha scritto dal South Carolina nel 2004 e sono poi entrati nel volume «Via dal vento: Viaggio nel profondo sud degli Usa», pubblicato dalla manifestolibri. Il primo della serie era in “bottega” ieri e l’ultimo uscirà domani.

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