Riecco il corrispondente padano

ovvero Mark Adin

Me ne aveva parlato Al – che non è il computer di 2001 Odissea nello spazio (quello era Hal) – ma l’amico giornalista che si trova a battere i marciapiedi del Villaggio Padano. Al è uno di quelli a cui piacciono le inchieste, le storie vere, e si consuma le scarpe per andarle a cercare. Ci siamo rivisti qualche giorno fa, per mettere a fuoco ancora una volta la vicenda. Quando i fatti prendono certe pieghe, si corre il rischio di non crederli veri.

Al mi accompagna, notando ancora un germe di incredulità nel mio sguardo, sui luoghi. Conoscevo la storia da lui, me ne aveva già parlato altre volte, ma avevo bisogno di vedere coi miei occhi fin dove si può spingere una Istituzione senza provare vergogna.

L’auto dobbiamo parcheggiarla sul ciglio dello stradone, superare la sbarra, inoltrarci in modo clandestino per la campagna. Non riesco ancora a crederci. Eppure è lì, c’è davvero, tutto come mi aveva detto Al.

Spirito di Zavattini, accompagnaci.

Siamo sul finire degli anni Novanta, giunta di centro-sinistra, in città ci sono gli zingari. Ci vuole una sistemazione dignitosa anche per loro. Intanto si attrezzi una grossa piazzola, poi si vedrà. Il campo viene realizzato, provvisoriamente, in un quartiere periferico intitolato a S.Rita la quale, secondo la tradizione agiografica, ricevette dal Cielo una spina che le si conficcò in fronte (sic!). I Sinti – da anni con funzione di “spina”-  stazionano in loco arrangiandosi alla bell’e meglio; ora il Comune gli allaccia le utenze e fornisce loro un minimo di servizi, in attesa di realizzare altrove una sistemazione definitiva.

In seguito, quella giunta e il suo sindaco non vengono più rieletti: la mano passa al centro-destra. Il colore politico del Comune non cambierà più fino a oggi. I Rom continuano a tenere, ormai una minoranza, comportamenti problematici, ma in parte, in larga parte, conducono una vita, se non ancora rigorosa e timorata diddìo, piuttosto normale. Lavorano, mandano i figli a scuola, si possono dire integrati in quanto stabilmente residenti e non più nomadi. Un estremista potrebbe arrivare a dire che, in quanto stanziali, avrebbero pure diritto a una casa. Bum! Scherzo, scherzo…

La struttura che li aveva accolti, inizialmente provvisoria e ora, nei fatti, definitiva, inizia a essere del tutto inadeguata. Nel quartiere qualche pia donna e qualche buon padre di famiglia incominciano a lagnarsi. Vorrebbero togliersela, i probi cittadini, la spina dalla fronte, mica sono pazienti come Santa Rita. Qualche furto in appartamento viene imputato ai Rom, l’accattonaggio infastidisce, fanno sempre un po’ di paura. Sono brutti, sporchi, cattivi e ricettacoli di sporcizia e promiscuità.

La Lega – oggi al secondo sindaco e in predicato di fornire il terzo – fin dal suo primo mandato prende in carico il problema. A modo suo, decide di sistemare la faccenda.

Siamo ormai al 2008. Nonostante sia noto che, nel giro di qualche mese, si stia per liberare un piccolo insediamento che la TAV non utilizza più, sorto nella stessa zona – opere di urbanizzazione compiute, prefabbricati arredati, servizi, insomma bell’e fatto, pronto all’uso chiavi in mano zero spese – l’Amministrazione Comunale si danna per trovare la sistemazione “ideale”. Quell’altra, che è gratis e pronta, non va mica bene.

Individua un minuscolo appezzamento di terra, in aperta campagna, in mezzo alle risaie, e lo acquista pagandolo diverse volte il suo valore di mercato (non si bada a spese quando si tratta di fare del bene…). Il terreno sarebbe del tipo seminativo-irriguo e varrebbe quattro soldi, vista la modesta estensione, e nessuno capisce bene la congruità della compravendita a un prezzo tanto elevato. Gli si mette sopra una specie di fortino – non uso il termine lager per non metterci il carico da novanta – con al suo interno alcune casupole  e qualche cesso, del tipo di quelli che si vedono nei cantieri, dotando tale struttura di acqua, fognatura e corrente elettrica. Il tutto ben sigillato da un muretto che lo circonda interamente e non permette di vedere all’interno, e viceversa. Un portone di ferro completa l’opera a impedire del tutto la vista. Bisogna arrampicarsi sulla cinta, alta un paio di metri, per ammirarne tutta la surreale desolazione. Molto, molto, molto spartano. Diciamo minimalista.

Il conto è di circa cinquecentomila begli eurini del contribuente padano. Se si aggiunge il costo sopportato dalla pubblica amministrazione per pagare le utenze a servizio della sistemazione provvisoria, si raggiunge la cifretta di circa unmilionecentomilaeuri (in lettere).

Certo stupisce il fatto che questo fazzoletto di terra si trovi letteralmente incluso in un’altra proprietà. Proprio così. Una vera enclave circondata  dalle risaie, che…  non dispone di strada per potervi accedere.

Avete capito bene: non c’è strada di accesso.

Assomiglia a una burla di “Amici miei”. I Rom? Paracadutiamoli oppure caliamoli con l’elicottero. Che ridere.

Io e il mio amico Al, infatti, dopo aver lasciato la macchina sulla statale, dobbiamo incamminarci a piedi lungo la riva del Canale Cavour, orgoglio dell’Italia unitaria, per raggiungere  l’orgoglio della Padania in mezzo a pioppeti e risaie: il campo Nomadi senza strada di accesso.

Percorriamo l’alzaia del canale privi di autorizzazione, poiché la zona è vietata al transito, anche pedonale, dall’Ente gestore dell’opera irrigua, come ammonisce chiaramente un cartello molto ben visibile. Non è trascurabile la questione relativa alla sicurezza: la sponda del corso d’acqua non ha parapetto o altra protezione, con l’erba bagnata è facile scivolarvi dentro, e la corrente è forte. Fino a ottanta metri cubi d’acqua al secondo. Un paradiso per i bambini.

Anche un cretino capisce che la destinazione d’uso a campo nomadi di questo luogo è del tutto inadatta. Un cretino sì, ma l’assessore no. Lui è tignoso, lui non demorde. A frittata fatta si mette a scrivere. Parte una girandola di richieste, contestazioni, dinieghi, cavilli, discarica di responsabilità, nella quale intervengono: Ente Gestore del Canale, Regione Piemonte, un paio di Prefetti, l’avvocato del Confinante, l’Ufficio Tecnico, ma ancora, a tutt’oggi, non se ne esce.

Gli zingari ancora nel loro merdaio, la spina ancora conficcata nella fronte di S. Rita.

Nota risorgimentale: l’ideatore del canale di irrigazione, ingegner Francesco Rossi, non venne pagato. Camillo Benso, il Conte, gli disse elegantemente di attaccarsi e tirare, forte-forte. Ma l’ingegnere ricorse e si dovette risarcirlo profumatamente. Comprò con il ricavato importanti aziende agricole. Cosa c’entra con la nostra storia? C’entra, perché uno degli ultimi eredi del cospiscuo patrimonio dell’Ing. Rossi è il proprietario del fondo in mezzo al quale trovasi il campo nomadi senza strada di accesso. Il brillante anziano proprietario ricorda, ridacchiando sotto i baffi, che esiste pure un vincolo paesaggistico con il quale fare i conti, in quanto il canale è anche sotto tutela come bene di interesse storico-artistico.

Come andrà a finire? Chiedetelo al Mago di Arcella.

Al, con simpatica concretezza, mi sottopone un foglietto a quadretti su cui ha annotato alcuni semplici conteggi: tot per l’acquisto del terreno, tot per la pulizia, tot per le “opere”, tot per le utenze pagate in dieci anni per il campo provvisorio, rigaccia, a capo, totale risultante diviso 13 (numero delle famiglie Rom interessate) uguale circa 80.000 euri per nucleo familiare. Ottantamila eurini sonanti. Un amico costruttore sibila che con quei soldi, a costi di edilizia economico-popolare…

Certo, un amministratore comunale di cotanta lungimiranza, direte voi, sarà stato incoraggiato a cambiare mestiere. E invece no, alle prossime elezioni amministrative di maggio si ripresenta: è il candidato Sindaco.

Padania miaaaa… Padania in fioreee… tu sei la stella… tu sei l’amoree…


Redazione
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3 commenti

  • Marco Pacifici

    Come sempre grande Mark Adin.

  • Pur essendo padano, quelli della lega non li ho mai capiti. Galleggiano al di fuori delle mie possibilità di comprensione. Il limite è tutto mio, naturalmente. Viva la Bandiera Italiana, viva l’Inno di Mameli!

  • Avrebbe potuto essere un post interessante, ma buttato lì senza luoghi, nomi e cognomi ha un sapore in parte conigliesco e per l’altra parte democristiano.

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