Dalla Valsusa: la misura è colma

Cantiere Chiomonte2Nella volontà di metterci in mezzo alla costruzione del progetto dell’Alta Velocità ci siamo incontrati in tanti.

Iniziare a guardare in modo diverso la terra in cui si vive per capire se le trivelle stanno arrivando.

Alimentare il passaparola, prendere la macchina per riuscire ad accorrere in fretta.

Recuperare del materiale da buttare sulla carreggiata per bloccarla.

Preparare un tè per scaldare la notte tutti insieme.

Prendersi la Maddalena, organizzare collettivamente le giornate e vivere questo spazio rompendo la propria quotidianità.

Non avere paura di difenderlo insieme.

Riscoprire i sentieri e trovare nuove vie per arrivare al cantiere, sperimentare modi diversi per attaccarne le reti.

Stringersi attorno a chi per tutto questo viene punito e non lasciarlo solo.

La lotta qui ha cambiato la vita di molti di noi.

La lotta qui è riuscita a dare molto filo da torcere alla realizzazione dell’opera.

Proprio per questo ci hanno attaccato da più fronti: hanno fatto di un cantiere un fortino, hanno militarizzato la valle, hanno promesso compensazioni e deciso tavoli di trattativa per guadagnarsi gli indecisi; hanno provato a spaventarci con multe, misure cautelari e arresti.

In questo quadro s’inserisce quest’ultima operazione repressiva.

Il 21 giugno la polizia ha bussato alle porte di molti di noi per portare ancora misure cautelari e arresti. In questo momento in cui gli ostacoli fanno faticare la lotta, viene colpita l’ostinazione di 23 persone, qualcuno che in valle ci vive e qualcuno che ha deciso di esserci con costanza.

Se di prima impressione parrebbe che non si siano fatti scrupoli obbligando persino delle signore di settant’anni a presentarsi quotidianamente dai carabinieri e utilizzando misure straordinarie come l’arresto e l’isolamento dopo una perquisizione, in realtà – a ben vedere – c’è la volontà precisa di stroncare la lotta.

Se questa volontà ci è già chiara da tempo, se gli spazi per lottare sono sempre più risicati, se le nostre vite sempre con più facilità sono legate a delle carte di tribunale, è arrivato il momento in cui tutto ciò non si può più accettare.

La misura è colma.

Ecco perché ho deciso di non trasformare la mia casa in prigione, me stesso in carceriere e permettere di essere allontanato dai miei affetti e dalla lotta. Consapevole delle conseguenze di questo gesto e sulla spinta di chi a Torino già ha sperimentato una strada come questa e ha rifiutato le misure cautelari, questa è l’unica scelta che ho sentito di fare.

Una scommessa di chi è stato colpito e di chi in Val di Susa e altrove vorrà vederci un’occasione per rilanciare la nostra forza.

Giuliano, Cels 23 giugno 2016

L’IMMAGINE: filo spinato nel cantiere di Chiomonte.

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alexik

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